attualità, partito democratico, politica italiana

"Il senso del Pd per la ricostruzione", di Alfredo Reichlin

Speriamo che non sia troppo tardi. Ma, finalmente, il Pd ha cambiato passo. Non è partito da sé, dalle sue beghe interne, ma dalla enorme novità dello scenario reale che sfida la politica (e ben più della politica, sfida tutti: i vecchi giochi di potere come l’eterno trasformismo e qualunquismo italiano). Siamo in presenza di una cosa che riguarda il futuro del mondo nei secoli. Una cosa talmente inedita per cui fino a ieri non se ne poteva nemmeno parlare. Stiamo assistendo al fallimento dell’ordine economico mondiale in base al quale l’oligarchia dominante (la destra americana, e non solo) pensò di governare la mondializzazione consegnando un potere enorme ai cosiddetti mercati finanziari resi liberi di far circolare i capitali senza alcun controllo.
Lasciandoli così liberi di decidere, in larga misura, dell’uso e dell’allocazione delle ricchezze mondiali. Il dato di fondo è questo. Non è la partitocrazia, pur con tutte le sue colpe come ci vogliono far credere. La chiacchiera politica fa ridere. Noi stiamo assistendo al fallimento dei gruppi dominanti e a un gigantesco dramma storico. Il mondo è stato governato da loro. È chiaro? Ed è stato inondato di debiti e di moneta fittizia. Le ingiustizie sono diventate tali che sembra sia tornato il Medioevo. La figura storica di antichi Stati come la Grecia o la Spagna viene giocata ai dadi dalle banche. E nessuno capisce più dove va il mondo.
Ecco perché è così profonda la crisi della politica. I suoi errori e anche i suoi delitti sono innegabili ma al fondo se la politica sembra che non serva più a niente la ragione è che essa si muove in un vecchio orizzonte e non capisce che la scena è occupata da nuovi attori. Si è creata, nella crisi, una nuova umanità che esprime nuove domande di senso e di rispetto per la propria vita e che non si sente più rappresentata dal vecchio sistema politico.
Io credo che sia questo il banco di prova del rinnovamento del Pd. Le chiacchiere giovanilistiche alla Matteo Renzi non mi convincono. Vedremo. Allo stato, costui non mi sembra il nuovo ma «il vecchio che avanza». Capisco molto meglio le cose se leggo l’analisi del vecchio cancelliere tedesco Helmut Schmidt che, senza tanti giri di parole, ci avverte che «per la prima volta nella storia della Ue stiamo assistendo a uno smantellamento della democrazia». E che ci troviamo di fronte a uno scenario in cui alcune migliaia di grandi speculatori americani ed europei e qualche agenzia di “rating” hanno preso in ostaggio i governi in Europa.
Ecco il terreno dello scontro. Ed è questo che mi spinge a riflettere su cosa sono ormai le alternative. Io non riesco più a pensare l’alternativa (e quindi il futuro quadro elettorale) come nel passato, come cioè la semplice scelta tra questo o quel partito nel vecchio quadro democratico e istituzionale quando era chiaro dove stava la sovranità. Non posso non pensare a uno schieramento più ampio dove la centralità del Pd dipende dalle capacità di dar voce ai nuovi attori dei conflitti reali che si sono aperti. Chi sono questi attori? È vero, i partiti di destra si sono spappolati. Ma l’Italia si carica ogni giorno di più di disperazione, di sempre più cattivi umori, di spinte alle rivolte qualunquiste. Ed è su questo che stanno facendo leva con un cinismo impressionante molta parte delle vecchie classi dirigenti con le loro televisioni e i loro giornali che attendono solo di esaltare nuove avventure populistiche. La battaglia sarà durissima, richiede coraggio e capacità di innovazione. Perciò ho trovato giusta la scelta di Bersani di andare oltre i confini del Pd, per fare del Pd un partito più aperto, una casa comune per altre forze progressiste.
Io sono un vecchio comunista e non accetto affatto di negare la lunga e gloriosa storia della sinistra. Anzi, sono molto indignato quando vedo che anche giornali come la Repubblica o l’Espresso non hanno il coraggio di dire per quale ragione profonda che riguarda la storia civile l’Emilia risponde alla sciagura del terremoto mostrando quel volto straordinario. Quelle facce così coraggiose e dignitose che esprimono un così alto senso civico. E dopo tanta esaltazione del “grillismo” nessuno nota che tutti quei sindaci straordinari sono del Pd. Ma stiano tranquilli i miei compagni. Noi non vogliamo recidere affatto le nostre radici ma le esaltiamo ponendo la forza organizzata del Pd e il suo legame con la sinistra europea al servizio di un arco molto vasto di forze democratiche, sia progressiste che moderate.
Parliamo da anni di “riforma” dei partiti. Facciamola. Cominciamo a pensare il soggetto politico-partitico non più nella forma di un blocco compatto tenuto insieme da una stessa ideologia, ma come una rete capace di collegare necessità e richieste che vengono da segmenti sociali anche diversi, per cui ciò che si chiama partito diventa anche uno strumento che porta alla rappresentanza un mosaico complesso di soggettività sociale.
È così che io penso la crisi ma è anche così che avverto l’enorme minaccia che pesa sulla democrazia italiana. È con questo sentimento che mi prendo il diritto di chiedere ai tanti amici intellettuali, spesso giustamente critici, nonché ai movimenti di protesta e a quelli in difesa dei beni pubblici se si rendono conto del punto a cui siamo giunti. Non facciamoci illusioni. Come dice l’ex ministro degli Esteri tedesco Fischer: «Se l’euro dovesse andare in pezzi andrebbe in pezzi anche l’Unione Europea (l’economia più grande del pianeta), innescando una crisi economica globale di proporzioni tali che quasi nessuno tra quelli oggi in vita ha mai sperimentato. L’Europa concludeva è sull’orlo dell’abisso».
Anche l’Italia lo è (non c’è bisogno di aggiungerlo). È in questi mesi che si decide. Stiamo attenti a non sbagliare. Con tutto il rispetto per i tecnici, io penso che il salto che dobbiamo fare è totalmente politico. Non è soltanto economico. Si deve decidere se riorganizzare le forze democratiche italiane intorno a un idea nuova di Ricostruzione. Ricostruzione non solo dell’economia ma della democrazia europea, della civiltà del lavoro, della libertà degli uomini di tornare a contare in quanto persone, non definibili solo in base al denaro. L’economia non è il denaro fatto col denaro. E infatti non si uscirà mai dalla crisi economica attuale ripetendo gli schemi di questo modello finanziario. Come negli anni ’30 occorre una iniziativa politica, un «new deal», che offra alle energie economiche una nuova frontiera. Questo accadde in America con Roosevelt. Purtroppo in Italia, per colpa anche del settarismo della sinistra venne Mussolini.

l’Unità 12.06.12