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"Cina e Italia, i due volti della crescita possibile", di Fabrizio Galimberti

L’ideogramma cinese per il nome “Italia” è “il Paese delle idee”. Si tratta senz’altro di un complimento, chino su un passato glorioso. Un passato che i sempre più numerosi turisti cinesi in visita alle nostre città d’arte sanno apprezzare. Come scrisse G.K. Chesterton nel suo saggio “St. Francis of Assisi”, è da annotare «il curioso fatto che circa tre quarti dei più grandi uomini che siano mai vissuti vennero da quelle piccole città» dell’Italia dal Duecento al Cinquecento, da San Francesco a Caterina da Siena, da Leonardo a Michelangelo a Dante a Tiziano…
Ma quale immagine dell’Italia vive oggi nel conscio e nell’inconscio della Cina? Quella di un Paese mediocre che si aggrappa a un passato glorioso? La Cina e l’Italia sembrano oggi le due lame di una forbice: la lama superiore, quella cinese, si impenna verso l’alto in una tumultuosa ascesa di produzione e di domanda; la lama inferiore – l’Italia – piega verso il basso, con un Pil che scende a lustri addietro (a livello di Pil per abitante). Ma le lame possono ancora tagliare? Certamente sì. Pochi giorni fa a Milano la Italy-China Foundation, presieduta da Cesare Romiti, ha siglato un accordo con la Bank of China per creare servizi finanziari rivolti alle piccole e medie imprese (Pmi) dei due Paesi. Come ha detto il rappresentante cinese, le complementarità fra i due apparati produttivi sono forti: il basso costo del lavoro in Cina (ormai non così basso come prima ma ancora una frazione di quello italiano) si può ben sposare all’eccellenza tecnologica di tante realtà produttive della penisola, creando un situazione “win-win”.
La missione di Matteo Renzi in Asia e segnatamente in Cina ha meno avventura e meno ambizioni di quelle di Marco Polo e di Matteo Ricci. Ma è importante, per ragioni sia sostanziali che simboliche. Il simbolo è quello di un Paese che vuole scrollarsi di dosso la prostrazione di decenni, e, anche se la Cina ha il problema opposto – come rallentare una crescita troppo forte? – rappresenta, nel bene e nel male, un dinamismo che noi abbiamo perso.

O che forse abbiamo ritrovato in quel confuso laboratorio istituzionale che incornicia la politica italiana, ma non in una società e in un’economia che, accanto a barlumi di speranza, vede ancora poca voglia di spendere e molta voglia di attendere.
Le ragioni sostanziali sono più mondane. Quando si parla di Cina i superlativi si sprecano. Quest’anno vedrà probabilmente il sorpasso degli Stati Uniti (in termini di parità di potere d’acquisto) sul podio della più grande economia del mondo. Un ritorno che non sorprende affatto dato che per la maggior parte del secondo millennio l’economia cinese già occupava quel posto. E i fondamentali sono ancora dalla parte della Cina: fino a non molto tempo fa i sottoccupati nelle campagne cinesi erano pari all’intera forza-lavoro americana. La Cina ha problemi formidabili – i passaggi dalle campagne alle città moltiplicano la necessità di infrastrutture ancora insufficienti, l’inquinamento non è più sopportato da una popolazione alla quale il “panem et circenses” non basta più… – ma ha altrettanto formidabili capacità di intervento: la situazione di finanza pubblica è sana e lascia spazio a politiche di supporto, mentre il capitale umano continua a migliorare in qualità e quantità.
I rapporti economici con la Cina sono fortunatamente passati dall’antagonismo (copia dei nostri prodotti, concorrenza sleale, dumping…) alla collaborazione. «Se non puoi batterli, unisciti a loro», dice un vecchio detto. E sono ormai molti gli episodi di insediamenti italiani in Cina e cinesi in Italia. Il costo del lavoro è importante, ma non è la sola variabile che conta. La Canon giapponese qualche anno fa fece i conti e si accorse che qualsiasi prodotto per il quale il costo del lavoro era superiore al 5% del costo totale, conveniva farlo in Cina; ma gli “stepper” usati nella fotolitografia per stampare semiconduttori avevano un costo del lavoro di solo il 2% e quindi rimasero in Giappone. Questo esempio estremo sottolinea tuttavia l’importanza della qualità e dell’innovazione nelle decisioni di insediamento. Decisioni che vanno nei due sensi: ci sono stati investimenti del Celeste impero in Italia che illustrano i vantaggi per i cinesi di avvalersi dei nostri vantaggi competitivi (qualità e innovazione) per fare della penisola una testa di ponte per il mercato europeo.
Il Presidente del consiglio Matteo Renzi ha una grande occasione e un’immensa platea per presentare un’Italia che vuole far leva sulle prodezze dei suoi settori di punta in un Paese come la Cina dove una classe media in continua crescita andrà ad apprezzare un Made in Italy che, malgrado la crisi, non ha perso colpi. Ma, al di là degli aspetti mercantili, c’è una storia millenaria da riannodare lungo le tradizioni e le culture di una nuova “via della seta”.

