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"Mr Prezzi, il cappuccino?", di Attilio Geroni

«Tre euro e trenta, grazie». Pago la prima colazione, due brioches e un cappuccino. Abituato al «tre euro e venti» guardo lo scontrino e scopro che ad essere aumentato è il cappuccino, e mica di poco: dieci centesimi. Mr. Prezzi, please, venga a prendere un caffé da noi. Proprio perché l’Iva non c’entra niente. È successo venendo al giornale una mattina. Non una mattina qualsiasi, ma sabato 17 settembre, giorno dell’Iva al 21%. Pendolarismo relativamente facile nel week-end, Gallarate-Milano e ritorno. Si può partire un po’ più tardi per arrivare al lavoro senza incolonnarsi subito dopo la barriera. Si può gustare con più calma la colazione, di solito due brioches e un cappuccino. Ci si può fermare a chiacchierare con qualche amico, in una cornice da bar sport alle nove del mattino: «Tre euro e trenta, grazie». Pago, saluto, esco e comincio un tour minimalista per vedere se il mondo di alcuni dei miei acquisti preferiti – elettronica varia, ma soprattutto cd musicali – è già impercettibilmente cambiato nel primo giorno di rincaro.

Vado a piedi verso il negozio di riferimento, Carù Dischi, in piazza Libertà. E ripeto mentalmente, senza una ragione precisa, «tre euro e trenta, tre euro e trenta». Paolo Carù, il proprietario del negozio, è un amico. Resiste in un’attività dove quasi tutti stanno chiudendo perché il suo pubblico è una nicchia di appassionati duri e puri del rock americano, del country, del bluegrass. È critico musicale, dirige la rivista «Ultimo Buscadero», e Carlo Massarini ha fatto tappa da lui con il Cooltour: «No, incasso io il colpo. Non riverso nulla alla clientela, anche se i margini sono già piuttosto bassi. Pensa che il doppio dei Grateful Dead, venduto al pubblico a 16 euro e 50, come negoziante lo pago 11,88 più l’Iva». Mi offre un caffè, prendo invece un cappuccino (basta brioches) e alla fine offro io. Siamo in un altro bar: «Due euro e quaranta, grazie».

Non molto lontano, sempre slow sulla strada per Milano, sulla statale del Sempione, c’è Mediaworld. Qui l’aumento dell’Iva è già realtà per i consumatori. Un cartello avverte che non c’è stato ancora tempo per correggere, ma che la cassa batterà il prezzo maggiorato dell’incremento Iva. Vedo sugli scaffali l’ultimo cd dei Red Hot Chili Peppers, prezzato a 14,90, che invece costerà 15,02. Reparto telefonini: «Certo, abbiamo aumentato, a tutto quello che vedi bisogna aggiungere il rincaro dell’Iva», spiega un addetto alle vendite.

Fuori di nuovo, stavolta a fare benzina, non prima di aver controllato il giorno prima (venerdì 16) i prezzi di benzina e gasolio. È come ha calcolato un collega del giornale, gli aumenti sono compresi tra 1,2 e 1,3 centesimi. Alla Q8 la super è andata da 1,572 a 1,587, il diesel da 1,455 a 1,470; alla Ip da 1,549 a 1,558, da 1,433 a 1,441; all’Avia da 1,545 a 1,558, da 1,410 a 1,421 e via crescendo.

Mai stato bravo coi numeri, ma il rincaro non mi disturba, nonostante il pendolarismo quotidiano in auto. A disturbarmi sono invece i «tre euro e trenta, grazie» e i «due euro e quaranta, grazie», dove il cappuccino, pochi giorni fa, costava 10 centesimi in meno. Direte: ma che c’entra l’Iva al 21%? Niente, appunto. Mr. Prezzi c’è (forse) del lavoro per lei.

Il Sole 24 Ore 18.09.11