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"L'Italia nella morsa della recessione PIL – 1,5% nel 2013", di Luigi Grassia

L’Europa ha cominciato il 2013 in recessione, lo confermano i dati ufficiali dell’Eurostat. A prima vista il calo del prodotto interno lordo non è traumatico: dopo il -0,6% dell’ultimo trimestre 2012 arriva il -0,2% del periodo gennaio-marzo. Quindi la recessione si fa meno pesante, a quanto sembra. Però il -0,2% è un regresso doppio di quello che si aspettavano gli analisti, e anche il -0,5% dell’Italia è più forte del previsto. Per il nostro Paese è il settimo calo trimestrale consecutivo e l’Istat calcola che la variazione acquisita per l’intero 2013 sia pari a un -1,5%. Inoltre c’è da registrare che entra ufficialmente in recessione un’economia grande come quella della Francia, finora immune, e persino la Germania di salva per il rotto della cuffia: la crescita trimestrale del suo Pil è appena dello 0,1% come dire che la ormai ex locomotiva tedesca non è più in grado di svolgere il tradizionale compito di traino della crescita degli altri Paesi.

Il dato del Pil tedesco era atteso +0,3% ma si tenga presente che nell’ultimo trimestre del 2012 c’era stato un calo dello 0,7%. Il +0,1% serve comunque ai tedeschi a evitare il timbro ufficiale della recessione, che richiede due trimestri consecutivi in rosso.

Sull prestazione complessiva europea ha pesato molto l’andamento dei Pil di Italia e Spagna, tutti e due in calo dello 0,5% nel trimestre. È in recessione anche l’Olanda (-0,1% dopo -0,4% del quarto trimestre 2012). Segno meno pure per la virtuosa Finlandia (-0,1% dopo -0,6%). Per Cipro si è allungata la serie negativa con -1,3% e per il Portogallo con un -0,3%. A sollevare più scalpore è il -0,2% della Francia, dopo il -0,2% del trimestre precedente. «La situazione economica è grave, non si può minimizzare», ammette il presidente Hollande, sottolineando comunque che questa fase recessiva è meno grave della precedente. Inoltre Hollande richiama alle sue responsabilità l’Europa intera, che al momento funziona in modo tale da non produrre sviluppo ma recessione.

Tutte le variazioni citate riguardano il confronto da un trimestre all’altro. I numeri sono più pesanti se si fa il confronto fra il primo trimestre del 2013 e lo stesso periodo del 2012: il calo del Pil dei diciassette Paesi dell’Eurozona passa allora dal -0,2% al -1% tondo. Considerando non solo i 17 Paesi dell’euro ma tutti e 27 i Paesi dell’Ue i numeri cambiano di qualche decimale, ma la tendenza rimane la stessa: nel periodo gennaio-marzo di quest’anno il Pil scende dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,7% nei confronti del primo trimestre 2012.

Ieri a Bruxelles il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha commentato così i dati del Pil: «Il declino dell’Italia non è affatto inarrestabile. Sono ottimista da italiano e da imprenditore, dobbiamo mettercela tutta». Ma la Coldiretti segnala che per colpa della recessione in Italia nel primo trimestre c’erano 450 mila disoccupati più dell’avvio del 2012: i senzalavoro sono saliti a 2,95 milioni, di cui 1,59 milioni uomini e 1,36 milioni donne. La crescita è stata del 18%.

La Stampa 16.05.13

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“LA CRISI AUMENTA LA DISUGUAGLIANZA REDDITO DEI PIÙ POVERI GIÙ DEL 20%”, di Maurizio Ricci

