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Alta tensione nel Pd «Teniamo aperto il caso», di Maria Zegarelli

Il Pd compatto contro la sfiducia ad Alfano per salvaguardare il governo. Tre senatori non partecipano al voto. Ma le tensioni e i malumori in casa democratica restano per l’affare inaudito che ha coinvolto il Viminale. Il Pd tiene aperto il caso. Lo dice Zanda in aula, ma lo dicono anche senatori e deputati: è stata danneggiata la credibilità dell’Italia, bisogna riparare al più presto.
La frase che più deve aver fatto saltare i nervi ad Angelino Alfano è quella che il capogruppo Pd Luigi Zanda pronuncia quasi al termine del suo durissimo intervento in aula: «Lo dico per inciso, onorevole Alfano, ma forse può essere utile valutare se nelle 24 ore della sua giornata ci sia sufficiente tempo per la segreteria del suo partito, la vice presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno». Alfano sbraccia, guarda Silvio Berlusconi, si chiede dove voglia arrivare il senatore Pd.

Poche ore più tardi il segretario del Pd Guglielmo Epifani, intervistato dal Tg, è ancora più esplicito: «Il problema che io vedo è che di fronte a un autunno pieno di tensioni e di problemi, abbiamo bisogno della massima autorevolezza alla guida di tutta la compagine governativa e di tutti i ministeri, compreso il ministero dell’Interno». Per il leader democratico «se il governo riesce ad arrivare a settembre – nel senso che come tutti sappiamo abbiamo questa sentenza della Cassazione il 30 luglio nei confronti di Silvio Berlusconi – si pongono due problemi per il governo: primo, ridefinire il programma alla luce dell’aggravamento della situazione sociale ed economica; secondo, fare un tagliando alla qualità, all’autorevolezza e alla forza politica del governo».

Tornando all’intervento al Senato, Zanda chiede al delfino di Berlusconi di fare un passo indietro, di restituire le deleghe nelle mani di Enrico Letta. prima ricorda che finora sono stati «indotti» a dimettersi solo dirigenti dello Stato e poi che, mentre si respinge la mozione di sfiducia «nonostante molto sia ancora poco chiaro», dobbiamo ricordare «che servitori dello Stato debbono esserlo non solo i funzionari pubblici, ma anche i ministri della Repubblica».

Zanda parla dopo l’assemblea di giovedì scorso che ha fatto emergere forti malumori e grande difficoltà per molti senatori a votare no alla mozione di sfiducia. Chiama in causa Alfano: «Per una piena trasparenza dei fatti è importante che il ministro spieghi nel dettaglio come, ancor prima dell’incontro tra Procaccini e l’ambasciatore, già sapesse che i problemi che l’ambasciatore intendeva sottoporre al Viminale erano molto delicati. Se il ministro (che non ha voluto incontrare l’ambasciatore) sapeva che al suo Capo di gabinetto sarebbero state sottoposte questioni molto delicate, doveva anche conoscere qualcosa sul perché di tanta delicatezza», insiste il capo-gruppo Pd. La relazione che il titolare dell’Interno ha fatto alle Camere nei giorni scorsi non ha placato i dubbi dei democratici, sia di chi vota convintamente contro la mozione, sia di chi lo fa tappandosi il naso, per «disciplina di partito», come dice Felice Casson.

Zanda parla e Berlusconi diventa sempre più scuro in volto, Alfano gesticola, come a dire, «ma dove vuole andare a parare?». Qui: «I punti da chiarire non sono solo i possibili “errori” della polizia e il blocco cognitivo di cui ha parlato il prefetto Pansa. C’è da capire quali interessi, quali manine o manone, abbiano messo in moto la macchina investigativo-repressiva della polizia italiana». Anzi, prosegue Zanda, «il primo mistero da chiarire» è questo: «Tanta rapidità, tanti mezzi, non sarebbero stati possibili senza una committenza economica o politica, probabilmente obliqua, di grande rilievo».

Intervento applaudito a lungo e tanto da tutto il suo gruppo. Il Pd vota la fiducia al governo, come dice lo stesso premier ai senatori, ma sfiducia Alfano, con giudizi duri che però non sfociano in un atto politico. È una delle contraddizioni in cui è destinato a finire il Pd in un go- verno insieme al Pdl. Lo sanno i senatori, lo sanno i deputati ma faticano a capirlo gli elettori, quella base che si sfoga sul web per la mancata sfiducia.

«Dopo l’intervento di Zanda ho votato con maggiore serenità», dice la sottosegretaria Roberta Pinotti. Poco più in là Nicola Latorre spiega: «Alfano si dovrebbe dimettere, ma noi non mescoliamo la sua vicenda con la durata del governo». Non prendono parte al voto Walter Tocci (che aspetta che tutto finisca seduto su un divanetto), Laura Puppato e Lucrezia Ricchiuti. I renziani votano compatti con il gruppo. Zanda, uscendo dall’aula, assicura: «Nessun provvedimento nei confronti di chi non ha votato attenendosi alla linea decisa». Stefano Esposito, che si era detto stufo delle «belle fighette che si distinguono sempre», dice che solleverà la questione nella prossima riunione fissata per mercoledì prossimo: «Non ci sono mai state espulsioni in casi come questi? Be’, siamo giovani, possiamo sempre iniziare», provoca. Il ministro Andrea Orlando, giovane turco, non commenta, «per me ha parlato Letta», ma è facile intuire che preferirebbe fosse andata in modo diverso.

Lapsus froidiano per Casson, costretto a intervenire per spiegare di aver commesso un errore durante la votazione: voleva dire sì alla fiducia, quindi il suo deve intendersi «un no». I grillini, convinti che stesse votando la loro mozione, avevano applaudito: ecco perché dopo aver chiarito Casson si rivolge al M5S e gli dice di riprendersi «l’applauso perché immeritato».

Rosa Maria Di Giorgi, renziana, ammette di aver votato la fiducia al governo perché così ha deciso la maggioranza mentre dal Nazareno il responsabile organizzazione Davide Zoggia dice «bene Letta, discorso di altissimo profilo», ma bene «Zanda che con il suo discorso rappresenta tutto il partito». Mentre fuori da Palazzo Madama tuona, Zanda si aljonta dall’aula, gli riferiscono che Alfano si è molto arrabbiato con lui. «Davvero?». Sorride e alze le spalle: «Avevo gli occhiali da lettura, non ho visto cosa accadeva lontano da me…».

L’Unità 20.07.13