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Obama accusa la Ue "La crisi è colpa sua", di Federico Rampini

La grande fuga dall´euro è cominciata davvero. Non più solo risparmiatori greci e spagnoli che ritirano piccoli depositi dalle loro banche; non più solo capitali speculativi con le loro scommesse ribassiste. Stavolta si muovono le multinazionali dell´industria, della grande distribuzione, del turismo e dei servizi. Il deflusso dettato dalla paura coinvolge l´economia reale, non soltanto gli hedge fund e le banche di Wall Street. L´allarme sale di un livello, contagia multinazionali americane ma anche europee: tutte a preparare “piani A, B e C”, scenari-catastrofe, misure preventive per limitare i danni mettendo i capitali al sicuro. Nel giorno in cui torna a crescere la disoccupazione americana, mettendo in serie difficoltà Barack Obama, nessuno è più al riparo dal disastro dell´eurozona. Commentando la frenataccia dell´occupazione Usa, Obama punta un dito accusatore: «La causa sono i problemi dell´Europa». Si confermano anche i rallentamenti di Cina e India, provocati in buona dalla stessa causa: la caduta delle esportazioni verso l´Unione europea.
É il Wall Street Journal a rivelare i grossi nomi dell´industria che stanno “tirando i remi in barca”, spostano fondi per non tenere più liquidità in Grecia o altre nazioni considerate a rischio. C´è il colosso farmaceutico GlaxoSmithKline, c´è il gigante delle bevande Diageo. Ci sono fior di multinazionali europee come la Heineken olandese, il tour operator tedesco Tui, la catena inglese di supermercati elettronici Dixons. In media il 20% delle imprese tedesche ammettono di avere in corso una sorta di “piano di evacuazione”. Alcune società di consulenza come Roland Berger, o grandi studi legali internazionali come Linklaters, fanno gli straordinari per rispondere all´assedio dei clienti, cioè le multinazionali in cerca di aiuto su come smobilitare il più presto possibile dai paesi a rischio dell´eurozona. O quantomeno ridurre i danni, nell´eventualità peggiore. Gli scenari contemplati vanno “dalla paralisi dei pagamenti trans-frontalieri, all´anarchia civile in Grecia, fino alla disintegrazione generale dell´Unione monetaria europea”. Le misure precauzionali prese dai big dell´industria: «Al primo posto mettere in salvo il cash, per non vederselo trasformato in dracme, o congelato da improvvise restrizioni sui movimenti di capitali». L´allarme partito dalla Grecia lambisce già la Spagna, soprattutto dopo che la Bce ha bocciato il piano di salvataggio dell´istituto di credito Bankia: la tenuta dell´intero sistema creditizio spagnolo ora è più aleatoria.
Il Wall Street Journal spiega che i piani di evacuazione delle multinazionali dalla zona euro sono “gli stessi che furono messi a punto e collaudati più di un anno fa verso i paesi del Nordafrica coinvolti nella primavera araba”. Un paragone che certo non depone a favore di Atene e Madrid. Tra le misure già avviate dalle multinazionali più prudenti: “Esigere dai clienti locali dei pagamenti anticipati al 50%, accorciare l´incasso delle fatture a 15 giorni”. Lo chiamano “contingency plan” ma assomiglia di più ai preparativi di una ritirata strategica. Nel settore assicurativo, due colossi come Allianz Natixis avrebbero già sospeso le polizze di garanzia sulle esportazioni verso la Grecia, considerando troppo elevato il rischio che gli importatori locali non paghino più la merce, oppuro saldino i debiti in una nuova moneta locale pesantemente svalutata. Nella grande distribuzione, la catena francese degli ipermercati Carrefour avrebbe ridotto gli approvvigionamenti di beni di largo consumo dei marchi Nestlé, Danone, Procter&Gamble. E´ una spirale della sfiducia autodistruttiva, che si auto-amplifica: dal fuggi fuggi precauzionale delle multinazionali non può che venire un altro colpo alla fragilissima economia greca, già in caduta del 6,2% nel primo trimestre.
Perfino l´America è colpita in pieno dal ciclone dell´euro-sfiducia, e questo spiega il nuovo pressing di Obama nella teleconferenza di mercoledì sera con Angela Merkel, François Hollande e Mario Monti. Il dato sull´occupazione Usa a maggio è molto deludente: sono stati creati solo 69.000 posti aggiuntivi (al netto dei licenziamenti), meno della metà del previsto. Una crescita del lavoro così asfittica fa sì che il tasso di disoccupazione torni a risalire, dall´8,1% all´8,2%. Il dato di maggio è il peggiore dall´inizio dell´anno e il New York Times lo giudica “potenzialmente devastante per Obama”. Le sue chance di rielezione perdono quota, via via che l´opinione pubblica vede sfumare una ripresa che solo tre mesi fa pareva robusta. Per Obama questo è il “terzo remake” di un brutto film. Già nella primavera del 2010 e nella primavera del 2011 accadde lo stesso: un inizio di ripresa Usa, abortito per colpa dei venti di paura venuti dall´eurozona. Ora vi si aggiunge un effetto circolare: le potenze emergenti Cina, India, Brasile, perdono colpi tutte insieme. Non c´è una sola locomotiva di crescita nel mondo, che riesca a compensare lo shock depressivo generato dall´eurozona. Gli unici beneficiari sono i Bund tedeschi che ormai vengono collocati sul mercato a tasso zero. Ma il credito a buon mercato è un vantaggio modesto per la Germania, se i suoi sbocchi di esportazione si rattrappiscono: è quel che Obama ripete alla Merkel, tentando di far leva sull´interesse nazionale tedesco che pure finirà per pagare dei prezzi.

La Repubblica 02.06.12