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"Esodati, nuovo scontro Fornero-Camusso", di Massimo Franchi

Saranno settimane di fuoco per Elsa Fornero, chiamata a difendersi per la gestione sciagurata della vicenda esodati. La ministra del Welfare sarà chiamata prima a riferire nell’aula del Senato, martedì 19, e il giorno dopo nell’aula della Camera. Sulla strada è comparso anche un grosso ostacolo: la mozione di sfiducia individuale promossa dall’inedita alleanza Lega-Idv, proposta che ha ricevuto un’ottantina di firme comprese due del Pdl (Alessandra Mussolini e Miserotti). Nel testo si sostiene che «la gestione dei cosiddetti “esodati” da parte del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, con affermazioni sconcertanti, merita disapprovazione e biasimo» e soprattutto che la ministra ha avuto un comportamento «grave» nell’aver «taciuto i contenuti del documento Inps sul numero degli esodati».
La suspense sull’esito del voto è aumentata dal fatto che nemmeno tra le file della maggioranza la difesa della ministra è molto convinta. Le critiche sono fortissime e ieri sette parlamentari del Pd (Stefano Esposito, Antonio Boccuzzi, Giacomo Portas, Giorgio Merlo, Dario Ginefra, Ivano Miglioli e Daniele Marantelli, espressione di diverse anime del partito) hanno preso carta e penna per scrivere a Mario Monti una lettera durissima in cui chiedono al premier «un immediato e fermo intervento nei confronti degli atteggiamenti non più tollerabili (e non certo da oggi) del ministro Elsa Fornero». Anche il responsabile Economia del Pd Stefano Fassina ha definito il “No” alla sfiducia come «portare la croce», «la priorità spiega è che il governo e il ministro Fornero vengano in Parlamento a spiegare bene ed in modo definitivo qual è la situazione per i lavoratori esodati, quale fattispecie vogliamo salvaguardare e quale piano con relative risorse finanziarie per risolvere il problema».
Anche all’interno dello stesso Consiglio dei ministri cominciano i distinguo. Il collega dell’Istruzione Francesco Profumo non ha fatto sconti, nemmemo per le comuni radici torinesi: «Con il ministro Fornero siamo concittadini, veniamo da scuole diverse e spesso abbiamo visioni in contrapposizione tra loro. Bisogna dirlo».
Ieri Fornero era a Ginevra insieme a Susanna Camusso. Le due non si sono risparmiate frecciate dirette. Entrambe ospiti della Conferenza internazionale del lavoro dell’Ilo, il dialogo a distanza è partito quando il segretario generale della Cgil ha accusa il ministro di aver avuto una «reazione intollerabile», «avrebbe dovuto arrabbiarsi perché ci abbiamo messo sette mesi a sapere quanti erano» gli esodati. La replica secca della Fornero è basata sui comportamenti: «Non devo necessariamente copiare i comportamenti altrui, mi sembra di ricordare, anche se io sono un politico tecnico, che un buon comportamento di un politico sia parlare all’estero di cose che riguardano l’economia internazionale e parlare in Italia di cose prevalentemente italiane. Quindi afferma Fornero io sono contenta di seguire una regola che mi pare di corretto comportamento».
La protesta contro la ministra ieri è scesa in piazza. A Roma al Pantheon 500 giovani hanno inscenato una protesta, accampandosi davanti al monumento per far sentire le loro ragioni al grido di «Esodiamo la Fornero».
DECRETO E RIFORMA INPS
Ieri intanto è stata resa pubblica la versione finale del decreto interministeriale che «salvaguarda» i primi 65mila esodati, firmato il 22 maggio dalla Fornero e sottoscritto ad inizio giugno dal viceministro dell’Economia Grilli. In attesa di essere pubblicato in Gazzetta ufficiale, si confermano le anticipazioni e le coperture finanziarie, pari a 5 miliardi e 70 milioni di euro dal 2013 al 2019. Unica sorpresa quella che riguarda una delle premesse al decreto, nella quale si sottolinea come la «congruità» della quota di 65 mila lavoratori esodati è stata verificata dalla «elaborazione effettuata dall’Inps». Un modo per responsabilizzare nuovamente l’ente pensionistico nell’iter del provvedimento.
Tutti i partiti, Pd, Pdl e Udc compresi, chiedono comunque di trovare urgentemente una soluzione. Una via potrebbe essere quella del disegno di legge sulla riforma del lavoro. I sindacati insistono invece per la convocazione immediata di un tavolo con il governo.
Nel frattempo Monti sta accelerando sul progetto di riforma della governance dell’Inps. Il presidente del Consiglio martedì sera nell’incontro con i segretari di maggioranza aveva chiesto direttamente a Alfano, Bersani e Casini il via libera. Un via libera che ha ottenuto con pochi distinguo. Il progetto del premier è molto diverso da quello di Elsa Fornero. Se la ministra del Welfare puntava a liberarsi della diarchia formata dal presidente Antonio Mastrapasqua e dal direttore generale Mauro Nori, il presidente del Consiglio vuole invece ridisegnare poteri e struttura dell’Inps. Come chiesto dalle parti sociali, saranno aumentati i poteri di vigilanza di un Board che accompagnerà il presidente e al quale lo stesso presidente dovrà rispondere.

