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"Le donne in piazza per un New Deal rosa" di Mariella Gramaglia

Anche in politica esiste il tempo dell’attesa. Nel nostro caso italiano attesa di misure economiche che presto verranno. Imporranno sacrifici? Torneranno a farci crescere e sperare? Saranno eque? Oppure soltanto severe? E’ finito il tempo dell’urlo di rabbia contro la dignità femminile calpestata. Le donne di «Se non ora quando» lo sanno e, al prossimo appuntamento dell’11 dicembre, in Piazza del Popolo a Roma e in tante altre città italiane, vogliono dare una coloritura nuova: quella del dialogo, della proposta, dell’impegno ragionato. La considerano la prima manifestazione nazionale dell’era post-berlusconiana. Se non le donne, chi? – dicono, contando sulla potenza dell’enorme manifestazione del 13 febbraio scorso, sul colpo energico che hanno saputo assestare alla vecchia rotta della nave.

Questa volta c’è anche il caso che il governo le ascolti e questo le grava di una responsabilità in più: di essere forti e chiare, di essere in molte e soprattutto di farsi capire da molte. C’è il caso che le ascolti, ma non è detto. Dopo l’entusiasmo per tre ministre in ruoli chiave, la nomina dei sottosegretari raffredda gli animi. Le donne, nell’insieme del governo, sono meno del 12%. Lontanissime dall’esprimere quella democrazia paritaria che già è stata attuata in molte giunte cittadine dopo le elezioni di primavera. Ognuna di loro è così competente da sentirsi al 100% al posto giusto: non solo pari, ma anche superiore ai suoi colleghi. Ma è al 38% che manca che dovrebbero industriarsi a dar voce, considerandolo anche in termini collettivi, come specchio di un’assenza che è di tutto il Paese, nelle professioni, nelle imprese, nelle banche, nelle università. Si lasceranno intimidire dal complesso del Panda e dall’insofferenza per i rituali femministi, oppure capiranno che, nel dire che le donne devono essere il 50% dappertutto, come ha ribadito «Se non ora quando» anche in questa occasione, c’è un’idea di sviluppo dell’Italia?

Già, perché un gruppo di economiste vicine al movimento sta pensando a un programma che, in omaggio all’età rooseveltiana, in cui si uscì dalla crisi moltiplicando le energia impiegate nel lavoro e nella ricostruzione, ha deciso di chiamare «pink new deal». Un nuovo patto in cui il fisco non scoraggi le donne dall’avere un lavoro regolare, in cui le lavoratrici non firmino dimissioni in bianco nel caso restino incinte, in cui l’assegno di maternità sia come un diritto di cittadinanza, disponibile per ognuna, in cui i congedi di paternità obbligatori facciano uscire la condivisione del lavoro domestico dal limbo delle buone intenzioni. E soprattutto un patto di costruzione delle infrastrutture sociali a sostegno delle età più fragili della vita. Grandi e impegnative come sono o dovrebbero essere quelle edilizie e viarie. Del resto, se nel nostro meridione solo tre bambini su cento vanno all’asilo nido, contro i trentatré che ci raccomanderebbe l’Unione europea, è proprio di grandi opere che stiamo parlando, imponenti come il ponte sullo stretto di Messina.

La forza di pressione del movimento, la sua legittimità a battersi per un patto di così profonda trasformazione, viene anche dalla difficoltà a catalogarlo e a costruire un recinto che lo contenga: in un’area politica, in una generazione precisa, persino in un punto di vista femminile alla maniera di un sindacato, dato che molti uomini lo sostengono e lo interpretano come una leva di trasformazione sociale. Il civismo, il senso di responsabilità verso la collettività, il desiderio di aprire il perimetro della cittadinanza anche a chi non è nato in Italia, ne fanno un movimento democratico plurale. «Care donne, italiane per nascita o per scelta» – recita l’incipit della lettera di convocazione della manifestazione dell’11 dicembre prossimo.

Virginia Woolf, nel lontano 1928, per spiegarsi il silenzio, l’assenza, la voce flebile delle donne nella letteratura, inventò un personaggio, Judith, la sorella di Shakespeare: in teoria avrebbe avuto lo stesso talento del fratello, ma non sapeva né leggere né scrivere, scappò di casa, fu sedotta, rimase incinta e non lasciò traccia di sé. Le nostre Judith del ventunesimo secolo sanno leggere e scrivere (di frequente assai bene), se ne hanno la possibilità escono di casa con la benedizione di papà e mamma, spesso sanno anche come non rimanere incinte, ma non contano altrettanto quando hanno lo stesso talento del fratello. E’ per questo che «Se non ora quando» ha ancora per dirla con Monti – tanti compiti da fare per la democrazia italiana.

