attualità, cultura

“Rai privata? No grazie”, di Carlo Rognoni

Il presidente della Rai alza il telefono e chiama: «Fabrizio, sono Anna Maria. Spero di non disturbarti. Ma che ti è venuto in mente l’altra sera di dire che stai pensando anche a una possibile privatizzazione della Rai? Ti rendi conto che hai sollevato un vespaio?»
Dall’altro capo del telefono di Anna Maria Taran- tola, ex dirigente di Bankitalia, da poco più di un anno presidente della Rai, c’è Fabrizio Saccomanni, anche lui ex dirigente di Bankitalia, oggi ministro del Tesoro. Tra i due ex colleghi ci sono da sempre rapporti di stima e amicizia: «Vedi Anna Maria è Fazio che mi ha tirato dentro. D’altra parte come potevo escludere la Rai da un generi- co impegno del mio ministero per le privatizzazioni possibili di tutte le aziende di cui siamo azionisti? Animati come siamo, con il governo Letta, a dare una mano alla riduzione del debito pubblico non possiamo a priori escludere nulla. Non ti preoccupare, tuttavia. Ho anche detto che la televisione pubblica resterà». «Già, e che cosa hai voluto dire? che pensi a una privatizzazione parziale?»

A «Che tempo che fa», dopo Brunetta ci mancava Saccomanni! Ed ecco un altro colpo basso al servizio pubblico. Il testo della telefonata è totalmente inventato e tuttavia è realistico nel merito se non nella forma.

Proprio nel momento in cui il Parlamento, attraverso la commissione di Vigilanza Rai, è impegnato in una delicatissima discussione sul Con- tratto di servizio 2013 -2015, la dichiarazione del ministro – che è praticamente l’unico azionista, avendo la Siae una modestissima partecipazione – non facilita e non semplifica questo passaggio delicato, che per altro è propedeutico al rinnovo della Convenzione con lo Stato che scade nel maggio 2016. D’altra parte non credo proprio che questo governo abbia la forza di «spacchettare» la Rai e di venderne dei pezzi. Oltre a essere un’idea sbagliata oggi è anche un’idea impraticabile. E allora perché questa uscita? Una provocazione? Per la considerazione che si deve a Fabrizio Saccomanni, mi piace pensare che abbia voluto piuttosto sfidare il top management Rai, affinché esca dalla routine e si senta costretto a immaginare una Rai del futuro. Eppure ci sono tanti e tali segnali che rendono questa interpretazione troppo benevola, poco realistica.

Proviamo a mettere insieme tutti gli indizi che portano a pensare al peggio. Si va da uno studio Mediobanca di qualche mese fa che stima il valore di mercato della Rai (2,5 miliardi di euro). Chi glielo ha ordinato? Non si è mai riusciti a sapere. Come mai Tarak Ben Ammar, finanziere franco tunisino, grande amico di Berlusconi, si è dichiarato – proprio pochi giorni fa – interessato a comprare una rete televisiva, anche della Rai?

Qual è, poi, il senso della battaglia che il vice ministro Catricalà sta facendo (tutto da solo?) sul Contratto di servizio? Vuole imporre alla Rai una divisione per generi in cui «l’intrattenimento» viene escluso dal servizio pubblico. Peggio! Si è inventato l’obbligo per la Rai di segnalare prima, in mezzo o dopo, se il programma in onda è di servizio pubblico. Ed ecco che Ingrid Deltenre, direttore generale dell’Unione Europea delle Radiotelevisioni, ha preso carta e penna e ha scritto alla presidente Tarantola: «Costituirebbe un pericoloso precedente per l’essenza stessa del concetto di servizio pubblico europeo». Si rischia di «aprire la porta a querelle interminabili, sulle sin- gole reti, sui singoli programmi». E poi: «L’unico Paese in Europa in cui qualcosa di simile è stato tentato è Malta. L’esperimento non ha dato i risultati sperati ed ha anzi messo a rischio la stessa esistenza del servizio pubblico».

Ce n’è abbastanza perché in Vigilanza, per lo meno i parlamentari del Pd e di Sel facciano muro e presentino emendamenti chiari e definitivi. Magari dopo una serie di audizioni importanti si potrebbe far capire a Catricalà che sta facendo una battaglia inutile e sbagliata. A meno che davvero la voglia di indebolire il servizio pubblico, di svilirne i contenuti, fino a far trionfare l’idea che in fondo è davvero meglio privatizzare, non faccia parte di un piano segreto inconfessabile. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca! Dopo tutti questi indizi non ci vuole Sherlock Holmes per pensare all’assassino!

L’Unità 28.10.13