attualità, politica italiana

"L’autogol che aiuta l’antipolitica", di Michele Brambilla

Abbiamo più volte sottolineato – e continueremo a farlo – gli eccessi dell’antipolitica, i suoi qualunquismi e i suoi moralismi, il suo giacobinismo fanatico e il suo furor cieco, la facile demagogia e la tragicomica ossessione del complotto. Ma c’è qualcosa che nonostante tutto continua a dare, a questa antipolitica rabbiosa e urlante, fiato e ragion d’esistere: ed è la politica. La giornata di ieri ne è stata una triste conferma. Grillo e i suoi, fino a una certa ora del pomeriggio, apparivano in difficoltà. Era successo che domenica sera, a Report, Milena Gabanelli, dopo aver parlato del finanziamento dei partiti, aveva posto al Movimento Cinque Stelle due domande: che fine fanno i proventi del blog di Grillo, e quanto guadagna la Casaleggio e Associati dalla pubblicità sul sito. Due domande destinate a restare senza risposta sia durante la trasmissione – Casaleggio, assicura la Gabanelli, ha rifiutato l’intervista – sia dopo.

Scossi dall’essere, per una volta, sul banco degli imputati di un tribunale «amico» come Report, Grillo e i suoi seguaci hanno dato in un certo senso il peggio di sé. Primo: hanno dimostrato di essere, sul tema della trasparenza, piuttosto doppiopesisti: esigono la luce del sole per gli altri, ma non per loro stessi (e verrebbe da dire che non è la prima volta: ricordate le dirette streaming degli incontri con Bersani e Letta e, viceversa, le loro riunioni a porte chiuse?). Secondo: hanno dato un’ennesima prova di incontinenza verbale, visto che Milena Gabanelli, sul blog di Grillo, è stata insultata con tutto il consueto repertorio che si usa in questi casi, in particolare con le donne. Terzo: non hanno saputo spiegare ai propri militanti, e forse neanche a loro stessi, come mai certe incalzanti richieste di glasnost provenissero da una persona che, solo poche settimane fa, era la candidata del Movimento Cinque Stelle al Quirinale.

Quarto, Grillo e i suoi ieri stavano offrendo un brutto spettacolo soprattutto perché nel replicare alle critiche hanno fatto ricorso al solito schema che prevede la delegittimazione, per non dire la demonizzazione, dell’«avversario». Come purtroppo quasi sempre accade, chi non è d’accordo con il Movimento non è presentato appunto per quello che dovrebbe essere, cioè per una persona che non è d’accordo: ma come il servo di qualcuno, la longa manus di poteri forti, il solito giornalista prezzolato. Forse ancora più pesanti degli insulti da trivio, infatti, sono le insinuazioni nei confronti di Milena Gabanelli: «È stata richiamata all’ordine dal padrone PD-L»; «Le sue trasmissioni sembrano manovrate da una regìa politica»: «Lei è una asservita al padrone piddino»; «Cara Gabanelli, dicci chi ti ha costretto a fare quel servizio…». Di tutta la violenza verbale dell’antipolitica, questo del voler sempre attribuire loschi mandanti a chi eccepisce è l’aspetto più odioso, il più vile.

Ma come dicevamo l’antipolitica non avrebbe di che nutrirsi se non ci fosse la politica. Infatti sempre ieri, proprio mentre Grillo e i suoi si affannavano nella titanica impresa di far apparire Milena Gabanelli come un ventriloquo della Casta, ecco che dai partiti è arrivato l’autogol che ha cambiato la partita. Il Pd ha infatti presentato al Senato un disegno di legge che introduce la «personalità giuridica» dei partiti. Lasciamo agli azzeccagarbugli i dettagli. La sostanza è che, se passasse una legge del genere, il Movimento Cinque Stelle sarebbe costretto o a rinnegare se stesso – diventando un partito – oppure a non presentarsi alle elezioni. E siccome Grillo ha già detto che il suo movimento non diventerà mai un partito, una legge del genere avrebbe l’effetto di tenere i Cinque Stelle fuori dal Parlamento.

È bastata la notizia di questo disegno di legge, dunque, a levare i grillini dagli impicci, e a consentire loro di gridare al complotto. E non senza ragioni, stavolta. Il Pd ha già forzato la mano nelle regole delle sue primarie, pochi mesi fa: ora cerca di eliminare Berlusconi dichiarandolo ineleggibile e il Movimento Cinque Stelle costringendolo a cambiare pelle. Si può pensare di risolvere così i propri problemi?

No, non si può pensarlo. Ma la cosa più inquietante è che i politici non ci arrivino a capirlo da soli, dimostrando un distacco dal sentire del popolo che è poi la prima e più vitale linfa dell’antipolitica.

La Stampa 21.05.13