L’Unità 14.06.12

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“Il nodo da risolvere Ci sono 325 mila fantasmi nel pasticcio degli esodati”, di Paolo Baroni

Da settimane il sindacato protesta e chiede tutele per tutti i lavoratori impigliati nel limbo degli esodati. Che quello degli esodati fosse un pasticcio lo si era capito subito. E del resto i sindacati sono sei mesi almeno che lo sostengono e pressano il governo. Dalla prima stima, 50 mila persone interessate dalla «tagliola», si è infatti passati a 130mila, poi 350 mila e l’altro giorno a 390.220. Con una avvertenza segnalata da più parti: non si parla di numeri, ma di famiglie in difficoltà, di persone che hanno fatto un accordo per lasciare il lavoro ed ora rischiano di restare senza occupazione e senza pensione a causa dell’età pensionabile dell’ultima riforma Fornero.
I sindacati hanno sempre parlato di 300 mila e più. Il decreto del governo ne garantisce però solo 65 mila. Colpa del ministro che sottovaluta il problema? No. Perché l’esecutivo lo stesso giorno in cui ha presentato il suo decreto, il 5 giugno, ha detto a chiare lettere di essere «consapevole che il provvedimento» sui lavoratori salvaguardati «non esaurisce la platea di persone interessate alla salvaguardia come, in particolare, i lavoratori per i quali sono stati conclusi accordi collettivi di uscita dal mondo del lavoro e che avrebbero avuto accesso al pensionamento in base ai previgenti requisiti – non prima del 2014 – a seguito di periodi di fruizione di ammortizzatori sociali». Semmai una colpa va individuata, la prima di una lunga catena di errori, è quella della Ragioneria dello Stato e del Tesoro, che hanno imposto un limite alla spesa di 5 miliardi. Che tradotto non significa però negare il problema, ma affrontarne solamente un primo pezzo. Il discrimine è quello del 2014: fino a quella data tutti gli esodati sono tutelati. Dal 2014 sino al 2017 ci sono altre 300 mila posizioni da analizzare.
Come nasce il problema Tutto inizia lo scorso autunno con la decisione di innalzare a 62 anni l’età minima per andare in pensione. Peccato che in parallelo, mentre al ministero del Lavoro si fissavano questi nuovi paletti, in un altro palazzo del governo, lo Sviluppo economico, continuavano ad essere firmati accordi di ristrutturazione che contemplavano scivoli, ammortizzatori e piani imperniati sulle vecchie regole.
Cosa fa sballare i conti?
Il «famigerato» documento dell’Inps che fissa quota 390 mila individua due platee precise che fanno lievitare il numero degli esodati: quella di chi prosegue volontariamente (133.000 persone autorizzate ai versamenti volontari nati dopo il 1946 e con un ultimo versamento contributivo antecedente il 6 dicembre 2011) e i cosiddetti «cessati», ovvero quelli che sono usciti dal lavoro per dimissioni, licenziamento o altre cause tra il 2009 e il 2011 che hanno più di 53 anni e che non si sono rioccupati (180.000 secondo l’Inps).
Per queste due categorie, infatti, il decreto del governo prevedeva rispettivamente 10.250 e 6.890 salvaguardati.
