partito democratico, politica italiana

«Il vento sta cambiando», di Andrea Draghetti

“L’immagine del Pd che vorrei fosse rappresentata è come questa piazza qui: tutta di popolo, che sta molto stretto e molto insieme. Questo è il Pd”, così Pier Luigi Bersani ha introdotto il suo discorso di chiusura della campagna elettorale per le regionali 2010 dal palco di Piazza Villari a Torino.

Un discorso che ha toccato tutti i punti della lunga campagna elettorale che ha visto il progressivo cambiamento dell’aria che si respirava attorno al Partito democratico: la presunzione della destra di poter cavalcare le difficoltà dell’opposizione, di “essere in carrozza, simulando le elezioni europee” e l’idea di Berlusconi di mettere il Pd in una riserva indiana è stata capovolta dai fatti e dalla costatazione che “la griglia di partenza è in una condizione diversa. Forse – ha continuato Bersani – non eravamo noi stessi troppo convinti perché sottovalutavamo le nostre forze. Ma quando è ora di combattere ci ritroviamo attorno ai nostri valori e combattiamo!”

Bersani ha rivendicato come la scelta iniziale di cercare convergenze ampie non era “politicismo” ma la necessità di vedere se c’era una parte, anche nell’area moderata, convinta dopo due anni di Berlusconi, che quella intrapresa non fosse la strada giusta.

Insomma “abbiamo acceso i motori e i motori girano. Abbiamo l’idea di portare i riflettori attorno alle questioni fondamentali per gli italiani: il lavoro, il reddito, la scuola, la sanità e così via”. Ma non basta perché è necessario “unire questi temi alla difesa della migliore costituzione del mondo. La nostra. Questo è l’asse della nostra campagna elettorale” ha ribadito il leader democratico.

Il Pd è un grande partito popolare e se stamattina alle 5 Bersani era presente ai cancelli della Fiat “è perché io potessi dire un’ora dopo che in Italia che c’è della gente che va a lavorare alle 6 per migliorare un salario di 1200 che è a rischio di cassa integrazione”. E come per la Fiat lo stesso discorso è valido per tutte le fabbriche che sono in difficoltà.

“Berlusconi è piuttosto nervosetto – ha puntualizzato Bersani – io un sorriso riesco anche a farlo, lui non ci riesce più. Parla di partito dell’amore ma digrigna i denti: ha la rabbia contro i magistrati, la sinistra che mangia i bambini, le trasmissioni che fanno comunicazione. Un clamoroso boomerang: neanche in Iran riescono ad oscurare la comunicazione!” Il consiglio per il premier è molto chiaro: “Prendi il telecomando e cambia canale come facciamo noi quando vediamo la tua faccia, cambia canaleee” ha ironizzato il segretario del Pd, portando anche la mano vicino alla bocca come per far arrivare il messaggio forte e chiaro al premier.

Invece di pensare al Paese, Berlusconi continua come un disco rotto a parlare di “bene e male” e a preferire il solo “dibattito ideologico perché non vuole pagare dazio del confronto. Se si fa un confronto al primo giro parli di sinistra e magistratura. Ma al secondo devi parlare dei veri problemi della gente”. E questo Berlusconi non lo sa fare.

Quindi l’affondo diretto al premier: “sei in giro dall’anno di grazia 1994 e negli ultimi 9 anni sei al governo da 7. In tutto questo tempo cosa hai fatto? Ci puoi in che cosa siamo migliorati?”. Si è trattato di sole promesse disattese. Onde per surfisti, onde di “balle, fino all’ultima: l’eliminazione del tumore nei prossimi anni. Ma una cosa è chiara, la spiaggia è molto vicina”!

“Finché l’economia regge le balle e le onde reggono. Ma ora è arrivata la crisi e lui ha raccontato un film che ha disarmato il paese. La sua risposta è stata aspettiamo che arrivi il bel tempo. Berlusconi e Lega, perché senza la lega non ci sarebbe Berlusconi, hanno la colpa di essere stati con le mani in mano davanti alla crisi”.

