politica italiana

Dilettanti allo sbaraglio, la Polverini fa il bis

La saga delle liste di centrodestra escluse dal voto alle regionali ha un nuovo capitolo, altre 2 liste legate a Renata Polverini restano fuori. Bersani: “Non voteremo nessuna legge per riammettere le liste escluse”. E Bossi ci copia il titolo…
Ormai sembra un cinepanettone, stessa trama, stessi protagonisti, a partire da Renata Polverini e dagli ir-responsabili dell’organizzazione PDL. Dopo l’esclusione della lista romana del Pdl dalle regionali del Lazio, oggi sia la sua lista civica che il suo listino sono stati bocciati dall’ufficio centrale elettorale della Corte d’Appello di Roma. La lista civica, acquisita con riserva, ha un simbolo troppo simile a quello di Fabio Polverini, candidato di una lista collegata a Forza Nuova di Roberto Fiore. Mentre la lista di Renata Polverini ha un simbolo rosso con il tricolore sotto, quello di Fabio Polverini ha la scritta Fabio in rosso e Polverini in bianco con la dicitura candidato per la regione Lazio. La lista con la candidatura di Fabio Polverini è stata presentata prima. L’ufficio centrale elettorale della Corte d’Appello di Roma non ha poi ammesso alle elezioni regionali il listino collegato alla candidata del centrodestra Renata Polverini. Si tratterebbe della mancanza della firma di uno dei rappresentanti di lista di cui l’ufficio elettorale si sarebbe accorto solo successivamente all’accoglimento, ma allo stato attuale la Polverini non risulta candidata dato che per la legge elettorale regionale il candidato presidente è necessariamente capolista del listino a lui collegato. Emma Bonino, dice: “Io non sono un giudice, ci sono gli organi preposti per decidere su queste vicende. Noi abbiamo il bollino a posto. Io- dice l’esponente radicale- vado avanti nella mia campagna elettorale parlando con i cittadini. Per il resto, le procedure sono stabilite per legge: chi ha il dovere di controllare e monitorare lo faccia nel rispetto della legge”.
E sia il segretario del PD, Pier Luigi Bersani, che il ministro degli Interni, Roberto Maroni chiudono la porta a ogni ipotesi di provvedimento ad hopc per salvare le liste della destra in difficoltà. Bersani con i giornalisti è stato lapidario: “Una leggina per riammettere le liste bocciate? Voglio credere che non ci pensino neanche. Il partito del predellino alla prima curva è sbandato, chiedo al Pdl di non tentare scorciatoie e di affidarsi alle decisioni della magistratura e degli organi competenti. Noi non abbiamo festeggiato, perché questi episodi creano turbamento nell’elettorato. Tuttavia il Pdl dia la colpa a se stesso, per le sue divisioni, e si affidi alle regole del gioco che implicano il rispetto delle decisioni della magistratura e degli organismi competenti; a questo si rassegnino senza alzare i toni, perché gli unici responsabili sono loro”.

“Non si possono cambiare le regole, non c’è spazio per fare un provvedimento d’urgenza da parte del governo” dice il ministro Roberto Maroni.
Anche perché se “i criteri per decidere l’ammissibilità delle liste dovessero diventare, da formali, criteri politici, il precedente che si creerebbe sarebbe uno stravolgimento delle regole dalle conseguenze non gestibili” ammonisce il vicesegretario del Pd Enrico Letta. E se a Bologna si è deciso di commissariare il comune in nome del rigore della legge, non si capisce perché a Roma le regole dovrebbero essere ignorate o cambiate in favore di qualcuno.

E’ una crisi politica, non ci sono scuse. Non basta dire che “al momento il listino Polverini risulta escluso. C’è un impedimento di carattere burocratico che pensiamo di risolvere a breve”, come fa il coordinatore regionale del Pdl Lazio Vincenzo Piso. Non basta se l’alleato-stampella del governo, cioè Umberto Bossi, ha un giudizio assai diverso, identico al nostro titolo: “Sono dilettanti allo sbaraglio” dice all’ANSA. “Come si fa – aveva già detto ieri il leader della Lega – a sbagliare a presentare le liste alle regionali?”.
Non basta gettare acqua sul fuoco se emergono particolari comici nella vicenda. Alfredo Pallone, vicecoordinatore del Pdl del Lazio, delegato con Piso a presentare il listino si era allontanato durante i momenti di tensione, sabato scorso, dovuti alla mancata presentazione, nei tempi stabiliti, dei candidati Pdl della lista di Roma e provincia. È per questo che mancherebbe la sua firma. Pallone ha spiegato che stasera, andrà in Corte d’Appello “per presentare un’integrazione”. Così arriviamo al punto che i deputati romani del PDL rilasciano dichiarazioni come questa: “Alla luce dell’incapacità militante del Pdl romano e non solo, direi che insieme al codice etico bisognerà introdurre il codice intellettivo, con approfonditi test sul QI. Visto che sono del Pdl, per giunta nato a Roma, dove il buio della ragione sembra contagioso, mi sottoporrò per primo agli esami”. Lo ha detto il deputato del PDL Giancarlo Lehner.

