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“Morire davanti al ministero per una malattia dimenticata”, di Adriano Sofri

Proviamo a fare a meno della retorica, e a dire la verità. Per esempio, che le persone che non sono malate, o non gravemente, pensano che i malati di malattie gravi e progressive siano un po’ meno vivi. Più vicini a morire, dunque sempre meno vivi e poi quasi morti… La morte di Raffaele Pennacchio costringe a ripensarci. O piuttosto la vita. La forza può consumarsi, le abilità venir meno, ma la soglia fra la vita e la morte resta netta, e prima che sia varcata la vita è intera, anche in una carrozzella e col respiratore.
Il dottor Pennacchio è morto come si muore dalla parte giusta in una guerra giusta, in un’epoca in cui guerre giuste non ce ne sono più. È morto battendosi, con il coraggio e la tenacia che vengono dalla buona ragione. La sua vita di ieri non era dunque minore, anzi specialmente preziosa ed efficace. La grandissima maggioranza degli italiani avrà saputo solo così che tra i malati di Sla, che sono migliaia, molti si battono da anni facendo scioperi della fame, scioperi dei farmaci, presidii all’addiaccio. “Come faranno?”. Proprio per quello ce la fanno: chi crede di star bene, di essere al sicuro, non ce la fa.
La notizia di una malattia come quella fa stramazzare quelli che la ricevono, e che fino a un momento prima, “come tutti”, sentivano nel suo annuncio una dichiarazione di decesso iniziato, di aver cominciato a morire. Sempre di più, grazie all’esempio dei più coraggiosi, tanti malati hanno saputo sentirvi invece un cambiamento radicale della loro vita, l’inizio di un’altra vita, e di portarla fuori. Nomi sono diventati famosi ed esemplari, Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Stefano Borgonovo e tanti altri sportivi, Cesarina Vighy… Succede che non abbiano voglia di toni cortesi e ipocriti e vittimistici. Paola Nepi, che racconta “le mani addosso”, le mani altrui che da anni stanno su di lei, e di cui riconosce e smaschera ogni intenzione, ogni vibrazione. Severino Mingroni, affetto dalla locked-in syndrome,
che scrisse: «Avevo vissuto, ma sto vivendo intensamente solo dal 22 ottobre 1995, nonostante io sia un locked-in da allora, mentre la maggioranza degli umani sta semplicemente vegetando e non se ne accorge». Lui ha un computer a controllo mentale, una madre e una sorella. Lo aiutano. Lui aiuta loro, e una quantità di altri malati.
L’Agenda Coscioni ha una rivista, si chiama “Luca”, si imparano molte cose là, della ricerca scientifica, della medicina, e dell’umanità comune. C’è una fase di sperimentazione, autorizzata solo per i malati di Sla, dall’Istituto superiore di sanità e l’Aifa, del trapianto di cellule staminali in regione cervicale. Non promette miracoli. Ci sono superstizioni che promettono miracoli. Poi ci sono tante cose che sembrano minori, piccole, solo a chi, magari senza volere, pensa che quelle vite di malati siano minori, un po’ meno vite. Ottenere l’aggiornamento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, avere un computer adatto, un sintetizzatore vocale, cose così, che sembrano superflue a chi non abbia fatto naufragio, e non debba attrezzare la sua sopravvivenza in un’isola sconosciuta.
Insieme al dottor Pennacchio c’erano tanti altri in piazza nella notte romana, vivi per intero. Rivendicano di potersi curare a casa propria, di poter vivere a casa propria. Ma anche dire così rischia di essere sbagliato e di tradirli. Quello che rivendicano, tutti, è di veder rispettato il loro diritto di scegliere. Non è una lotta fra assistenza a domicilio e strutture pubbliche o semipubbliche (salvo quando, ed è un’infamia, queste strutture sulle malattie speculino). È una lotta per scegliere. Contare su una struttura pubblica in cui cercare rifugio e aiuto quando ogni altra condizione appaia impossibile o peggiore, è un diritto fondamentale. Non esservi costretti, deportati, quando si possa ricevere l’assistenza di cui si ha bisogno e desiderio a casa propria, con le proprie persone, è altrettanto fondamentale. Si sono riascoltate ieri parole imbalsamate, “i vincoli di bilancio”. Di quelle bisognava far economia, non di denari. I malati e i loro famigliari sono ben diversamente competenti di ministri e sottosegretari, e quando spiegano, come spiegava ancora due giorni fa Raffaele Pennacchio, che l’assistenza a casa propria costa meno di quella nelle Residenze Sanitarie Assistite, vanno presi sul serio. Ma se non fosse così, se ci fosse uno scarto fra i costi rispettivi, potrebbe fare la differenza?
La libertà di scegliere è il punto che unisce tutti. Luca Coscioni e la sua battaglia ammirevole, lucida e scontrosa per la libertà di ricerca e di sperimentazione sulle cellule staminali. La decisione di Piergiorgio Welby sul momento in cui varcare la soglia, e il luogo e il modo, e in compagnia di chi. E la decisione del dottor Pennacchio e dei suoi compagni e compagne di continuare ad avere una casa, perché sono vivi, perché lui era vivo per intero, e meglio di altri ha saputo farne tesoro, della sua ultima notte di vita piena.

La Repubblica 25.10.13