Il premier è un uomo che mette la faccia davanti a un miracolo, mai davanti ad un problema. “Non si è mai rivolto al Paese come hanno fatto la Merkel e Sarkozy per dire tiriamoci su le maniche. Lui non può dire c’è un problema perché Apicella non gli ha fatto quel accordo li. Lui ha l’orecchio da miliardario, quelli che hanno problemi zero. Da due anni siamo totalmente fermi nell’affrontare la crisi economica e sociale.

E con lui ministri come Tremonti che pretende di insegnare al Pd come tenere i conti in equilibrio. “Lui a noi? I conti li ha sbarellati due volte e noi abbiamo rimesso la barra diritta al punto da perdere le elezioni. Lui, che ha fatto il più grande condono per gli evasori all’estero, ripulendo il denaro sporco con la modica cifra del 5% per gente che avrebbe dovuto pagarne il 40%. Negli ultimi due anni sono stati incassati 20 miliardi di Iva in meno”.

E con Tremonti, altri splendidi esempi si trovano nelle fila del governo: Brunetta, Zaia e Castelli. Tutti candidati in queste elezioni e tutti disposti al doppio incarico. Dai fannulloni ai “fantuttoni”

“Tutte le cose fatte – ha continuato Bersani – sono state fatte per chi è al riparo dalla crisi e non quelli che stanno sul fronte della crisi: le piccole imprese e famiglie. Ad andare sotto l’acqua siamo capaci tutti ma bisogna capire per quanto tempo! Dobbiamo correre per accorciare i tempi della ripresa. Investimenti che diano lavoro subito”.

Nessun ponte sullo stretto ma piccole opere da affidare ai comuni sbloccando il piano di stabilità, investimenti sulla politica energetica e ambientale, sui settori in difficoltà. Soldi in tasca ai redditi più bassi e pensioni dignitose per aumentare i consumi e ridare fiato all’economia. Insomma un pacchetto anticrisi serio

“Se vinciamo il giorno dopo dirò: Berlusconi hai capito sì o no che è ora di discutere dei problemi della gente e non dei problemi tuoi? Questo il senso della nostra campagna elettorale. Non siamo tutti uguali! A noi nel mucchio non ci si mette”.

La questione è se si vuole cavalcare i problemi o se si vuole risolverli. Il governo li cavalca per ottenere consenso. Nessun consenso invece, per averli risolti.

Nel Piemonte si conclude la campagna elettorale. In quella regione che attraverso Mercedes Bresso interpreta in maniera eccezionale il suo orgoglio e la sua modernità. Una regione in bilico, che è ha una missione da svolgere per conto della nazione: fare da cerniera con l’Europa. Non solo per le infrastrutture ma per il suo modo di porsi e di pensare in maniera europea.

“Berlusconi porti rispetto a Mercedes Bresso e al suo ruolo istituzionale in Europa. Se lei ha risposto all’insulto con ironia (Berlusconi usa più trucco di me), io, a sostegno della sua tesi, dico che dal 1994 io o molti capelli in meno. Lui di più”.

Nel 2011 si festeggeranno i 150 dell’Unità d’Italia. “Scordiamoci che sia una occasione commemorativa perché è nell’attualità del problema. Noi come Partito democratico diremo la nostra sull’unità della nazione, sui temi di fondo di questo paese, per discutere delle nuove condizioni senza retorica passatista”. Berlusconi ha diviso il tessuto civico, morale, etico. Rotto la coesione, portato all’atomizzazione e corporativizzazione del Paese.

“Il Pd è un partito nazionale e popolare. Il partito della nuova unità della nazione e della antico rispetto per la Costituzione della Repubblica. Noi non possiamo avere il Piemonte in mano alla Lega. Questo è il punto fondamentale della questione di oggi e dell’Italia del futuro. In poche parole un’altra Italia , un tratto di concretezza e di cambiamento basato su poche parole: lavoro, onestà, serietà e regole su cui costruire un grande partito popolare.Forza che ce la facciamo”.