Nico Stumpo, della segreteria del PD, responsabile Organizzazione pensa che “quello che sta avvenendo con le liste del Pdl non è certamente il segnale di un complotto dei magistrati. Ma non è neppure semplicemente il risultato di pressappochismo e disorganizzazione, come lasciano pensare i toni farseschi assunti ormai da tutta la vicenda. La débacle delle liste è il segnale più visibile di un contrasto politico che attraversa il Pdl, una vera e propria lotta che si risolve con colpi bassi e cambi di candidati. E’ successo così in Campania, con la comparsa del nome di Conte in lista avvenuta “nottetempo, di nascosto” come candidamente ammette Caldoro. Ma allora le firme come sono state raccolte? E’ successo in Lombardia, dove il continuo spostamento nella lista dell’igienista dentale del premier e del massaggiatore del Milan sarebbe all’origine di tutto l’impiccio di Formigoni.
E’ successo nel Lazio, con capolista e candidati che cambiano oltre il tempo massimo”. Insomma è un mix di “ incapacità, di disprezzo delle regole, di tentativi
maldestri di imbrogliarsi l’uno con l’altro. La smettano con pantomime e piagnistei, inizino la campagna elettorale perché il 28 e 29 si vota e sarà un giorno di democrazia per tutti gli italiani chiamati alle urne”.

PD a Schifani: rispettate la legge.
A difesa della Polverini e di Formigoni è intervenuto anche il presidente del senato, Renato Schifani: “Mi auguro fortemente che possa essere garantito il sacrosanto diritto di voto che dalla Costituzione è previsto per tutti i cittadini, prevalga sempre, nel rispetto delle regole, la sostanza rispetto alla forma, quando la forma non è essenziale”. Gli ha risposto lo stesso Bersani: “Chiunque, comprese le alte cariche dello Stato, devono affidarsi alla legge e a procedure che hanno cinque o sei passaggi di garanzia. Questi inciampi creano dei turbamenti, ma la responsabilità è di chi non è stato nelle regole. Il Pdl piuttosto prenda atto degli errori commessi, e se ha buone ragioni le faccia valere nelle sedi opportune”. A Palazzo Madama, dopo l’intervento di Schifani, ha preso la parola il vice capogruppo del Pd, Luigi Zanda, ricordandogli “il ruolo che deve avere il presidente del Senato. Lei è garante di quella forma che lei stesso ha dichiarato poco fa venga dopo la sostanza”. Più volte il Presidente Schifani ha tentato di togliere la parola al senatore Zanda e quando ha sottolineato di aver fatto per trent’anni l’avvocato e di non aver quindi bisogno di spiegazioni sulla forma e la sostanza, Zanda ha risposto: “Lei qui, oggi, fa il Presidente del Senato, non l’avvocato e il Presidente del Senato deve essere il garante del rispetto delle leggi, che lei chiama ‘forma’”.

E sempre dal Senato arriva l’appello di Ignazio Marino: “Non è concepibile affidare la guida di una regione così complessa come il Lazio ad un gruppo di amministratori amatoriali come si dimostrano essere i politici del team di Renata Polverini. Va detto chiaramente che se il PDL non è nemmeno in grado di dimostrare precisione ed efficienza in un compito piuttosto semplice come la presentazione delle liste non so proprio come potrà gestire con questa inettitudine e superficialità la revisione dei conti della sanità oppure l’organizzazione dei trasporti regionali. Le forme sono le leggi e la sostanza sono i comportamenti. Se sminuiamo l’importanza di rispettare le regole rischiamo di giustificare chi cerca con comportamenti scorretti di aggirare la giustizia. Per fortuna i cittadini possono rendersi conto, prima di andare a votare, qual è la professionalità di chi si candida a guidare la Regione”.