La scelta del governo.
Il primo passo deciso dall’esecutivo fissa un paletto al 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del decreto Salva-Italia. È «salvo» chi matura la decorrenza della pensione entro 24 mesi dall’entrata in vigore da questa data e che di fatto, considerate le finestre mobili, matura i requisiti entro maggio 2012 se autonomi e entro novembre 2012 se dipendenti. Per tutti gli altri si deve provvedere con un successivo intervento. La forbice protetti/non protetti non riguarda solo cessati e prosecutori volontari ma anche altre categorie: 45.000 persone tra mobilità ordinaria e quella lunga a fronte dei 29.050 salvaguardati dal decreto, 26.200 che beneficiano di fondi di solidarietà a fronte di 17.710, 3300 beneficiari del congedo straordinario per l’assistenza ai figli gravemente disabili anziché 150.
Il nodo dei costi Se il primo intervento sui 65 mila costa 5 miliardi, salvaguardare la pensione degli altri 300-325 mila può costare, a seconda delle stime 10-12 miliardi, qualcuno dice anche 25. Un cifra certa non c’è. Anche in questo caso, in attesa della nuova «velina» dell’Inps, sembra ripetersi la lotteria dei numeri. «In 10 anni sulla previdenza abbiamo risparmiato 140 miliardi: i soldi vanno presi da lì» dice Raffaele Bonanni (Cisl).
Fornero sapeva?
Il documento dei 390 mila risulta uscito dall’Inps il 22 maggio ma sul tavolo del ministro del Lavoro, sostengono al ministero, non è mai arrivato. Non si esclude un problema «di funzionamento» degli uffici competenti, ma anche l’Inps ci ha messo del suo a fare confusione: richiesto ufficialmente in Parlamento di fornire delle stime il presidente Antonio Mastrapasqua ha detto di non avere numeri a disposizione. Il direttore generale Mauro Nori, in un’altra occasione, ha parlato di 135 mila. Salvo poi in privato confidare a qualche deputato che a suo giudizio gli esodati erano 350 mila. Insomma un po’ l’ente ha retto il gioco dell’esecutivo, che oltre ai 5 miliardi di spesa faceva fatica ad andare, ed un po’ ha giocato a fare da guastatore. Di qui lo sfogo dell’altro ieri del ministro Fornero che ha parlato di «documento parziale e non spiegato», «irresponsabile», «fatto per danneggiare il governo».
Il ruolo dell’Inps In questa partita anche le vicende interne all’Inps hanno un loro peso: lo scontro tra Mastrapasqua e Nori (i due sembra che fino a ieri non si parlassero nemmeno più), e la posizione del presidente, che è sì blindato dal Salva Italia (che lo nomina commissario per la fusione tra Inps, Inpdap ed Enpals sino a tutto il 2014) ma che vede ormai agli sgoccioli la sua carriera di superpresidente. In parlamento una mozione bipartisan ha chiesto al governo di rivedere la governance dell’ente e la stessa Fornero ha insediato una commissione di esperti per studiare la questione. Per lui il conto alla rovescia insomma è già iniziato.

La Stampa 14.06.12

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“Il problema Fornero”, di Pietro Spataro