da www.partitodemocratico.it

******

«Il leader Pd tra gli operai: il vento sta cambiando», di Simone Collini

Comincia col buio l’ultima giornata di campagna elettorale di Pier Luigi Bersani, alle 5, a Torino, davanti ai cancelli di Fiat Mirafiori, con una pioggia che scende giù fastidiosa e il tempo di un volantino allungato e di una stretta di mano per dire agli operai che arrivano quello che vuole dire, facendo attenzione che il modo sia quello giusto, perché c’è da fare i conti con i nervi provati da un’alzataccia alle quattro o giù di lì e con una più profonda sensazione di essere stati abbandonati anche da chi si sarebbe dovuto battere per loro. Alcuni glielo dicono direttamente, al segretario del Pd, che non va bene farsi vedere solo alla vigilia delle elezioni, che l’opposizione dovrebbe fare di più per contrastare la destra, per difendere i diritti dei lavoratori, per aiutare chi ha redditi bassi e chi rischia il posto. Bersani se lo aspettava, praticamente è venuto qui proprio per questo, per bypassare i filtri mediatici e dirglielo altrettanto direttamente che se la crisi viene pagata dai più deboli la colpa è di chi per mesi ha fatto finta di niente e si è occupato d’altro, andando avanti a colpi di decreti e voti di fiducia.

“Oggi sono qui, ma finora non c’è stato giorno in cui non sia andato davanti a una fabbrica, in un quartiere popolare, a incontri con i lavoratori perché voglio che il lavoro torni al centro della discussione pubblica”, dice il segretario del Pd. “E questo voto dovrà servire a dare un segnale al governo, facendogli capire che adesso bisogna cominciare a parlare dei problemi veri del paese, non di quelli di Berlusconi, perché la crisi non è passata e bisogna reagire con un serio piano economico”. Quelli che varcano la porta 2 di Mirafiori continuando a scuotere la testa sono pochi. E nessuno si mette a fare battutacce, o a ad alzare la voce. In tanti invece son contenti di stringere la mano e parlare per un po’ col segretario del Pd e con la presidente uscente Mercedes Bresso. “Tute blu, non camicie verdi”, c’è scritto sul volantino della candidata del centrosinistra. Ed ecco l’altro motivo che ha portato qui Bersani.

IL RISCHIO PADANIA La sfida in Piemonte si gioca sul filo di lana. E vincerla è un obbligo, per più motivi. Per continuare a governare la Regione è quello più immediato. Ma poi c’è il fatto che qui si sta sperimentando la coalizione a cui punta Bersani, quella che va dalle forze della sinistra extraparlamentare fino ai centristi dell’Udc, e un fallimento non sarebbe di certo di buon auspicio per un analogo progetto sul piano nazionale. E poi c’è la terza ragione per cui è fondamentale per il centrosinistra vincere: dato per scontato che Veneto e Lombardia sono perse, se in Piemonte dovesse vincere il leghista Roberto Cota (con il Carroccio che ha già prenotato il comune di Milano) la Padania sarebbe sempre meno un puro parto della fantasia di Bossi e soci. “Fermeremo i lumbard sul Ticino”, dice con piglio battagliero Mercedes Bresso durante la manifestazione di chiusura, dodici ore dopo il volantinaggio davanti ai cancelli di Mirafiori (per inciso, quello alle 7, davanti alla porta 7, durante l’ingresso degli impiegati, si svolge in un clima molto più rilassato, con molti più sorrisi, strette di mano e anche qualche foto veloce col cellulare).

MORALISTI DA WEEK END Ma il rischio ce l’ha ben presente Bersani, che non a caso dopo aver passato la mattinata e buona parte del pomeriggio prima a Cuneo e poi ad Asti (il vantaggio del centrosinistra a Torino è assicurato ma deve arrivare almeno al 58% per compensare lo svantaggio che si registrerà nelle altre province) in quella stessa piazza, alla periferia nord di Torino, scelta perché nel cuore di un quartiere popolare e ora gremita di simpatizzanti ed elettori, lancia l’affondo più pesante proprio contro la Lega: “Se non ci fosse non ci sarebbe Berlusconi. Nei week-end i leghisti sono con il popolo, parlano di federalismo, fanno i moralisti, e poi durante settimana reggono la sedia al miliardario e votano tutto quello che vuole lui. E non ci venissero più a parlare di autonomia, dopo che Cota a piazza San Giovanni ha giurato nelle mani dell’imperatore”. Quindici ore dopo averla cominciata, il bilancio che Bersani fa dell’ultima giornata della sua prima campagna elettorale da segretario del Pd è sotto il segno della soddisfazione. Ci sono i telegiornali della sera a rovinare un po’ l’umore (“ci stiamo avvicinando a uno standard Kim Il Sung”), ma c’è anche la “felicità” per il sostegno di Vasco Rossi a Emma Bonino. Ma, soprattutto, c’è la convinzione che “dopo le batoste subite alle politiche e alle regionali, ora l’aria sta cambiando”.
da www.unita.it

