attualità, politica italiana

“La destra oltre il Cavaliere”, di Carlo Galli

Il Capo dello Stato ha fatto chiarezza sulla vicenda Berlusconi, riportandola alle sue giuste dimensioni, cioè privatizzandola. Non può essere fatto valere, di fronte alla legge, un plusvalore politico; non si può giocare la legittimità derivante dal voto popolare contro la legalità degli ordinamenti; non esistono eccezioni personali davanti alla norma uguale per tutti; non si può pensare a patteggiamenti fra un reo e lo Stato come se fossimo davanti a due Stati sovrani che cercano un punto d’equilibrio fra i loro interessi. In quanto rappresentante della nazione, Napolitano ha anteposto l’interesse collettivo (la stabilità politica necessaria in questa delicata fase economica) al caso personale di un pur importante uomo politico; ha distinto il pubblico dal privato; ha, insomma, disgiunto quello che Berlusconi ha sempre confuso, l’Italia e il proprietario di Mediaset. E ha implicitamente invitato il Cavaliere a fare altrettanto, ossia a non far cadere il governo, da una parte, e, dall’altra, ad affrontare l’iter che il verdetto della Cassazione gli prospetta: decadenza dal Senato, accettazione della pena, sottomissione all’incandidabilità.
Quale che sia l’esito della vicenda, ancora tutto da vedere, la domanda più importante al riguardo è quella sul destino, e sulla stessa possibilità d’esistenza, di un’eventuale destra de-berlusconizzata, o post-berlusconiana. La destra, nella storia d’Italia, ha avuto un’esistenza tenace ma criptica; dopo avere espresso e gestito il disegno innovatore di un’unità d’Italia interpretata in chiave moderata, ha più spesso ceduto la propria autonomia politica ad altre forze e ad altre culture e tradizioni, accontentandosi di vedere salvaguardati alcuni interessi economici e alcuni pregiudizi sociali all’interno di configurazioni istituzionali e ad apparati intellettuali che le erano estranei. Tali furono il fascismo (che con la destra venne a patti, lungamente, ma che alla fine ne fu rovesciato) e la democrazia cristiana, che dalla destra prese i voti ma li utilizzò in direzione diversa e a volte opposta, come si conveniva a un partito di centro che guardava a sinistra e che perseguiva, più o meno coerentemente, un suo disegno autonomo.
È con la fine della prima repubblica che la destra si è trovata sola, costretta ad assumersi responsabilità dirette, a prendere una configurazione politica precisa. E sulla sua strada non ha trovato Cavour (e neppure De Gaulle) ma Berlusconi che con il sempre valido collante dell’anticomunismo e di un ossequio di facciata al cattolicesimo, ha propagandato un liberalismo di massa ma nella pratica ha realizzato l’incontro fra un neo-corporativismo e un leaderismo populistico, fra disuguaglianza e finzione mediatica, che ha avuto l’effetto di paralizzare la modernizzazione dell’Italia, di frammentare la società, di ledere lo spirito civico e la lealtà repubblicana, di sostituire l’eccezione alla norma e la dismisura alla misura, di abituare il Paese a una politica in cui tutto è possibile perché nulla, nessun principio e nessuna regola, è rispettato. Una politica senza idee e senza futuro, quella della destra, che ha dovuto essere dapprima supplita dai tecnici e poi, ora, diluirsi in un governo di larghe intese.
Una destra senza Berlusconi oggi è difficilmente pensabile e praticabile: Fini e Monti, con i loro pur diversi insuccessi politici, dimostrano quanto la destra italiana sia poco permeabile a temi e impostazioni che, pure, sono le bandiere delle destre moderne: senso dello Stato, spirito di legalità, rigore economico. La successione a Berlusconi non è quindi una questione dinastica (Marina ha rinunciato al trono) e neppure una questione di leader-ship: il problema infatti non è solo nell’individuare chi prenderà il posto del Capo (se questi lo lascerà libero) ma è un problema d’identità. Anche la destra deve reinventarsi, insomma, e decidere che cosa vuole essere: sciogliersi in un contenitore neo-centrista, restare un insieme di cordate di interessi disparati in salsa populista (quale finora è stata), diventare un punto di raccolta di pulsioni antidemocratiche, razziste e antieuropee (ruolo assegnato finora alla Lega), o risolversi in un moderno partito conservatore, che si è rappacificato con la costituzione e con la magistratura, che non coltiva né i miti del «Berlusconi martire» né sogni autoritari, e che raccoglie l’opinione moderata in una prospettiva liberaldemocratica. In ogni caso, non si tratta di una questione interna al campo avversario: è tutto il Paese a non potersi permettere, su un lato dello scheramento politico, un vuoto che fatalmente inceppa anche l’altro e azzoppa la democrazia.

L’Unità 14.08.13