attualità, cultura

Nella roccaforte di Marine Le Pen “Il cuore è rosso, ma la collera nera”, di Marco Castelnuovo

Qui non ci sono picchiatori, uomini neri con la testa rasata, razzisti. Qui non ci sono fascisti. Hénin-Beaumont è il feudo di Marine Le Pen. La donna nera, e non solo perché farà da arbitro al ballottaggio, è una tranquilla cittadina nel Pas de Calais, a settanta chilometri dal confine belga, dove la vita scorreva tranquilla. Nella parte ricca case di mattoncini rossi a un piano, giardino con altalena e barbecue, camino ancora acceso in questa primavera che tarda ad arrivare. Divisa dalla ferrovia che da Lens porta a Lille, la parte più popolare: casermoni del dopoguerra, grigi ma dignitosi, a ospitare i minatori che fino agli anni 70 hanno fatto di questa zona una delle più produttive del Paese.
È qui nella parte popolare, sopra un negozio di occhiali, ironia della sorte in rue Rousseau, che Marine ha deciso di rompere con il passato e la figura ingombrante del padre per ricostruire il “suo” Front National. Quello che ha battuto tutti i record, anche quello del 2002 che vide il vecchio Jean-Marie arrivare al ballottaggio ma con una percentuale inferiore a quella presa dalla figlia l’altra sera.
«Guardi qui», dice buttando una copia del quotidiano locale del giorno un cliente affezionato del bar “la Paix”, proprio di fronte alla cattedrale, uno dei pochi aperti in questo lunedì di pioggia battente e forte vento. «E sempre il Front National» si intitola l’editoriale. Butta il giornale sul tavolo del vicino: «Tutte le volte la stessa storia. L’Fn fa il botto, si dice che non deve più riaccadere, nessuno fa nulla. La volta dopo il Front National fa ancora meglio e ci si chiede il perché. È sempre la stessa sorpresa». Il gestore del locale Dino, condivide. «Qui siamo stati dimenticati».
Ma cos’è che vogliono gli elettori della Le Pen? Chi sono? A quest’ultima domanda è difficile rispondere. Nessuno ammette di votare Front National, anche se più di un elettore su tre domenica ha messo la croce sul simbolo della fiamma tricolore. Si vergognano, si dice. Chi si espone lo fa sotto anonimato perché – sostiene – altrimenti «quelli mi vengono a prendere e mi menano». Basta questa frase, detta da un settantenne con il bastone in una mano e il carrello della spesa nell’altra, per capire il rancore nei confronti di marocchini, algerini, insomma degli «arabi» come li chiama, spiccio, lui. «Non vogliono lavorare, non parlano francese, vivono con il sussidio e fanno piccoli furti: tanto se li arrestano che gli possono fare? Non hanno nulla da perdere». Il tema dell’integrazione (semi) fallita è centrale per capire la paura di chi vede perdere tutto. Ma non può bastare la paura per giustificare un exploit del genere, soprattutto in assenza di fatti eclatanti.
«È infatti un voto di scoramento» dice cercando di minimizzare David Noel, giovane segretario cittadino del Partito comunista. «In questa regione, gli elettori dell’estrema destra non sono più del cinque per cento». La Le Pen qui ha preso sette volte tanto. «Qui si usa dire che il cuore è rosso, ma la collera è nera», ammettendo così implicitamente che anche alcuni voti di sinistra siano finiti al Fn. In realtà poi spiega che se si analizzano i flussi di voto non è propriamente così, che lo scandalo locale che ha colpito l’ex sindaco socialista arrestato per corruzione ha pesato oltremodo, ma sa bene anche lui che quelli sono voti di gente normale, che lavora per pochi spiccioli quando va bene, che è stata lasciata senza speranza da mille e mille promesse poi mai mantenute. «Cacceremo questa feccia con getti d’acqua ad alta pressione», disse sfrontato Sarkozy nella cavalcata che lo portò all’Eliseo nel 2007. Di pompieri non ne hanno visti, e nemmeno Monsieur le President s’è più fatto vivo da queste parti. Con il risultato di avere perso otto punti secchi in cinque anni.
Madame Le Pen ha vinto la sua scommessa: non è di queste parti, ha passato i primi tempi ad ascoltare. Ha ricostruito l’estrema destra francese partendo da una zona mineraria, fatta di operai e gente senza ideologie. Domenica dopo il voto ha detto: «Porto con me lo spirito di Hénin-Beaumont». E non solo quello. Ha rinnovato la classe dirigente plasmando la sua creatura attorno a tre paure fondamentali: immigrazione, sicurezza, perdita del potere d’acquisto. E da qui è partita per fare il pieno sia nelle roccaforti del padre nel Sud est e in Corsica, sia sfondando in zone semirurali, come l’est della regione parigina. Oggi non rappresenta anche operai, impiegati, giovani non diplomati che temono il «declassamento sociale». Alla radio Marine si è rallegrata perché l’Europa teme il suo risultato: «É il ritorno della Nazione», ha detto rinviando al 1° maggio l’annuncio su cosa farà al ballottaggio. «Nessun voto» dicono a Hénin-Beaumont i militanti. Anche perché si pensa che una sconfitta di Sarkozy acceleri ulteriormente la disgregazione dell’Ump con tanti voti in libera uscita in vista delle legislative di giugno. Come in fondo è successo già qui. Oggi ci si sorprende, ma era tutto previsto. E prevedibile.

