università | ricerca

"Giustizia, il codice della volpe. Così il Cavaliere cambia le regole", di Giuseppe D'Avanzo

IL disegno di legge contro la corruzione, annunciato da Silvio Berlusconi, non c’è perché non poteva esserci. Nel mondo meraviglioso di mister B., i fatti sono immaginari e la comunicazione sostituisce l’azione. Chi si ricorda del “piano casa”? Berlusconi: “Venerdì, faremo il provvedimento sul piano casa che avrà effetti straordinari sull’edilizia” (7 marzo 2009). Non se n’è avuta più traccia. E tuttavia, anche nel mondo fiabesco del Cavaliere, emerge con molta coerenza il principio di non contraddizione tutte le volte che sono in ballo gli affari, la storia e il destino del presidente del consiglio. Berlusconi che annuncia di voler inasprire le pene per i corrotti, di voler liberare il suo partito e quindi il Parlamento e il governo da “chi sbaglia o commette dei reati” è la volpe che pretende di essere custode del pollaio. E’ una scena non disponibile in natura, a meno di voler credere che il bianco possa essere uguale e contrario al nero. A meno di non immaginare – ma chi è così ingenuo o stupido? – che il presidente del consiglio voglia allontanare dalle sue stanze gli uomini che lo hanno accompagnato nella sua avventura, pagando al successo dell'”uomo del fare” un alto conto giudiziario.

Qualche nome soltanto, estratto dal “cerchio stretto” che lo circonda. Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado per mafia; Massimo Maria Berruti, condannato per favoreggiamento nella storia delle tangenti alla Guardia di Finanza; Aldo Brancher condannato per falso in bilancio; Romano Comincioli impicciato in bancarotte fraudolente e false fatture. Birbantelli, birbaccioni, direbbe il Capo, che per suo conto si è scritto un curriculum da gran briccone. Ora che “chi sbaglia” dovrebbe pagare, vale la pena ricordare rapidamente gli “sbagli” del Cavaliere, discussi in sedici processi, quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l’affare Mills; istigazione alla corruzione di un paio di senatori; fondi neri per i diritti tv Mediaset; appropriazione indebita nell’affare Mediatrade.

Nei dodici processi già conclusi, in soltanto tre casi le sentenze sono state di assoluzione. In un’occasione con formula piena per l’affare “Sme-Ariosto/1” (la corruzione dei giudici di Roma). Due volte con la formula dubitativa e nel secondo caso – le tangenti alla Guardia di Finanza – il Cavaliere è stato condannato in primo grado per corruzione; dichiarato colpevole ma prescritto in appello grazie alle attenuanti generiche; assolto in Cassazione per “insufficienza probatoria”.

Riformato e depenalizzato il falso in bilancio dal governo Berlusconi, l’imputato Berlusconi viene assolto in due processi (All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2) perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Due amnistie estinguono il reato e cancellano la condanna inflittagli per falsa testimonianza (aveva truccato le date della sua iscrizione alla P2) e per falso in bilancio (i terreni di Macherio). Per cinque volte è salvo con le “attenuanti generiche” che si attribuiscono a chi è ritenuto responsabile del reato. Per di più le “attenuanti generiche” gli consentono di beneficiare, in tre casi, della prescrizione dimezzata che si era fabbricato come capo del governo: “All Iberian/1” (finanziamento illecito a Craxi); “caso Lentini”; “bilanci Fininvest 1988-’92”; “fondi neri nel consolidato Fininvest” (1.500 miliardi); Mondadori (l’avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, “compra” il giudice Metta, entrambi sono condannati).

Si può dire che buona parte della storia politica del Cavaliere sia stata consumata nel manipolare la legge per tenersi lontano da condanne probabili. Senza le amnistie, le riforme del codice (falso in bilancio) e della procedura (prescrizione) preparate dal suo governo, Berlusconi sarebbe considerato oggi un “delinquente abituale” e non un “birbantello”. Difficile immaginare che il Cavaliere voglia espellere se stesso dal partito che ha creato, dalla maggioranza parlamentare che ha nominato, dal governo che presiede.

