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"Rai, le nomine alla prova dei veti del Pdl in Vigilanza", di Natalia Lombardo

All’indomani della spiazzante mossa di Mario Monti con le nomine di altri super tecnici alla guida della Rai, è incerto l’esito di tutta la partita, che potrebbe essere ostacolata dai meccanismi della stessa legge Gasparri che il premier ha rinunciato a cambiare per i veti del Pdl.
Un match si aprirà in commissione di Vigilanza tra il 12 e il 20 giugno, considerato il fatto che il Pd, con Pier Luigi Bersani, è rimasto sul punto: davanti a nomine «credibili», come quella di Anna Maria Tarantola, «non faremo mancare il voto,mai partiti non devono partecipare alle nomine e quindi, per quanto riguarda i nostri, non li nominiamo».
Il Pd, quindi, si tiene fuori dal Cda, ma permetterà che la presidente designata raggiunga i due terzi dei voti, 27 su 40. Ammesso che nasca un nuovo Cda, il Pdl potrebbe però fare le barricate sul nuovo direttore generale indicato da Monti.
Lorenza Lei, la dg che fino all’ultimo era convinta di vivacchiare in proroga fino alle elezioni, da venerdì sera ha fatto fuoco e fiamme, raccontano da viale Mazzini, telefonando furiosa a Silvio
Berlusconi e agli altri referenti, da Paolo Romani a Gasparri, fino a Oltretevere. Prova ne sia la raffica di dichiarazioni del Pdl, in testa il segretario Alfano: bene il nome della presidente ma «perché togliere Lorenza Lei?». Il bocconiano Monti una gaffe l’ha fatta, quella di dire che Luigi Gubitosi è «direttore generale», saltando le procedure formali, come hanno fatto notare
Gentiloni, Merlo, Vita del Pd e, con toni più bellicosi, il Pdl. Palazzo Chigi ha poi recuperato: solo una «intenzione di presentare» la candidatura. Perché il dg viene nominato con un voto dal Cda, «d’intesa» con l’azionista che deve ratificarlo nell’assemblea, poi viene rivotato in consiglio.Un Cda che ancora non c’è, e qui si nascondono gli «agguati» della legge Gasparri sui quali mette in guardia in un tweet l’ex consigliere Rai, Nino Rizzo Nervo. Quindi i berlusconiani nel Cda potrebbero bocciare il montiano Gubitosi. E anche la riforma dello Statuto Rai (per dare più poteri al presidente, come varare con il dg contratti fino a 10mila euro) deve essere votato da una maggioranza nel Cda e con gli azionisti. Ora i passaggi sono questi: il 13 l’assemblea degli azionisti formalizzerà le nomine di Marco Pinto consigliere fiduciario del Tesoro (al posto del forzista Petroni) e la presidente Tarantola. Poi martedì il presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli, convocherà l’ufficio di presidenza per aprire i seggi verso il 20. Se il Pd non voterà i suoi, Pdl, Lega e Terzo Polo potrebbero votare da soli i sette consiglieri se avranno il numero legale. Nel Pd non tutti sono d’accordo, ma la segreteria è convinta che l’unica via sia cambiare la Gasparri. L’Udc apprezza a gran voce Tarantola (vicina al cardinale Bertone) e ripropone Raffaele De Laurentiis come consigliere; per l’Italia dei Valori i nomi sono «indigeribili» e non dà per scontato il sì alla presidente (al Senato ci sono da tempo quattro interrogazioni sulla numero due di Bankitalia). Di Pietro parla di «commissariamento mascherato in Rai» e oggi in una lettera a Zavoli chiederà un’audizione di Tarantola e l’esame dei curricula
dei consiglieri, dopo «la vergognosa spartizione» sulle Authority. La Lega potrebbe chiedere al Pdl il voto su Caparini. I berlusconiani non rinunciano alle nomine, (sperando nell’en plain, di sicuro confermando Verro e Rositani), a meno che non vogliano fare un bel gesto e puntare su candidature neutre, ma sembra difficile.
Nulla è scontato, e in Rai c’è molta preoccupazione. Lucia Annunziata non mette in discussione la scelta di due «persone rispettabilissime» fatta con la logica della «solidità di gestione», come ha detto Monti, ma, avverte l’ex presidente, «la crisi di gestione dalla Rai dipende dalla crisi del prodotto, e non viceversa». Perché è un’azienda «culturale» che «ha perso smalto» e ascolti e che potrebbe indebolirsi ancora se i tagli
colpiranno il prodotto, dall’informazione alla fiction, ai nuovi canali. A giugno si fermano i talk show Rai, per la gioia di Sky e La7: «Con la guerra del Golfo rivoltammo tutti i palinsesti», ricorda Annunziata, «ma l’attuale crisi europea è meno grave?».
Preoccupato Carlo Verna, segretario Usigrai: «Perché il Consiglio dei ministri ha deciso le nomine? Non era un decreto per cambiare la governance, Monti avrà voluto dare un segnale ai partiti, ma così ha reso la Rai dipendente dal governo di turno, un precedente pericoloso».

l’Unità 10.06.12