La Stampa 24.04.12

******

“L’elemento unificante delle destre estreme è sempre la xenofobia”, di Paolo Soldini

Da Bruxelles a Copenhagen passando per Berlino, allarme per l’affermazione del Front National. È il riflesso di un fenomeno più vasto che attraversa il Vecchio Continente ma non può essere derubricato come «nostalgico». Che cosa c’è dentro quel quasi 18% al Front National che ha rischiato di rovinare la festa di François Hollande per il primo turno delle elezioni presidenziali? Se lo chiedono un po’ tutti: chi con preoccupazione e invitando i leader europei «a fare attenzione alla minaccia populista», come la Commissione europea, chi sdrammatizzando «perché il problema non ci sarà più al secondo turno», come il governo tedesco; chi, come i ministri degli Esteri lussemburghese e danese, evocando le responsabilità di Sarkozy e della destra «rispettabile» per aver giocato sporco su temi come emigrazione e convivenza. Le risposte non sono facili. Ce n’è una apparentemente tranquillizzante e dice che da molti anni, ormai, in tutte le società europee esiste uno zoccolo duro di consensi per i partiti che in un modo o nell’altro si richiamano ai valori e ai princìpi dell’estrema destra. In questa ottica, ammesso che sia quella giusta per guardare al fenomeno, il successo di Le Pen sarebbe indicativo, sì, ma non proprio clamoroso. Già con suo padre il Front National aveva raggiunto percentuali quasi altrettanto massicce (17,89% al ballottaggio del 2002) e da allora sono passati dieci anni in cui i problemi che danno alimento al populismo e alla demagogia, a cominciare dalla crisi economica, dalla globalizzazione e dall’immigrazione, sono tutti aumentati.
Proprio il carattere «europeo» del fenomeno, però, rende non solo più complicata la sua comprensione, ma anche più problematiche le strategie per affrontarlo. Una ricognizione dell’estrema destra politica sul continente ci mostra una estrema varietà di spinte, anche contraddittorie. Alcuni partiti e molti movimenti esprimono una specie di «protesta contro la Storia» e rivalutano i vari fascismi europei e il nazismo, come la Npd tedesca, i panslavisti russi, i fascisti ungheresi o baltici, l’italiana Forza Nuova, il Partito nazionale britannico.
Ma per altri la ragion d’essere on è l’occhio al passato. Il Front National, la Cdu dello svizzero Christoph Blocher, il Pvv dell’olandese Geert Wilders, il belga Vlaams Blok, il partito del Popolo Danese di Pia Kjaersgaard, i partiti antitasse norvegese e svedese non sono affatto «nostalgici». Rivendicano, anzi, il fatto di essere molto «moderni», al passo coi tempi e «vicini al popolo» perché ritengono di esprimere al meglio le novità che le complicazioni delle società moderne diffondono nella coscienza di ampi strati della popolazione: la paura per le «invasioni» degli immigrati e le insidie per la sicurezza e l’ordine pubblico, il rifiuto della globalizzazione e di ogni idea di cessione di sovranità, l’ostilità verso i «signori di Bruxelles», un egoismo sociale e di gruppo apertamente ammesso e, anzi, rivendicato come un merito. È evidente che le drammatiche vicissitudini della crisi finanziaria e sociale forniscono ormai da anni abbondantissimo nutrimento a queste istanze.