Intanto in Lombardia secondo giorno di passione per il Pdl. Dopo l’esclusione del listino di Roberto Formigoni per irregolarità nella raccolta delle firme, commentata sempre da Bossi secondo lo stesso copione (Sbagliare la raccolta firme in Lombardia: ma come si fa? Bastava che incaricassero noi della Lega e non ci sarebbe stato alcun problema) è sceso in campo il ministro della Difesa, Ignazio La Russa che, accompagnato da Guido Podestà, Presidente della Provincia di Milano, si è presentato poco dopo l’una in Tribunale a Milano per presentare il ricorso che potrebbe ripescare il governatore, in corsa per il quarto mandato.

La presenza di La Russa in Tribunale ha destato sorpresa, tnato che Filippo Penati, candidato alla presidenza regionale per il PD ci scherza su: “Formigoni è talmente tranquillo che ha sentito l’esigenza di far intervenire l’esercito. Il ministro della Difesa ha infatti sentito il dovere di essere presente proprio al deposito del ricorso”. Poi facendosi serio ricorda come “la legge e le regole sono uguali per tutti e tutti le devono rispettare”.

Maurizio Martina, segretario regionale del PD attacca gli avversari che minimizzano l’accaduto: “Il pasticcio c’è stato e sarebbe buona cosa non sottovalutare la questione». Mi pare inoltre sempre più evidente, anche leggendo le dichiarazioni di queste ore di alcuni esponenti della Lega, che lo scontro frontale fra le diverse anime del centrodestra lombardo è perenne e oramai non risparmia nulla. Davvero un brutto spettacolo per una Regione che avrebbe bisogno di concentrarsi su altro”.

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“Il caos nel Pdl e i vantaggi per il Cavaliere”, di Marcello Sorgi
Diceva Andreotti che a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia. Applicato alla grottesca vicenda della lista del Pdl e del listino della Polverini esclusi dalle elezioni a Roma, il criterio andreottiano porta a questo. Non è affatto detto che, passata l’irritazione iniziale (non c’è giorno, negli ultimi tempi, che non gli arrivi una cattiva notizia) Berlusconi sia così dispiaciuto di quel che sta accadendo nella Capitale. E che insieme agli evidenti svantaggi che si profilano, non ne stia calcolando anche i vantaggi.

In fondo, Polverini è una candidata di Fini, il cofondatore-alleato-avversario, che non perde occasione per attaccarlo. La candidata del cuore del Cavaliere per il Lazio era Luisa Todini, che a malincuore ha dovuto mettersi da parte. In fondo, il Popolo della libertà a Roma non somiglia affatto al modello di partito che sogna il Cavaliere, e dopo l’elezione in Campidoglio di Alemanno è subalterno, sia al primo sindaco di Roma che non è in buoni rapporti con Gianni Letta, sia al gruppo di intellettuali della fondazione finiana che Berlusconi considera un laboratorio di iniziative mirate contro di lui.

I voti di centrodestra, in fondo, non andranno certo al centrosinistra. Per quanto sfrido possa esserci verso l’astensione, ci sono altre liste di centrodestra che potrebbero intercettarli. In fondo, c’è Storace, che da amico che era, è diventato nemico di Fini e per questo è stato espulso dal centrodestra, ma non ha mai smesso di essere amico di Berlusconi. Con quel suo partitino, «La Destra», può raccogliere sia voti moderati in trasferta o abilmente convogliati in quella direzione, sia voti di destra-destra. In fondo, poi, anche l’Udc romana non è da buttar via, con quel Baccini che, pur avendo un rapporto altalenante con Casini, s’è tenuto sempre buono il Cavaliere e Palazzo Chigi, pronto a mollare gli ormeggi al momento più opportuno.

Ecco perché, in fondo in fondo, Berlusconi non si straccerà le vesti se la candidata di Fini perderà le elezioni grazie al maldestro intervento degli amici del sindaco di An. Archiviata la sconfitta, potrà godersi la resa dei conti tra i suoi ruvidi alleati, e aprire la porta del partito ai suoi vecchi amici ingiustamente emarginati. Il nemico del mio nemico è mio amico. La sconfitta del mio avversario è la mia vittoria. Queste non sono massime andreottiane. Ma se qualcuno dicesse che somigliano ai pensieri di Berlusconi in queste ore, non ci sarebbe niente da stupirsi.
La Stampa 03.03.10