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Bindi: "L'alternativa ai partiti? Populismo e tecnocrazia", di Rosy Bindi

Rosy Bindi, secondo alcuni commentatori di autorevoli quotidiani bisognerebbe eliminare i rimborsi elettorali ai partiti, anzi bisognerebbe fare a meno anche dei partiti.
«Non risponderò mai che ci vorrebbe una società senza giornali».
Ammetterà che lo scandalo Lusi prima e quello della Lega ora hanno messo il dito nella piaga. Soldi pubblici finiti nelle tasche private dei politici.
«Sono molto amareggiata dal fatto che a scatenare tutta questa offensiva contro i partiti e il finanziamento pubblico sia stata la vicenda della Lega. È come se per qualcuno fosse crollato l’ultimo baluardo della legalità e della moralità. Non sono soltanto amareggiata ma anche indignata: ritenere la Lega un serbatoio di moralità è il segno di come una società e alcuni commentatori non abbiano memoria di quello che è accaduto negli ultimi anni. La Lega ha finito per rappresentare tutte le contraddizioni di questo Paese».

Per Bossi è stato fatale l’abbraccio con Berlusconi?

«L’alleanza con Berlusconi ha avuto il suo peso, ma non è solo questo. Stiamo parlando di una forma partito ispirata a principi antidemocratici, dove il capo decide e il suo cerchio magico tiene in mano le sorti dell’organizzazione interna. La Lega in questi anni ha cercato di spaccare il Paese e inveito contro la solidarietà e gli immigrati».

Il risultato è che mai come ora i partiti sono stati così impopolari. Come si restituisce fiducia? Può essere una risposta sufficiente l’accordo di maggioranza raggiunto oppure è, come qualcuno lo ha definito, solo «melina»?

«Guardi che noi tutti dovremmo essere contenti che un sistema come quello sia crollato perché in un Paese dove c’è un organizzazione politica che si ispira a principi antidemocratici come quelli della Lega è un virus per tutti».

Lo ritiene davvero finito quel sistema?

«Sicuramente è finita l’illusione che loro fossero i duri e puri. Detto questo è chiaro che qui non siamo solo davanti a mele marce come Lusi o Belsito. Siamo di fronte ad un sistema nel quale le mele marce possono annidarsi, quindi va cambiato e democratizzato. L’utilizzo delle risorse, poi, deve prevedere una collegialità delle decisioni e rigidi controlli da parte di tutti gli elettori e mi sembra che le decisioni prese da Pd, Pdl e Terzo Polo vadano in questo senso. Soltanto chi non vuole più i partiti può sostenere il contrario».

E rispetto ai finanziamenti che cosa pensa?

«Il primo punto è la trasparenza perché abbiamo accertato che i tesorieri sono sottoposti a controlli. Ma è evidente che si dovrà affrontare anche il tema della consistenza dei rimborsi elettorali, purché si parta dalla riaffermazione decisa del principio che il finanziamento pubblico ai partiti è necessario e, per quanto mi riguarda, nettamente preferibile a quello privato».

Anche in questo caso meglio guardare all’Europa che agli States?

«Certo. Il finanziamento privato, anche il più trasparente, dai cinquemila euro in su come è stato deciso, è comunque una forma di condizionamento della politica di un partito. Io non voglio una politica prigioniera delle lobby, l’America da questo punto di vista insegna».

Ma oggi arrivano fiumi di soldi. Non andrebbero ridotti?

«Credo che vada cambiato il sistema dei rimborsi: i partiti devono certificare le spese effettivamente sostenute ma non sono quelle elettorali. I nostri partiti non sono comitati elettorali e la nostra Costituzione prevede una partecipazione a tempo pieno. Non possiamo pensare di rimborsare i manifesti elettorali e non la vita di un partito che dovrebbe essere addirittura più vivace di quanto non lo sia oggi».

Lei, come Bersani, sta difendendo i partiti e la loro vita interna, ma in questo periodo riscuote molto più successo chi dice che non devono prendere più un euro dal pubblico.

«Io difendo, come il segretario del Pd, la democrazia partecipata che dura tutto l’anno e il ruolo dei partiti che hanno strumenti, strutture, organizzazioni, studio e militanza che devono funzionare sempre, non solo in periodo elettorale. Detto questo, possiamo anche ragionare sul quanto. Dobbiamo cioè stabilire un nuovo equilibrio dell’ammontare del finanziamento alla luce del momento economico difficile che sta vivendo il nostro Paese. E questa può essere un’occasione per razionalizzare il funzionamento dei partiti stessi e delle loro spese, tenendo conto che in questi anni abbiamo già diminuito i fondi del 30%».

Don Ciotti propone di destinare la tranche di luglio al sociale. È d’accordo?

«Siamo realisti. Si può dare un segnale importante, non c’è dubbio, ma ci sono delle organizzazioni in piedi che hanno un loro costo. A una macchina in corsa si può chiedere di andare più piano ma non di arrestarsi all’improvviso, oltre al fatto che ridurre la disponibilità economica nell’anno in cui ci sono le elezioni politiche può significare penalizzare quei partiti che hanno meno facilità di altri a procurarsi fondi. Il pericolo vero di questo momento è che qualcuno vuole inchiodare il Paese ad un’alternativa tra populismo e tecnocrazia e purtroppo l’Italia è più incline di altri a questo rischio come la storia ci ha più volte dimostrato. Per questo i partiti devono essere ora più che mai credibili».

Teme che il governo dei tecnici possa far illudere che non ci sia bisogno dei politici?

«Non credo, ho l’impressione che sia iniziata la fase difficile anche per il governo che invece va sostenuto, non è il nostro nemico. In questi mesi l’esecutivo ha capito che o fa l’alleanza con i partiti e il Parlamento o non può esserci una fase due della sua azione politica».

L’Unità 13.04.12

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