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“L’Europa dei migranti”, di John Lloyd

L’immigrazione incombe come un nuvolone nero sull’Europa, soprattutto sull’Italia. Lampedusa era famosa tra i turisti per le sue belle spiagge e tra i lettori per il fatto di chiamarsi come l’autore de “Il Gattopardo”. Oggi il nome dell’isola evoca in milioni di persone immagini di bare, dolore, morte. La sua vicinanza all’Africa del nord la destina a ciò, in quanto la sua posizione geografica implica anche il fatto che è vicina alla guerra, alla povertà, alla disperazione.
Che cosa può alleviare questa sofferenza? Nell’immediato niente: disperazione significa che i rischi di un viaggio pieno di pericoli sono considerati inferiori a una misera vita se si resta in Somalia, o in Eritrea, o in Libia. Ma sul lungo periodo, con una mentalità diversa, con modi di intervento diversi, i migranti potrebbero esserci di aiuto in Europa, e potrebbero giovarsi loro stessi del fatto di entrarvi.
Dobbiamo iniziare a pensare in modo diverso, perché l’immigrazione sta diventando il nocciolo del dibattito europeo, e continuerà a crescere di importanza nei prossimi mesi. L’estrema destra sta guadagnando terreno: la vittoria del Front National francese nell’elezione del sindaco della cittadina di Brignolles, nel sud del paese, in precedenza in mano ai comunisti, è stata vista come il segnale di una dissociazione dai partiti di centro, soprattutto da parte della classe operaia.
Ipotizzando che questo fenomeno continui, il nuovo Parlamento europeo, dopo le elezioni del maggio 2014, si ritroverà un intero blocco di partiti – comprendente il Front National, il britannico Ukip, il Partito per la libertà olandese, i Veri Finlandesi, e l’Alternativa tedesca per la Germania – fortemente contrario all’immigrazione o all’Unione europea o all’euro come valuta, o a tutte e tre le cose insieme.
Un modo di pensare del tutto diverso è il tema di un libro di recente pubblicazione. Paul Collier, direttore del Centro per gli studi delle economie africane a Oxford è uno dei più stimati esperti di povertà al mondo. Nel suo nuovo libro, Exodus,
Collier indica i presupposti di un nuovo approccio al problema dell’immigrazione, con modalità a un tempo stesso razionali e compassionevoli. “L’esodo di ogni singolo individuo scrive Collier – è un trionfo dello spirito umano”. Coloro che lasciano le loro società di origine, spesso per la prima volta, necessitano di coraggio, di abilità organizzativa, di fede nel sogno del loro futuro. Per quanti avranno successo, la vita quasi sempre migliorerà. Per i poveri delle società di buona parte dell’Africa (ma non soltanto lì) il divario tra il reddito a casa loro e ciò che potrebbe attenderli altrove è immenso.
È per questo motivo che arrivano: per una vita migliore. Dal punto di vista materiale le cose vanno ancora meglio: la maggior parte di loro vuole guadagnare e molti spediscono a casa parte di ciò che guadagnano. Alcuni faranno anche più mestieri, dato che i posti di lavoro che trovano di solito sono scarsamente retribuiti.
Ciò dimostra, prosegue Collier, che gli immigrati daranno vita a un “modesto aumento” nella crescita economica del paese che li ospita. Aumenteranno la concorrenza per i posti di lavoro, e così facendo possono migliorare i salari dei lavoratori già occupati, a eccezione di chi è più in basso nella scala delle retribuzioni. Lo fanno a condizione – e questa è la condizione più importante – che l’immigrazione sia di per sé modesta.
L’immigrazione, riconosciuta dalla maggioranza come adeguatamente controllata e relativamente bassa, può essere assorbita. Ma i fattori cruciali e determinanti – sempre secondo Collier – sono le dimensioni dell’immigrazione e della diaspora all’interno dei paesi che li ospitano. Quando questi fattori diventano molto grandi, quando gli immigrati restano separati dalla comunità che li ospita – compresi molti che sono loro stessi discendenti di immigrati – i problemi aumentano. Aumenteranno in maniera particolare se gli immigrati non abbracciano i valori di fondo e i comportamenti della loro nuova terra.
Gli immigrati si portano appresso come un bagaglio le loro abitudini, buone e brutte che siano. Chi arriva da paesi poveri e sconvolti dalla guerra spesso ha bassi livelli di fiducia nel prossimo e continua così. Gli immigrati che vengono da società lacerate dalla criminalità spesso hanno un comportamento da delinquenti e rapporti con i criminali. Nella maggior parte dei paesi europei, gli immigrati sono rappresentati nella popolazione carceraria in percentuali sproporzionatamente alte.
Pochi soggetti, radicalizzati dalla propaganda islamista, diventano terroristi: la polizia keniana ha identificato uno dei terroristi di al-Shabab che a settembre hanno preso in ostaggio un intero centro commerciale a Nairobi nella persona di Hassan Abdi Dhuhulow, un cittadino norvegese di origini somale. Una prova come questa aumenta la diffidenza popolare, soprattutto nei confronti dei musulmani.
In Exodus Collier è particolarmente critico nei confronti di chi crede che stiamo entrando in un’epoca di “post-nazionalismo”, e che l’Ue abbia eliminato la necessità di leadership e disciplina nazionale. Egli scrive che le nazioni “sono importanti unità morali”: ciò significa che se intendono restare e integrarsi, gli immigrati in un paese ospite devono assorbire l’etica, sia esplicita sia implicita, della vita quotidiana. Molti nativi locali non seguono per primi le norme comportamentali, naturalmente, ma un immigrato farà bene a seguire gli esempi migliori, non i peggiori.
I paesi sono i loro popoli: i migranti che vengono per restare e diventare residenti a lungo termine o cittadini diventano dunque parte di un paese. Questi paesi sono ricchi allorché le loro politiche sono più o meno stabili, e soprattutto quando tutti i loro cittadini lavorano bene e sodo. Ciò implica avere buone leggi, aziende ben amministrate, e lavoratori desiderosi di lavorare come si deve. Molti datori di lavoro lodano le abitudini lavorative degli immigrati e le mettono a confronto favorevolmente con quelle dei lavoratori locali: gli immigrati che non raggiungono quel livello si espongono a critiche e pregiudizi.
I paesi stabili politicamente sono quelli nei quali la maggior parte della popolazione ha accettato, di buon grado, sia l’ordine morale sia l’ordine legale: ciò significa che l’ordine non deve essere ribadito di continuo, perché è parte della volontà popolare.
Gli immigrati devono diventare parte di tutto ciò: laddove a livello individuale o come gruppo danno segno di disprezzare quell’ordine, o di volerlo rovesciare, diventano attaccabili.
E infine: le nazioni dalle quali arrivano gli immigrati sono state le loro patrie. Di solito partono con riluttanza e dispiacere, ma lo fanno perché nel restarvi non intravedono speranze. Noi che abitiamo in paesi ricchi abbiamo il dovere – nei confronti dei più indigenti al mondo, ma anche di noi stessi – di essere molto più attivi nel fornire aiuto e sostegno per lo sviluppo degli Stati falliti o di quelli in procinto di esserlo. Il dovere nei loro confronti può essere espressione di un sentimento religioso o umano. E tutto sommato è nel nostro stesso interesse, perché così si affronta direttamente il problema del terrorismo, che prospera proprio negli stati falliti e, col passare del tempo, si ridurrà il flusso dei disperati che inizieranno a intravedere qualche speranza dove si trovano, a casa loro.
Traduzione di Anna Bissanti

La Repubblica 27.10.13