scuola | formazione, università | ricerca

“Perchè protesta l’insegnante”, di Giunio Luzzatto

Dietro le proteste degli insegnanti precari ci sono due problematiche diverse. Quella di coloro che sono già abilitati e iscritti nelle graduatorie a esaurimento. E quella di chi invece aspira all’abilitazione. Il progetto del ministero non dà risposte né agli uni né agli altri. Perché non dice niente sui nuovi sistemi di reclutamento. E perché sulla formazione dei futuri docenti si è scelta una via opposta a quella seguita nel resto d’Europa. Quanto alla programmazione del fabbisogno di insegnanti, lo contraddice l’ammissione al tirocinio di soprannumerari.

Con l’inizio dell’anno scolastico, la situazione degli insegnanti e dei loro posti di lavoro è tornata al centro dell’attenzione. È perciò opportuno fare un po’ di chiarezza, almeno per quanto riguarda gli insegnanti secondari, di primo e secondo grado, la categoria che registra le tensioni più forti.
Le problematiche sono due ma strettamente connesse fra loro: gli abilitati già inseriti nelle “graduatorie a esaurimento” e coloro che invece aspirano all’abilitazione.

CHI HA L’ABILITAZIONE

Le graduatorie di coloro che sono in possesso dell’abilitazione, conseguita all’interno dei vecchi concorsi oppure tramite le scuole di specializzazione universitarie (Ssis), sono finalizzate sia alle immissioni in ruolo sia al conferimento di incarichi temporanei.
Se il problema del precariato è ormai così ampio, ciò deriva dal fatto che i posti di insegnamento sono stati ricoperti da personale di ruolo in misura del tutto insufficiente. Come risulta dal volume, ricchissimo di dati aggiornati, “La scuola statale: sintesi dei dati – Anno scolastico 2008-2009”, tra gli oltre 470mila insegnanti in servizio per l’intero anno 2008-2009, il 19 per cento (circa 90mila) aveva solo il contratto annuale; tale percentuale è disomogenea sul territorio: raggiunge il 23 per cento nel Nord-Est, mentre è al 14,8 per cento nel Sud.
Il governo Prodi aveva bloccato le graduatorie, ponendole a esaurimento, e aveva avviato una massiccia operazione di copertura in ruolo, anziché per incarico, che progressivamente avrebbe consentito di riassorbirle. Contestualmente, aveva annunciato – ma poi non attuato – un nuovo sistema di assunzioni che permettesse di connettere formazione e reclutamento. Il governo attuale ha limitato a poche migliaia le assunzioni dalle graduatorie e, riducendo l’orario della didattica, ha diminuito i posti da coprire. Molti insegnanti con abilitazione, e un incarico annuale nei passati anni scolastici, si sono dunque ritrovati a settembre 2009 senza cattedra. Ecco la ragione delle proteste, anche clamorose, di questi giorni, che il governo ha poi cercato di tamponare con palliativi come l’indennità di disoccupazione, le supplenze brevi senza continuità didattica ed eventuali progetti regionali, che ignorano il problema della qualità del servizio e sono mortificanti anche per i pochi che potranno usufruirne.

CHI ASPIRA ALL’ABILITAZIONE

Il governo Berlusconi ha anche chiuso le Ssis, per il momento senza sostituirle con alcunché: chi ha conseguito la laurea specialistica o magistrale dopo il settembre 2007 non può perciò prepararsi a insegnare. La chiusura delle Ssis è ufficialmente motivata con il blocco delle graduatorie: inutile produrre nuovi abilitati, se non hanno poi modo di accedere all’insegnamento. Logica avrebbe allora voluto che si affrontasse prima di tutto il problema delle nuove modalità di reclutamento.
Il progetto presentato nei giorni scorsi, con gran battage mediatico, dalla ministra Maria Stella Gelmini ignora invece proprio questo aspetto e si concentra solo della formazione: chi seguirà il nuovo percorso abilitante non sa dunque se e come potrà essere assunto, neppure a termine.
Ma anche nel merito della formazione, il progetto è ben diverso dalla immagine che ne è stata data.
Si è detto che il percorso prevede, dopo la laurea in una disciplina (tre anni), una laurea magistrale (due anni) ad hoc, orientata alle tematiche didattiche sia generali (scienze socio-psico-pedagogiche) sia mirate (problematiche dell’apprendimento e dell’insegnamento della specifica disciplina); segue poi un anno detto di “tirocinio formativo attivo” (Tfa), sempre gestito dall’università, ma con una forte presenza di interventi diretti nelle scuole.
Quello che non si è detto è che le lauree magistrali ad hoc sono di là da venire, come scritto nelle Norme transitorie: fino al 2012-13 esiste solo il Tfa, al quale si accederà con la magistrale ordinaria. Ma questa (giustamente, per le finalità che ha) tende ad approfondire aspetti particolari della materia, non le tematiche più rilevanti per l’insegnamento. Andava certo ridotto il percorso, eccessivamente lungo, di sette anni, ma prevederne cinque per i contenuti disciplinari e comprimere in un anno tutto ciò che ha a che fare con la professione docente è l’opposto di quanto si fa in Europa, ove viene ampliato lo spazio per le competenze “trasversali” dell’insegnante. (1) Per l’efficacia del suo rapporto con allievi ben diversi da quelli di cinquant’anni fa (e anche solo di dieci) è fondamentale che il docente sappia individuare le strategie comunicative adatte per motivare all’apprendimento lo specifico gruppo-classe, riesca a utilizzare e a far utilizzare pienamente le opportunità offerte dalle tecnologie didattiche, sia capace di preparare gli studenti a servirsi criticamente delle reti informative e a lavorare in gruppo.
È falso inoltre che il progetto del ministero preveda una adeguata programmazione quantitativa. L’ammissione al Tfa, è scritto, avverrà per contingenti legati al fabbisogno di insegnanti: per definirlo correttamente occorrerebbe però aver deciso le nuove procedure di reclutamento e, in particolare, quanti posti destinare al riassorbimento delle graduatorie e quanti ai nuovi abilitati.
Un tempo esisteva il “doppio canale”, con il 50 per cento dei posti per l’assunzione dalle liste e il 50 per cento a concorso per le nuove leve. Solo una soluzione analoga, con l’effettiva copertura di tutti i posti e magari con una quota inizialmente più alta per chi è in graduatorie molto numerose, può evitare una drammatica “guerra tra poveri” di cui già si vedono preoccupanti segnali. Nel silenzio, le assunzioni avverranno solo dalle graduatorie, con l’esclusione di qualunque nuovo laureato per molti anni (probabilmente moltissimi, in ragione della riduzione degli organici). E il Tfaavrà prodotto una nuova lista di attesa.
Plateale, inoltre, è la negazione della programmazione che si ha con l’ammissione al Tfa, in soprannumero rispetto ai posti banditi, dei laureati non abilitati che abbiano svolto 360 giorni di supplenza, dei dottori di ricerca, degli assegnisti universitari: si formeranno decine di migliaia di abilitati in più rispetto alle esigenze, comunque queste siano state definite. Viene detto anche che i soprannumerari continueranno a svolgere le loro attività lavorative; ilTfa è una specie di scuola serale.
E poi si parla di rivalutazione del merito, di qualità, dello spazio da dare ai giovani.

(1) Ai sette anni si è arrivati perché la Ssis biennale, originariamente connessa alla laurea quadriennale, si è poi sovrapposta al “3+2”.

www.lavoce.info.it