attualità, memoria

“Sopravvissuto all’inferno Alberto Mieli aveva solo 17 anni nel 1943”, di Stefania Miccolis

Alberto Mieli aveva diciassette anni nel 1943 e viveva con la famiglia nelle case popolari della Garbatella Ricorda che quel 16 ottobre vennero avvisati e scapparono a nascondersi in una casa dietro il Ministero di Grazia e giustizia. «Ci avvisarono che stavano facendo rastrellamenti al ghetto. Credevamo prendessero solo gli uomini per mandarli a lavorare, invece purtroppo presero bambini, donne incinta, vecchi e malati; 1200 persone. In giro per la città c’erano dei delatori, per tremila lire vendevano la vita di un uomo. Ma non posso dire ci fosse antisemitismo a Roma, tanto è vero che dei miei familiari sono stato preso solo io. I miei fratelli, eravamo in otto, sono stati accolti ciascuno da una famiglia della Garbatella, ci fu una grande solidarietà, vennero trattati come figli».
«Del 16 ottobre c’è poco da raccontare si commuove Alberto Mieli, ricordando quel giorno ed ha anche un tremolio mentre parla fecero trovare i camion fuori dalla piazza dove oggi c’è la scritta che ricorda il rastrellamento, e caricarono le persone». Non bastarono quei cinquanta chili d’oro che i tedeschi vollero dalla comunità ebraica (e molti cattolici parteciparono a questa raccolta) con l’assicurazione che gli ebrei non sarebbero stati toccati. «Io fui preso a novembre, per una banalità». Racconta quel giorno in cui suonò l’allarme e si nascose in un ricovero antiaereo, in un sottoscala: «per fare l’uomo, detti dieci lire a due partigiani. In cambio ricevetti due francobolli ai quali non detti nessuna importanza, e li misi nel taschino della giacca». Dopo tre giorni nello stesso sottoscala entrarono tre della Gestapo e quattro della Xa Mas; messo al muro e perquisito gli trovarono i francobolli: «Ebbi la presenza di spirito di dirgli che li avevo trovati per terra davanti a un negozio in via Arenula».
In prigione al Regina Coeli fu messo nel sesto braccio:«Il braccio era sotto controllo diretto della Gestapo e della SS. Ero insieme ai prigionieri politici; non saprei dire i loro nomi e poi adesso non li riconoscerei perché stanno disgraziatamente tutti dentro le fosse Ardeatine. Tutto il sesto braccio finì completamente alle fosse Ardeatine e poiché non raggiunsero il numero, presero anche cinquantasei ebrei» (Alla domanda su Priebke, risponde controvoglia: «Lui non solo dette l’ordine, ma fece parte dell’uccisione diretta; ma è una cosa vergognosa tutta l’importanza che televisioni e giornali hanno dato a costui. Che importanza vuole dare a un uomo che ha vissuto cento anni senza pentirsi?»).
Dopo essere stato torturato per quei francobolli -lo portarono al campo di Fossoli vicino a Carpi, quindi ad Auschwitz. «Nessuna mente umana può immaginare che cosa facessero ad Auschwitz. Uccidevano per la malvagità di uccidere. Era una cosa indescrivibile. Non avevano nessun rispetto per la vita umana. I bambini di due tre mesi, presi per i piedini, lividi di freddo, li facevano dondolare e poi con violenza li lanciavano in aria e gli sparavano come se fossero stati dei volatili. Una malvagità incredibile. Prendevano ragazze, appena adolescenti, le portavano nelle baracche adibite a bordelli».
Mostra il numero marchiato sul braccio a Birkenau: «Eri un numero, non un essere umano. Mi salvai perché mi mandarono a lavorare nelle fabbriche di guerra a Sosnowiec, c’era un poco più di mangiare ed ho avuto la fortuna di lavorare con civili. Ricorda la marcia dei 620 km per arrivare al confine della Cecoslovacchia, nel mese di febbraio, notte e giorno. «Avevamo perso la cognizione del tempo. Eravamo lerci, non ci facevano lavare e la notte dormivamo in mezzo alla fanghiglia delle bestie. Ci rinchiusero poi per sei giorni nei vagoni piombati, senza acqua e senza cibo. Molti morivano e i corpi venivano messi lungo le pareti dei vagoni. Di notte li usavamo come cuscini; a volte ti voltavi e ti trovavi col viso del morto davanti». Mentre piange, Alberto Mieli spera che nessuno veda più ciò che i suoi occhi furono costretti a vedere. «Papa Wojtyla mi chiese un giorno: figliolo come hai fatto a salvarti da quell’inferno? Io gli dissi: Santità a questa domanda non so risponderle».
Non sa rispondere. Ha le mani che tremano e gli occhi lucidi Alberto quando se ne va.

L’Unità 16.10.13