Il SOle 24 Ore 12.06.14

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Onori e complimenti: Renzi alla prova cinese

Xi Jinping è allegro e lo accoglie come un ospite di riguardo. Non è un dettaglio. Il presidente della Cina di solito sceglie cosa comunicare con molta ponderazione e se per l’arrivo del capo del governo italiano ci tiene a congratularsi per le riforme annunciate da Renzi, aggiunge che ama il nostro Paese, che è «il primo» che preferisce visitare «da turista», che ha già visto Roma, Firenze, Sorrento, Pisa e Napoli e la Sicilia e ora vuole un altro elenco di città italiane in cui recarsi, la nostra diplomazia non può che gongolare.
In piazza Tienanmen per l’arrivo del presidente del Consiglio italiano c’è la sincronia dei colpi di cannone, un picchetto d’onore che comprende soldatesse, scelte anche in base all’estetica, dunque molto carine, una novità del protocollo cinese, un body language con il primo ministro Li Keqiang in qualche modo ostentato, segnali che lo staff di Renzi nota e rimarca, vista la proverbiale rigidità dei politici formati alla scuola del governo di Pechino.
A margine degli accordi commerciali, di una ventina di intese che coinvolgono le nostre imprese (anche nei protocolli di marketing del potente portale Alibabà), della prima sessione di un Business forum che vede il massimo delle nostre aziende che qui hanno interessi commerciali o finanziari discutere di progetti futuri con gli omologhi di Pechino (il presidente degli italiani è Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica), l’atmosfera dell’agenda istituzionale di Renzi è all’insegna dell’apertura di credito. Ci sono margini e spazi da recuperare, per l’Italia, l’accoglienza riservata al nostro premier è di buon auspicio.
Ma non solo, Xi Jinping si dice sicuro che l’Expo di Milano sarà «un evento spettacolare» (la Cina parteciperà con tre padiglioni), firma un accordo di cooperazione strategica per i prossimi tre anni con il governo italiano, «i nostri Paesi sono tradizionalmente amici» rimarca, fa persino gli auguri alla nazionale italiana per l’esordio ai mondiali di calcio in Brasile, manda i suoi saluti al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, conosciuto durante le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia.
Renzi da parte sua offre meno colore ma non meno rispetto, sottolineando con umiltà che «da voi dobbiamo imparare la capacità di programmazione e di realizzazione». Agli incontri ufficiali partecipa anche il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, che sottolinea come «in Cina è quasi impossibile fornire e vendere se non si hanno basi produttive qui. Le imprese devono fare il loro mestiere rischiando, certo in una cornice realistica e quindi il governo deve realizzare un piano sistema paese molto forte che coinvolga le imprese ma anche le banche».
Fra gli accordi siglati da segnalare quello dell’Enel, con due intese con China Huaneng Group e China National Nuclear Corporation, due aziende cinesi leader nel settore elettrico. I contratti prevedono una cooperazione scientifica e tecnologica, nello sviluppo di progetti elettrici da fonti energetiche convenzionali e rinnovabili, nonché nella gestione di carbon assets e carbon strategy. Francesco Starace, l’ad di Enel, ha anche siglato un memorandum of understanding con Qiu Jiangang, vicepresidente di China national nuclear corporation, l’azienda statale responsabile di tutti gli aspetti dei programmi nucleari cinesi. L’intesa traccia il quadro per lo scambio di informazioni e di best practice relative allo sviluppo, progettazione, costruzione, gestione e manutenzione di centrali nucleari.
M. Gal.

Il COrriere della Sera 12.06.14