Nella crisi più grave dal dopoguerra, anche i ricchi piangono. Ma, francamente, lacrimucce. Il disastro sociale – un disastro di cui solo ora cominciamo a intravedere le devastanti proporzioni – è altrove. Gli italiani stanno, infatti, pagando la crisi a seconda del portafoglio: di più, quanto più è piccolo. Uno tende a dimenticarselo, davanti alle statistiche: ma i consumi che si riducono (in media) del 4,5 per cento, il reddito che scende (in media) dell’1 per cento significano cose completamente diverse nei quartieri alti e in borgata. Non solo perché nei quartieri alti ci sono più riserve e c’è più superfluo da tagliare. Ma perché l’impatto è, effettivamente, minore. Ce lo ricorda l’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i Paesi industriali. Fra il 2007 e il 2010, il reddito disponibile dei 5 milioni di italiani che costituiscono il 10 per cento più ricco del Paese, si è ridotto dell’1 per cento l’anno. Ma per i 5 milioni di italiani del 10 per cento più povero del Paese, dove la carne viva del bilancio familiare è già esposta, il reddito si è ridotto del 6 per cento.
Sono riduzioni anno per anno, non cumulate. Questo significa che, nelle famiglie ricche, in quei tre anni, il reddito si è ridotto del 3 per cento, sicuramente una sgradita e inedita sorpresa: invece di 5000 euro al mese, per dire, 4.850. Ma per i più poveri, il taglio complessivo, nello stesso periodo, sfiora il 20 per cento: 800 euro al mese,
per esempio, dove, prima, ne entravano mille. Sono cifre che tengono conto sia delle tasse pagate, che di eventuali sussidi ricevuti. In altre parole, non c’è nessun intervento salvifico successivo di protezione sociale, tranne forse quello della Caritas. Non basta. Della tragedia, per ora, vi stiamo raccontando solo l’avvio. I dati dell’Ocse si fermano, infatti, al 2010, prima cio è che la crisi italiana si incattivisse davvero in recessione. Ma, già allora, era possibile vedere che il diverso peso della crisi sta allargando ulteriormente il golfo che divarica la società italiana. Nel 2007, il 10 per cento più ricco guadagnava 8,7 volte di più del 10 per cento più povero. Solo tre anni dopo, questo rapporto è passato a 10,2 volte, sopra la media dei Paesi Ocse.
Fra i Paesi industrializzati, solo in Spagna la crisi è stata socialmente più matrigna: i ricchi hanno perso, come da noi, fino al 2010, l’1 per cento del reddito annuo. Ma i poveri il 14 per cento: fra il 2007 e il 2010 lo hanno visto quasi dimezzarsi. C’è meno distanza, davanti alla crisi, in Grecia e in Irlanda. Ma sono i Paesi forti, quelli del Nord Europa a fornire un messaggio completamente diverso. Conta la miglior salute economica, ma, probabilmente, anche un sistema sociale più efficiente. Il risultato, comunque, è che, in Germania, in Finlandia, in Olanda, negli stessi tre anni che hanno visto sprofondare i poveri italiani e spagnoli, i ricchi, in proporzione, se la sono passata peggio dei meno ricchi. In Olanda, il decimo più povero della popolazione ha visto scendere il reddito
dell’1 per cento, ma il decimo più ricco del 2 per cento. In Germania e in Finlandia sono andati tutti avanti, ma i poveri di più.
Per una delle ironie amare della statistica, il brutale collasso dei bilanci delle famiglie più povere non si riflette nelle normali tabelle della povertà. Quando tutti i redditi scendono, anche se a velocità diversa, i parametri su cui si misura la povertà si ingarbugliano. Per questo, l’Ocse ha provato a ricalcolarli, prendendo come riferimento la situazione nel 2005. Se si tiene conto della situazione precrisi, dunque, il tasso di povertà è aumentato in Italia di oltre due punti percentuali, che sembra poco, ma non lo è. Vuol dire che, dove prima c’erano cinque poveri adesso ce ne sono sei. Soprattutto, l’aumento è stato rapidissimo, nell’arco di soli tre anni. Chi sono questi poveri? Qui, i dati dell’Ocse non presentano sorprese. Sappiamo da tempo che lo stereotipo della vecchina in miseria è superato. I poveri, oggi, bisogna cercarli negli asili e fuori dalle superiori. Fra il 2008 e il 2010, un italiano ancora minorenne ha visto il reddito medio che, teoricamente, gli compete, ridursi di oltre 600 euro l’anno. Per un giovane diciottenne, la riduzione del reddito disponibile è, in media di 300 euro. Quali sono le categorie forti? Gli adulti sotto i 50 anni che, più o meno hanno tenuto. E i pensionati che, in media, hanno accresciuto i guadagni

Il Corriere della Sera 16.05.13