Che il “giro di vite sulla corruzione” fosse soltanto un espediente per rassicurare un elettorato disilluso dal malcostume che affiora nello scandalo della Protezione civile, lo si era capito ieri. Non deve stupire – oggi – che la trovata da marketing politico non sia nemmeno riuscita a mostrarsi come il simulacro che sostituisce l’evento. Quando discute di sorvegliare e punire, il Cavaliere diventa terribilmente serio, gli cade l’umore, non ha voglia di barzellette. Vuole che il sorvegliare sia problematico e il punire improbabile. Lungo questa strada corre da anni e, sveltissimo, in questa legislatura. Un provvedimento di maggiore inibizione della corruzione avrebbe contraddetto, in modo radicale, tutte le sue politiche. Soprattutto due capisaldi: il processo breve e gli interventi sulle condizioni che consentono le intercettazioni telefoniche, unico modo per venire a capo dei crimini dei “colletti bianchi”.

Il “processo breve”, si sa, non è altro che una prescrizione rapida. Solitamente, a fronte dei reati più gravi, uno Stato responsabile si concede un tempo adeguato per accertare il reato e punire i responsabili (la prescrizione non è altro). Più grave è il reato, più laborioso il suo accertamento, maggiore è il tempo che lo Stato si riconosce prima di considerare estinto il delitto. Dovrebbe essere così per la corruzione se non fosse che Berlusconi, dettando le regole del “processo breve” (gli servono per venir fuori dalla condanna nel processo Mills), considera quel reato non grave, una pratica penalmente lieve, socialmente risibile, così inoffensiva da meritare una depenalizzazione o una permanente amnistia.

“Corrotto” e “corruttore” sono considerati attori sociali infinitamente meno pericolosi di “scippatore”, “immigrato clandestino”, “automobilista distratto”. Interessa poco a Berlusconi, “uomo del fare”, se i mercati dominati da distorsioni e “tasse immorali” (60 miliardi di euro ogni anno per la Corte dei Conti, un balzello occulto che equivale a una tassa di mille euro l’anno per ogni italiano, neonati inclusi) garantiscono benefici soltanto agli insiders della combriccola corruttiva. Come dimostra con vivacità lo scandalo della Protezione civile.
Il governo dovrebbe intervenire contro la corruzione per rafforzare competitività perché i mercati corrotti sono segnati sempre da una bassa crescita (troppe barriere all’entrata, troppi rischi di investimento). Dovrebbe essere consapevole che è dimostrata la relazione tra il grado di corruzione di un “sistema” e la sua crescita economica. Dovrebbe, in altri termini, considerare il contrasto alla corruzione una priorità per rimettere in sesto in Paese. Ce lo chiedono peraltro anche gli organismi internazionali.

Un rapporto del Consiglio d’Europa sulla corruzione in Italia, recentemente, ha rilevato che dalle nostre parti i casi di malversazione sono in aumento; le condanne sono diminuite; i processi non si concludono per le tattiche dilatorie che ritardano i dibattimenti e favoriscono la prescrizione; la normativa è disorganica; la pubblica amministrazione ha una discrezionalità che confina con l’arbitrarietà. Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa ha inviato all’Italia 22 raccomandazioni di stampo amministrativo (introduzione di standard etici, per dire), procedurali (per evitare l’interruzione dei processi), normative (nuove figure di reato). Le sollecitazioni sono rimaste lettera morta e si può dubitare che il presidente del consiglio abbia voglia di leggerle.

Lo slogan “più severità contro la corruzione” è quel che è, soltanto un vivamaria elettorale, comunicazione politica per correre ai ripari dinanzi a pessimi sondaggi che segnalano il disincanto degli italiani in blu che hanno creduto in Berlusconi antipolitico e lo ritrovano identico a un leader politico della Prima Repubblica, “commissario ideologico” di un “sistema” che assicura affari e prebende ad amici, familiari, clientes. Alla fine, non fosse altro per salvare la faccia e affrontare la campagna delle Regionali, qualcosa verrà fuori, magari l’annuncio di regole per una maggiore trasparenza nella pubblica amministrazione, come chiede Renato Brunetta, per far sì che almeno lì “i fenomeni corruttivi si marginalizzino e diventino fisiologici”. E’ un’intenzione che difficilmente potrà farsi strada lungo gli accidentati percorsi parlamentari ostruiti dalle leggi ad personam (processo breve, legittimo impedimento, nuova legge immunitaria). Le parole di Berlusconi contro la corruzione resteranno quel che sono, la stravaganza di un imbonitore che vuole far credere che la volpe possa badare al pollaio.
La Repubblica 20.02.10