Secondo gli osservatori, il vero piatto forte della campagna di Marine Le Pen è stato la polemica con Sarkozy sulla sua acquiescenza ai diktat di Bruxelles e di Angela Merkel (ed ora è anche il maggiore ostacolo alla confluenza su di lui dei suoi voti). Il rifiuto della globalizzazione e della comunitarizzazione delle politiche può assumere i caratteri della rivendicazione dell’orgoglio di Nazione, come nel caso del lepenismo, o in un regionalismo che costituirebbe la trama dell’«Europa dei popoli», com’è il caso dei movimenti secessionisti (Lega in Italia o il Vlaams Blok), o potenzialmente tali, come la Fpö austriaca che fu di Haider o il partito di Blocher.
Il panorama è vario e complicato, come si vede. Ma qualche elemento unificante di tutta la galassia dell’estrema destra europea c’è. Il primo è la xenofobia, che spesso sconfina nel razzismo aperto. Poi c’è, quasi sempre, un forte conservatorismo in materia di costumi pubblici e privati. E infine, e soprattutto, il populismo costruito intorno a figure carismatiche. I partiti di estrema destra, assai più che gli altri, hanno bisogno di un capo indiscusso e di un’autocertificazione di «diversità» rispetto al resto della politica. Ora, se si considerano questi tratti unificanti, è facile verificare che molti elementi di legittimazione politica della destra estrema sono venuti e vengono dal potere e dalla destra moderata e «rispettabile».
La Cdu e la Csu tedesche per anni hanno fatto campagna sullo slogan «das Boot ist voll» (la barca è piena); Sarkozy, trovando sponda a Berlino, ha movimentato le ultime ore della sua campagna con la proposta di sospendere Schengen; in Italia è stato ministro degli Interni un personaggio che voleva prendere le impronte digitali ai bambini e che si vanta ancora dei respingimenti in mare che hanno provocato morti e terribili sofferenze e sono stati condannati dalla comunità internazionale (e ora ammette: «Ci abbiamo marciato»).
Anche il populismo carismatico è stato blandito dalla destra «normale». Il razzista islamofobo Wilders è stato accettato come sostenitore del governo in Olanda; il partito di Haider ebbe ministri in Austria; in Ungheria c’è un leader messo sotto osservazione dalla comunità internazionale. Anche senza scomodare il caso paradossale dell’Italia, dove la Lega ha partecipato al banchetto del potere fin quasi al giorno della sua indecorosa rovina, l’esperienza dell’Europa mostra che il problema non è tanto l’estrema destra in sé, ma le politiche delle destre, di certe destre, che la nutrono. C’è da sperare che Sarkozy ne sia consapevole.

l’Unità 24.04.12

******

Intervista a Marc Lazar «Il risultato del Fn? È anche una forma di antipolitica», di Umberto De Giovannangeli

