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"L'Europa e il fallimento dell'austerità", di Giorgio RUffolo e Stefano Sylos Labini

Le elezioni europee hanno certificato il fallimento dell’austerità che ha fatto aumentare i disoccupati e ha prodotto nuovi poveri alimentando rabbia e disperazione nella maggior parte dei Paesi dell’Euro.
I Partiti Socialisti europei non hanno sfondato poiché si sono appiattiti sulla politica del rigore promossa dal Partito Popolare, che ha subito un netto ridimensionamento. E così sono cresciute, anche se molto al di sotto delle clamorose previsioni, le forze nazionaliste e le forze favorevoli a un’altra Europa federale e solidale. I gruppi fortemente critici dell’Europa dell’austerità a guida tedesca hanno ottenuto quasi il 20 percento dei seggi, contro il 9 percento del 2009, e, sebbene non riusciranno mai a costruire un fronte unico, hanno, però, la possibilità di sabotare le politiche economiche del blocco di maggioranza costituito da popolari e socialisti. Questi due grandi partiti ora dovranno governare insieme come accade in Germania, e bisognerà vedere se i rapporti di forza cambieranno e se il Partito Popolare Europeo sarà costretto a promuovere nuove politiche economiche per lo sviluppo e l’occupazione.
Il crollo del Partito Socialista francese è impressionante, ma non è affatto sorprendente: la Francia si trova da anni in una crisi da cui non accenna a riprendersi. Hollande ha tradito tutte le promesse che aveva fatto nella campagna elettorale del 2012 e cioè la riforma della Banca Centrale Europea sul modello della Federal Reserve
americana e il lancio degli Eurobond. All’epoca Hollande aveva dichiarato: «È inverosimile — che la Bce inondi il mercato di liquidità, con le banche che si finanziano all’1 percento e poi prestano agli Stati al 6 percento. A un certo punto simili posizioni di rendita non sono più accettabili. Sarebbe più giudizioso, più efficace, più rapido che la Bce diventi prestatore di prima e ultima istanza. Com’è peraltro il caso negli Stati Uniti e in Gran Bretagna». E ancora, Hollande era a favore della mutualizzazione del debito pubblico mediante obbligazioni europee considerate come l’unico modo per sostenere i Paesi in difficoltà e per far tornare la fiducia degli investitori internazionali negli Stati più a rischio. Nulla di tutto questo si è realizzato, ma, fatto ancora più grave, non c’è stato neppure l’impegno a sostenere una battaglia su questi fronti.
Ora l’Europa si trova di fronte ad un bivio: o diventa uno Stato realmente federale e adotta politiche espansive con l’obiettivo di una piena occupazione equamente retribuita oppure le forze antieuropeiste sono destinate a crescere mettendo a rischio la sopravvivenza della moneta unica.
Per questo motivo il semestre di Presidenza italiana rappresenta una grande occasione: il successo delle forze critiche dell’Europa dell’austerità potrebbe rappresentare uno stimolo prezioso se sarà utilizzato per attuare una svolta radicale nella politica del Vecchio Continente.

La Repubblica 17.06.14