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"Millepropoghe e milletrappole: cento giornali rischiano di chiudere", di Fabio Morabito*

Due righe, due righe appena. Quelle due righe che mancano del decreto milleproroghe, che erano state promesse e poi sono di nuovo sparite, avrebbero permesso ai giornali in cooperativa, i giornali di partito, i no profit e le testate delle minoranze linguistiche di continuare a vivere. Due righe per la concessione dei finanziamenti a una galassia di testate che sono un polmone dell’informazione libera e diversa in Italia. Il rischio di chiudere è di cento testate, duemila giornalisti, quattromila lavoratori. Il rinnovo del finanziamento era stato garantito, quelle due righe erano state promesse. A parole. Ma nel testo passato al Senato la norma salva-informazione non c’è. Può essere recuperata alla Camera? Sì, è possibile. Basta proporre un emendamento al decreto. Ma nulla ci rassicura che non si voti, ancora un volta, il testo del milleproroghe in blocco. Come è avvenuto in Senato, con la richiesta della fiducia da parte del governo. La strada dell’emendamento è l’unica per dare una risposta urgente a una esigenza altrettanto urgente. Poi, si possono anche studiare altre strade, a cominciare da una riforma virtuosa che neghi gli aiuti ai giornali-fantasma, nati esclusivamente per ricorrere al denaro pubblico. Ma non è accettabile che i sussidi per l’informazione passino attraverso un atto unilaterale di benevolenza dell’esecutivo, e non tramite regole certe e garantite per tutti.

Quello che è stato colpito è il diritto soggettivo delle testate ad avere il finanziamento. Questo diritto soggettivo era la carta di credito che permetteva alle testate di ottenere dalle banche l’anticipo di quanto necessario, che sarebbe giunto in cassa mediamente un anno dopo.
Si è discusso del senso di questi finanziamenti, dei soldi a giornali-fantasma, dell’assalto ai contributi dello Stato. Ma qui ci sono in ballo anche testate vere, giornali storici e voci nuove ma preziose dell’informazione. “Il Fatto”, che è la più bella importante novità di questi mesi tra i quotidiani, ha fatto la scelta coraggiosa di non chiedere nessun finanziamento pubblico. E’ un merito, un grande merito. Ma in Italia, purtroppo, ci sono voci che hanno bisogno del sostegno pubblico. Sostegno che anche per quest’anno era stato garantito. E che è sparito come dietro al fazzoletto di un prestigiatore.

E’ sensato, nel sostenere i partiti, che si finanzino prima di tutto i loro giornali, che è poi la scelta di fare informazione e non solo propaganda. C’è bisogno di sostegno alle voci indipendenti e ai giornalisti che lavorano in cooperativa, perché il sistema editoriale sta subendo un’involuzione pericolosa: concentrazioni di testate e sinergie tolgono spazio all’informazione dissonante. Un’involuzione pericolosa, in un sistema che era già traballante, con l’assenza quasi totale dei cosiddetti “editori puri”. Certo, come sindacalista ho un conflitto d’interessi: difendo la categoria, difendo i posti di lavoro. Ma c’è un interesse collettivo all’informazione che sia il meno omologata possibile, c’è un interesse collettivo a un controllo democratico che sia il più diversificato possibile. La storia degli aiuti ai giornali “altri”, spariti prima dalla Finanziaria (ed è il secondo anno di seguito che succede così) e poi non recuperati come annunciato nel milleproroghe, non è la solita contrapposizione tra maggioranza e opposizione. Anche tra la maggioranza, infatti, vi sono deputati e senatori che condividono la necessità degli aiuti all’informazione. Ci sono peraltro le elezioni regionali alle porte. Ma c’è stato finora un percorso “a trappole” che sembra portare a un salvagente discrezionale, dove la discrezionalità è del governo o di un singolo ministro. Un ministro che può essere anche il più illuminato che ci sia, ma non deve essere per principio il dominus del pluralismo dell’informazione.

* Presidente dell’Associazione Stampa Romana
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