Il sociologo francese: «La sinistra segna una netta ripresa, ma non basta. Hollande cercherà di dare risposte pure a chi ha dato un voto anti-sistema». Il primo turno delle presidenziali registra una ripresa delle sinistre in Francia, con un più 8% rispetto al 2007. È un dato significativo ma che non deve attenuare il campanello d’allarme rappresentato dal successo del Front National di Marine Le Pen. Il risultato del Fn non è un incidente di percorso ma qualcosa che investe non solo la Francia ma l’Europa: perché testimonia della capacità attrattiva dei populismi che si fanno forti di sentimenti diffusi di insicurezza e di rivolta anti-sistema. Per certi aspetti, il successo della Le Pen è anche segnato da quel vento dell’”antipolitica” che soffia anche in Italia». A parlare è uno dei più autorevoli sociologi della politica francesi, professore a Sciences Po e alla Luiss.
Partiamo da una visione d’insieme dei risultati del primo turno delle presidenziali. Quali sono i dati più significativi? «Sono quattro. Il primo: una partecipazione più alta di quella prevista, il che sta a testimoniare che le elezioni presidenziali mobilitano i francesi, salvo nelle zone più periferiche delle grandi città. Il secondo dato: il candidato socialista, François Hollande, è in testa al primo turno, con il secondo risultato migliore tra tutti quelli registrati dai candidati socialisti nella Quinta Repubblica. L’unico che aveva fatto meglio di Hollande è stato Mitterrand nel 1988. Terzo dato importante: per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, il presidente uscente, candidato alla propria successione, arriva secondo al primo turno. Quarto dato, ma non in ordine di importanza: il Front National con Marine Le Pen registra il più grande successo nella storia del Fn». Guardiamo al futuro che si fa già presente. Su cosa punterà Hollande in quete due settimane che lo separano dal ballottaggio del 6 maggio? «Hollande insisterà con la sua strategia, quella, per dirla con le parole di Mitterrand dell’81, di una “forza tranquilla”. Cercherà di mettere al centro del dibattito, ancor più di quanto è stato fin qui è avvenuto, i temi economici e sociali, forte del fatto che i francesi considerano questi gli argomenti, le problematiche principali. Hollande cercherà inoltre di attrarre una parte dell’elettorato centrista di Francois Bayrou, certo com’è di ottenere quasi automaticamente i voti che al primo turno sono andati ai candidati della sinistra radicale, a cominciare dal leader del Fronte de Gauche Jean-Luc Mélenchon, e a Eva Joly, la candidata dei Verdi. E, forse, Hollande cercherà di parlare anche a una parte dell’elettorato del Front National, insistendo sulla sofferenza sociale prodotta dalla crisi e dal rigore a senso unico praticato da Sarkozy».
E Sarkozy, quali carte proverà a giocare?
«Su cosa Sarkozy punterà è già chiaro dall’altra sera, a urne chiuse per il primo turno: insisterà sull’immigrazione come minaccia a cui far fronte, chiamando in causa l’Europa “permissiva” che non regola i flussi migratori, batterà il tasto dell’’insicurezza, esalterà la Nazione francese per prendere i voti di Marine Le Pen. La sua sarà una corsa a destra»
Marine Le Pen, per l’appunto. Come leggere il suo risultato? Terza classificata, con il 17,9% dei voti…
«Va detto che esiste un nucleo forte del voto del Fn da quasi trent’anni in Francia. In quel 18% ci sono inoltre molti elettori delusi da Sarkozy e che avevano votato per lui nel 2007. A tutto ciò va aggiunta una componente di protesta contro tutti i partiti, alimentata dalla crisi economica e dalla gravissima situazione sociale».
Quali ricadute sull’Europa potrebbe avere una vittoria di Hollande il 6 maggio?
«Se Hollande sarà il nuovo Presidente, ha già annunciato che cercherà di rinegoziare il trattato fiscale europeo. Sarà molto difficile, ma Hollande scommette su una doppia vittoria in altri due Paesi europei: l’Italia, nelle elezioni della primavera 2013, e la Germania, con le legislative dell’autunno 2013. Molte cose dipenderanno anche dal risultato delle elezioni legislative francesi di giugno. Se il Ps otterrà la maggioranza assoluta da solo, allora avrà un certo margine di manovra; se invece non l’avrà, il Ps di Hollande dipenderà dai voti dei parlamentari del Front de Gauche, che sono molto ostili all’Europa attuale».
Il voto del primo turno visto da sinistra e da destra: cosa indica anche in chiave europea?
«Questo primo turno indica una ripresa delle sinistre in Francia che, con un complessivo 43,5%, ha una crescita di 8 punti di percentuale rispetto al 2007. Ciò potrebbe indicare una nuova stagione per le sinistre in Europa; una stagione ancora fragile, però, perché in Francia questa crescita è dovuta soprattutto al rigetto di Sarkozy. Ma in chiave europea penso soprattutto alle elezioni nel 2013 in Italia e Germania oltre che in quella interna, deve far riflettere il successo di Marine Le Pen, perché quel risultato dimostra lo spazio politico-elettorale che oggi possono avere i populismi in Europa».

L’Unità 24.04.12