******

«Maratona tv di Berlusconi, è polemica»
Il premier in onda su sei reti e radio. L’ira dell’opposizione: “Un dittatore”

Dalle regionali può arrivare un «mandato forte» al Governo, ma anche in caso di sconfitta del centrodestra per l’Esecutivo «non cambia nulla: abbiamo già un mandato per la legislatura». Berlusconi esclude contraccolpi sul governo da un’eventuale sconfitta alle regionali, prospettiva comunque «impossibile». E anzi nella lunga giornata di interviste tv traccia il lungo elenco delle nuove promesse per gli ultimi tre anni della legislatura: si partirà dalla riforma della giustizia e dalla stretta sulle intercettazioni, poi la riforma del sistema fiscale, infine quelle istituzionali, compreso il presidenzialismo.

Il premier fa il il pieno in tv nella serata di chiusura della campagna elettorale rilasciando interviste a Studio Aperto, Tg4, Tg1, Tg5 e Tg2 ed anche al Gr1 delle 19. Mentre nel pomeriggio Berlusconi era stato anche intervistato per circa un’ora da SkyTg24. Ma il messaggio a reti unificate fa infuriare l’opposizione. «Il dittatore del terzo millennio, dopo aver oscurato le voci a lui sgradite, imperversa su ogni rete del servizio pubblico, affidato ai fidi Masi e Minzolini, e su quelle Mediaset, delle quali è proprietario», tuona Leoluca Orlando portavoce di Idv. E di «vergogna» e «offesa all’intelligenza degli italiani e delle numerose professionalità che lavorano quotidianamente per Mediaset», parla il dipietrista Pancho Pardi.

Dal piccolo schermo Berlusconi ha voluto mettere i paletti alle ripercussioni nazionali del voto regionale: ogni regione in più “strappata” alla sinistra sarebbe un «successo», ma comunque la «vera vittoria sarebbe avere la maggioranza dei cittadini amministrati da noi». E poi l’assicurazione: anche se il centrodestra dovesse perdere, «ipotesi che non ritengo possibile», per il Governo «non cambia nulla perchè noi abbiamo un mandato per una legislatura, per cinque anni». Il giorno dopo le regionali, dunque, la prima riforma da affrontare per Berlusconi è «indubitabilmente» quella della giustizia. Come corollario, la stretta sulle intercettazioni: «Subito, credo nelle prossime settimane». Segue l’ammodernamento del sistema fiscale: per ora solo semplificazione della normativa. Per tagliare le tasse, prospettiva «inevitabile» del governo, serve prima ridurre la spesa. Solo «quando i conti pubblici lo consentiranno» si potrà tagliare l’Irap e introdurre il quoziente familiare.

Ultimo tassello del programma triennale del Governo, le riforme istituzionali: «Prima fra tutte la diminuzione forte del numero dei parlamentari» e poi «l’ampliamento della democrazia» con l’elezione diretta del premier o del Capo dello Stato. A scegliere tra le due opzioni saranno prima i sostenitori del Pdl, ma poi «deciderà l’Italia», spiega Berlusconi. Che dice di non avere preferenze: «L’importante è cambiare questo sistema assolutamente assembleare in cui il presidente del Consiglio non ha nessun ruolo e nessun potere». Una situazione, quella descritta da Berlusconi, che per lui stride con le accuse di essere un dittatore: «Mi viene da ridere, ahimè… Noi siamo subordinati al Capo dello Stato che interviene su tutte le leggi che facciamo e se non gli sta bene un parola non le firma, poi tutto deve passare in Parlamento e deve avere ancora la firma del Capo dello Stato, e poi ci troviamo davanti ad un organismo che era di garanzia ed è ormai politico che è la Corte Costituzionale». Ma ci sono anche due cose che Berlusconi proprio non vuole fare: un intervento sulle pensioni, «il sistema migliore nella Ue», e una nuova legge elettorale: «Quella che c’è ha funzionato».

da www.lastampa.it