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"Prevenzione sul lavoro, per non piangere dopo", di Claudio Stanzani

Oggi a Roma la Conferenza nazionale del Pd su salute e sicurezza. Sempre, dopo un grave incidente sul lavoro, come di recente a Barletta, quando ancora è forte il dolore per le vittime e la rabbia dei tanti che invocano sanzioni esemplari per i colpevoli, un poco alla volta il silenzio e la rassegnazione riprendono il loro posto nei media, nelle parti sociali e nella politica.
Fino alla volta successiva. E ancora una volta le domande restano senza risposte se non, forse, nei dibattiti delle aule giudiziarie.
Perché quei lavoratori erano entrati senza protezione in quel cassone? Perché altri senza formazione erano addetti a lavorazioni ad alto rischio? Perché in quel territorio nessuna sapeva di quelle aziende illegali e di quei lavoratori immigrati in nero? Perché non si aiutano le piccole aziende a stare sul mercato in modo da garantire lavoro e sicurezza? Perché qualcuno continua a considerare la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori solo un costo? Perché? Il compito della politica è quello di non far cadere queste domande e ricordare sempre a se stessa ed alle forze sociali ed economiche che la salute e la sicurezza dei lavoratori sono diritti fondamentali inalienabili iscritti nella Costituzione repubblicana e nella Carta dei trattati dell’Unione europea e che sul rispetto del lavoro e della dignità dei lavoratori si certifica il grado di civiltà di un paese.
Il governo Prodi nel 2008, con il decreto legislativo 81, aveva finalmente prodotto in Italia, in coerenza con l’acquis comunitario europeo, un quadro normativo coerente e moderno, che il governo Berlusconi ed il ministro Sacconi hanno destrutturato e depotenziato in modo irresponsabile, introducendo modifiche che non aiutano le imprese ed espongono l’Italia, come è cronaca di questi giorni, alla messa in mora ed a possibili sanzioni economiche da parte delle istituzioni europee per violazione dei principi di prevenzione e di valutazione dei rischi.
Così come l’incorporazione dell’Ispesl nell’Inail, che è stata decisa senza un progetto ma solo per inconsistenti valutazioni di costi; una operazione che rende ancor più debole e fragile nel nostro paese il ruolo della ricerca in materia di salute e sicurezza e di strategie di prevenzione nei luoghi di lavoro e che rischia di allontanarci dal resto dell’Europa. L’Italia, nel contesto dei grandi paesi europei e mondiali, è il solo a non avere una propria agenzia dedicata ai temi delle condizioni di lavoro! L’attenzione si risveglia quando gravi incidenti sul lavoro provocano infortuni e morti; ma non si parla mai dei milioni di lavoratori esposti a sostanze chimiche di cui non si conoscono gli effetti sull’uomo; delle decine di migliaia di lavoratori che a distanza di anni dall’esposizione lavorativa sono colpiti da tumori, come nel caso dell’amianto, oppure di tutte le patologie legate alla precarietà, all’organizzazione del lavoro ed allo stress.
Su questi ed altri temi urgenti, si è avviata nel Partito democratico una profonda riflessione ed una esperienza di coordinamento e di progettazione. Attraverso un gruppo di lavoro, composto di parlamentari, esperti e rappresentanti delle parti sociali è stato prodotto una prima bozza di manifesto programmatico in materia di tutela della salute e di sicurezza dei lavoratori.
Questo documento è la prima tappa di un percorso di lavoro che proseguirà nei prossimi mesi e che si articolerà in quattro grandi aree di approfondimento politico: il completamento del processo di riordino della normativa; la razionalizzazione dell’organizzazione pubblica preposta alla salute, sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro; la promozione dello sviluppo economico e sociale delle imprese; il rafforzamento dei diritti e dei livelli di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle politiche di prevenzione, salute e sicurezza nelle imprese e nel territorio.
Oggi, a Roma, il documento sarà presentato ad una Conferenza nazionale del Pd organizzata dal Forum lavoro e dal Dipartimento economia e lavoro del partito.
«Nella sicurezza del lavoro – come affermato dal capo dello stato Napoletano – è vietato abbassare la guardia». Attraverso il più ampio coinvolgimento di tutte le forze politiche, sociali e tecniche, nei prossimi mesi saranno assunte dal Pd iniziative di approfondimento tematico per valutare, confrontare e ricercare soluzioni da avviare all’azione politica.