La Stampa 30.11.11

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“La seconda volta delle donne: senza di noi non riparte l’Italia”, di Mariagrazia Gerina

Di nuovo in piazza, nove mesi dopo. Per dare vita a una nuova
stagione di mobilitazione contro la crisi. «Se non le donne, chi?». La loro ricetta? «Lavoro e welfare. Senza di noi il Paese non può ripartire». C’è chi dice: «Finalmente». Perché, in tante,da tempo, sentivano il bisognodi una «seconda volta», dopo quel 13 febbraio, che, in piena Italietta del Cavaliere e delle Olgettine, ha segnato l’atto di rinascita del movimento delle donne. E poi perché: «Se non le donne, chi?». Ora che c’è un altro governo da incalzare. E allora, eccole, quelle di Se non ora quando, chiamare tutte a raccolta, un’altra volta. L’11 dicembre, di nuovo in piazza del Popolo, a Roma. E contemporaneamente nelle altre piazza d’Italia. Con l’orchestra sinfonica che suonerà le arie di Tosca, Norma, Carmen, Cenerentola. E poi Paola Turci e Marina Rei, Emma Marrone e Erica Mou, a chiamare all’appello anche le giovanissime. Come nove mesi fa. Più «libere», ora che l’agonia del governo Berlusconi è finita. E ci vorrà pure un nuovo urlo collettivo – ironizza Cristina Comencini – per sottolineare il momento. Ma anche meno disposte ad aspettare ancora che i temi da cui dipende il futuro delle donne e del paese trovino spazio nell’agenda della politica. Dal palco, Chiara Saraceno parlerà di welfare, Annamaria Testa della rappresentazione femminile nella pubblicità.
PROPOSTE ANTI CRISI
Liberare le donne dal peso del welfare che attualmente ricade interamente sulle loro spalle. E quindi più asili, più servizi. È questa la ricetta per far ripartire il paese, che Se non ora quando si prepara a scandire in piazza. E anche «più cittadinanza», suggerisce la futurista Flavia Perina, aggiungendoil tema dell’immigrazione sul tavolo aperto dalle donne. «Vogliamo segnare questa stagione con la nostra forza, contare sulla scena pubblica, adesso e domani, quando si voterà», spiega la storica Francesca Izzo. «La vera tragedia della vita italiana è il basso tasso di partecipazione al lavoro delle donne», scandisce la regista Cristina Comencini, che rivendica la natura «costruttiva» del movimento da lei fondato insieme alle altre: «Anche il 13 febbraio non era contro che scendevamo in piazza ma per». Alle spalle ora c’è un anno «importantissimo». In cui, «da Palermo ad Aosta», come cantava De Andrè, sono nati centoventi comitati. E una consapevolezza: «Se le donnenon prenderanno il potere, una parola che a molte non piace ma a me sì, gli strumenti
per partecipare alla vita attiva non li otterremo mai», scandisce ancora Comencini. Un vero e proprio programma
politico: «Se non le donne, chi?», appunto. La manifestazione è solo il primo passo. Quello che le donne intendono costruire a partire dall’’11 dicembre è una nuova stagione di partecipazione, che incalzi il nuovo esecutivo, ma guardi già alle prossime elezioni. Candidature in vista? Questo è
sicuro. «Non la mia», si schermisce Comencini. E però: «Invadere i partiti per rinnovarli», è questo il motto che suggerisce al movimento. «E penso anche che per far spazio alle donne un po’ di uomini dovranno andare a casa», aggiunge. Riforma elettorale, con meccanismi che favoriscano l’elezione di donne in parlamento. E un prossimo esecutivo, composto per metà da donne. Qualcuna ragiona anche di una lista tutta al femminile. Ma il tema divide. C’è chi, come Francesca Izzo, pensa che non sia quello lo strumento di un movimento trasversale, nato per incalzare tutti i partiti. E chi invece,come Giulia Bongiorno, 32 anni, imprenditrice siciliana, omonima della deputata di Fli, a Castelvetrano, ne ha già fondata una in vista delle amministrative della prossima primavera.

L’Unità 30.11.11