In un Paese normale il ministro non starebbe più al suo posto Monti deve farsene carico. L’Italia è entrata in “zona rossa” e l’intervento di Mario Monti ieri alla Camera è la dimostrazione di questo stato d’emergenza. Sottoposti alla pressione dei mercati e della speculazione, con lo spread che torna a far tremare, possiamo farcela soltanto se c’è coesione, se si fa uno scatto in avanti, se il sostegno del Parlamento al governo è all’altezza della battaglia difficile.
Come non condividere queste parole del premier? Come non essere d’accordo sulla necessità di intensificare gli sforzi di fronte a una «fase cruciale» per il nostro Paese in un’Europa a rischio? Le prossime settimane saranno ad alta tensione e il governo deve garantire la massima determinazione, oltre che un impegno deciso sul fronte della crescita e un equilibrio convincente sui dossier più delicati. Se le cose stanno così e le cose stanno effettivamente così il premier ha però un problema serio in casa, che deve risolvere al più presto: il ministro del Welfare Elsa Fornero. La quale si occupa di uno dei settori più spinosi e finora ha svolto il suo compito in modo dirompente, scegliendo spesso quel che divide
piuttosto che quel che unisce. L’incredibile vicenda degli «esodati» sta lì a dimostrare la pulsione combattente che troppo spesso anima i comportamenti del ministro. In questo caso c’è un sovrappiù davvero intollerabile. Come abbiamo raccontato su l’Unità di ieri l’Inps, su richiesta, aveva recapitato al ministero un dossier dettagliato su quanti lavoratori sarebbero stati estromessi dalla pensione a causa della riforma previdenziale. E il numero, come sappiamo, è molto lontano da quello indicato dalla Fornero: 390 mila contro i 65 mila per i quali è stata prevista la salvaguardia. Sin da gennaio, quando infuriava il balletto di cifre e i sindacati uniti sostenevano che i numeri del ministro erano sballati, Fornero sapeva tutto. Ha mentito, tenendo segreto un rapporto che riguarda la vita di tanti lavoratori e di migliaia di famiglie italiane. Ha mentito, continuando a sostenere che quei 65 mila erano quelli
effettivamente danneggiati. Ha mentito, proseguendo dritta per la sua strada e lasciando sospesi più di trecentomila lavoratori: senza stipendio e senza pensione.
La cosa ancor più grave è che il ministro, di fronte a questa drammatica rivelazione, ha reagito come reagirebbe un bambino scoperto a fare una marachella: ha negato e ha dato la colpa ad altri. In questo caso all’Inps, accusata di diffondere certe notizie che «provocano disagio sociale» e i cui vertici andrebbero licenziati in tronco. Neppure un cenno di autocritica, nemmeno una parola di scuse a quelli che stanno vivendo un pesante dramma sociale, neanche unindizio di provvedimento riparatorio. Seguendo invece la tecnica del difendersi attaccando, ha usato parole dure contro tutti, soprattutto contro i sindacati che sono i legittimi rappresentanti degli interessi di quei lavoratori. Ha confermato, insomma, uno stile di governo che s’addice più al rigido decisionismo di un consiglio di amministrazione che a un esecutivo di impegno nazionale.
Non riusciamo ad immaginare come si possa chiedere ai partiti che sostengono il governo uno scatto in avanti e un’accelerazione sulle misure necessarie in presenza di un ministro inadeguato. Che, oltre alla riforma delle pensioni, è anche titolare di quella sul mercato del lavoro che arriverà tra poco alla Camera e che presenta altre significative criticità come i trattamenti dei collaboratori a progetto e il mancato adeguamento degli ammortizzatori sociali. Ma diciamo la verità: come si può accelerare sul mercato del lavoro se non si risolve prima il problema degli esodati? Monti cercherà di trovare le soluzioni più giuste o lascerà alla Fornero la gestione di una partita così complicata?
Welfare e lavoro sono, in un momento così difficile per l’economia, settori strategici sui quali si gioca la capacità dell’Italia di rimettersi in moto senza lasciare indietro nessuno. Quindi è necessario, su questi temi, un paziente lavoro di tessitura, un dialogo serio con le forze sociali, l’autorevolezza per garantire la coesione. In un Paese normale, perciò, un ministro come Elsa Fornero non starebbe più al suo posto. In questa situazione di pesanti rischi per l’Italia tocca al presidente Monti prendere in mano la situazione, farsi carico personalmente delle questioni cruciali che riguardano il Welfare e disinnescare una mina che rischia di deflagrare quanto prima in modo irreparabile.

L’Unità 14.06.12

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