da Europa Quotidiano 09.11.11

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“SERVE UN PIANO STRAORDINARIO PER IL LAVORO”, di Laura Pennacchi

Che altro deve succedere perché ci si decida a concentrarsi, radicalmente e concretamente, sulla questione della crescita come identificazione di un nuovo modello di sviluppo e, dunque,sulla necessità di un Piano straordinario per il lavoro ai giovani e alle donne? Dai disastri ambientali – come quelli che hanno sconvolto la Toscana, la Liguria, il Piemonte – alla persistenza e alla durata (si parla ormai di dieci anni) della crisi globale, all’ininterrotto rimbalzo dei problemi dell’economia reale su quelli della finanza e viceversa, tutto ci dice che non c’è più tempo da perdere e che c’è sempre più sovrapposizione tra breve periodo e lungo periodo.
Al contrario, al G20 di Cannes – ingombrato dall’eclatante inettitudine del governo Berlusconi nel far fronte alle drammatiche difficoltà dell’Italia – la linea espansionistica di Obama non è riuscita ad imporre una corretta interpretazione del nbinomio rigore-crescita, arrestando l’ortodossia restrittiva focalizzata solo sul rigore dei governi europei di destra guidati dal tandem Merkel-Sarkozy. Intanto la disoccupazione in generale, ma quella giovanile in particolare, esplode: è al 30% in Italia, al 50% in Spagna, al 20% in Francia. Mentre gli USA sono alle prese con una crescita insufficiente a far scendere il loro tasso di disoccupazione complessiva ben al di sotto del 9%, l’Europa è già sull’orlo della recessione, con un calo dell’attività economica che coinvolge tutti i paesi, compresa la Germania.
Questa situazione deve spingere a una lettura non acritica della lettera della Bce, commisurandone le indicazioni a quelle di altre banche centrali e dello stesso Fmi, sotto la cui tutela l’Italia viene ora collocata: Christine Lagarde dal suo
insediamento alla direzione del Fondo sconsiglia strategie di
rientro dal debito «troppo rapide», tali cioè da provocare contraccolpi presidente della Fed, da mesi ammonisce i governanti a tener conto della «fragilità» delle loro economie reali e King, governatore della Banca d’Inghilterra, esclude che tanto la «liquidità» quanto l’«austerità» siano le risposte adatte per «recuperare competitività». Il punto è che per trattare lo sconvolgimento epocale che la crisi globale sta provocando occorrono sia flessibilità operativa sia una rivoluzione culturale.
Bisogna liberarsi di un liberismo che, nonostante il suo acclarato fallimento, si riproduce di continuo – basta riferisi alle rinnovate pretese di autoregolazione con cui la finanza ostacola il necessario processo della sua riforma -, ma anche dare vita a un nuovo paradigma.
È qui che i problemi del rilancio della crescita, quelli del cambiamento della sua natura e qualità, quelli del varo di programmi pubblici di diretta job creation per la produzione di beni e servizi utili, vengono a coincidere.
La convinzione alla base di tutto è che il job gap non sia soltanto un effetto della recessione: una volta stabilitosi
esso diventa un meccanismo autoperpentuantesi che ostacola il processo della ripresa economica (frena il mercato degli immobili e l’industria delle costruzioni, forza all’attesa i consumi, costringe all’immobilismo il settore dei beni
capitale, mantiene la finanza nella sua riluttanza a concedere
prestiti), per cui diventa necessaria una forte iniziativa pubblica. Inoltre, mentre gli utili finanziari e i profitti rimangono alti, le classiche soluzioni ideate negli anni 80 – tagli alle tasse, precarizzazione dei mercati del lavoro e bassi salari, deregulation – oggi non funzionano e in ogni caso beneficiano di più la finanza e il business che non
l’occupazione, per di più creando uno scarto enorme tra mercati del lavoro crescentemente flessibilizzati e il gran numero di persone intrappolate in lavori insicuri e mal pagati. Quando la domanda aggregata cede e i consumi flettono, anche la liquidità creata da politiche monetarie accomodanti non prende la via degli investimenti che, infatti,
stanno drammaticamente crollando. Destinare una parte
dei proventi di una patrimoniale a un Piano straordinario per il lavoro ai giovani e alle donne nei campi della green economy, della riqualificazione urbana e territoriale, dei beni culturali, dei beni sociali darebbe il segno di quel salto culturale idoneo a legittimare, politicamente e progettualmente, la fase che si apre con il tramonto di Berlusconi e del berlusconismo.

L’Unità 09.11.11