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"Donne il 40% dei commissari Ue ipotesi di una candidata italiana. I paletti di Renzi per Juncker", di Lavinia Rivara

La candidatura di Jean Claude Junker alla presidenza della Commissione Ue si rafforza man mano che si avvicina il vertice decisivo dei leader europei di giovedì prossimo. La cancelliera Angela Merkel ha riconfermato anche ieri il suo sostegno all’ex premier lussemburghese per poi tornare ad affrontare l’argomento in un colloquio telefonico con Matteo Renzi.
Al centro del quale — ha fatto sapere palazzo Chigi — c’è stata «la piattaforma programmatica su cui sta lavorando Van Rompuy », reduce dall’incontro di mercoledì con lo stesso Renzi, «anche per rispondere alle sollecitazioni provenienti dall’Italia».
Ma la presidenza della Commissione non è che il pezzo centrale di un puzzle assai più complesso, al cui completamento mancano ancora molte tessere.
Il pacchetto nomine infatti comprende anche la guida del Consiglio Europeo e, naturalmente, i commissari, a partire da quelli più prestigiosi come gli Esteri. Un pacchetto che il mediatore Van Rompuy non ha ancora in mano. E tuttavia dalle trattative emerge una convergenza su un criterio base: al vertice delle istituzioni europee ci dovrà essere una adeguata rappresentanza di genere, cioè circa il 40 per cento di donne. In questo solco cresce l’ipotesi che l’Italia indichi come suo candidato alla Commissione proprio una donna. Una scelta che, del resto, sarebbe perfettamente conseguente con la linea fin qui seguita da Renzi sia per la formazione del suo governo (la metà dei ministri, con incarichi di peso come gli Esteri e la Difesa), sia per la composizione della segreteria del Pd. Ma anche una soluzione che taglierebbe fuori candidature maschili di prestigio di cui da tempo si parla, da Massimo D’Alema a Enrico Letta fino a Mario Monti.
Ma il capitolo nomine non è esaustivo. «Oggi il problema non sono i nomi, vengono prima le richieste programmatiche» insiste Renzi con i suoi interlocutori europei.
Tra queste una maggiore flessibilità per favorire gli investimenti produttivi (che non vuol dire il loro scorporo dal calcolo del deficit pubblico, come ha precisato il ministro Padoan) e un rafforzamento del Frontex per governare l’emergenza immigrati.
«Già se venissero accolte queste due richieste — sostiene il premier — il 60 per cento dei problemi attuali degli italiani sarebbero risolti». E a dare una mano alla linea antirigore ieri è arrivato anche il Fondo monetario internazionale chiedendo all’Eurozona una semplificazione del patto di stabilità e uno stop alle politiche di austerity, anche se il Pil dovesse risultare ancora negativo. Il direttore generale Christine Lagarde ha anche chiesto che Bce di «considerare l’acquisto su larga scala di bond sovrani» contro la deflazione. Tutte questioni che saranno al centro di un minivertice dei leader del Pse domani a Parigi. E infine c’è il nodo Cameron. Ieri la Merkel ha teso la mano dicendosi «molto aperta nei confronti della Gran Bretagna». Il che potrebbe tradursi in un sostegno per un portafoglio pesante in cambio del via libera a Juncker.

da la Repubblica

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“Padoan all’Ue: politiche per crescita e occupazione”, di Redazione L’Unità

«Non abbiamo chiesto di scorporare gli investimenti dal patto di stabilità».
Pier Carlo Padoan mette subito i paletti appena arriva all’Eurogruppo che precede l’Ecofin decisivo di oggi. I ministri dell’Economia sono chiamati a preparare i dossier per il Consiglio della prossima settimana, dove si giocheranno diverse partite sullo scacchiere europeo.
L’Italia sta assumendo un ruolo chiave nella preparazione del prossimo quinquennio. Ecco perché è atteso l’intervento del ministro Padoan. L’accenno alle regole del Patto non è casuale. È chiaro che Roma non vuole aprire un fronte diretto con Berlino. L’altroieri la Cancelliera aveva detto che un nuovo patto non è necessario, essendoci già i necessari margini per poter intervenire sulla crescita. E Padoan si allinea. Anche se voci a favore della revisione di un patto «troppo complicato» sono arrivate dal Fondo monetario
internazionale. Si tratta di semplificare il patto, indicando un solo obiettivo che, secondo l’Fmi, può essere la riduzione del debito pubblico insieme con il bilancio in termini strutturali.
Questo potrebbe essere l’unico obiettivo operativo. Il documento reso pubblico
ieri non approfondisce la proposta. Impossibile senza ulteriori dettagli valutare che tipo di impatto potrebbe avere in assenza di valori di riferimento. I tecnici di Washington esprimono preoccupazione per la crescita debole dell’Eurozona. Se l’inflazione nell’eurozona «resta ostinatamente bassa» la Bce deve valutare «un programma di acquisti su larga scala, soprattutto di titoli pubblici in base alle quote di capitale Bce», propongono gli americani.
D’altro canto il ministro italiano ha più volte espresso la sua contrarietà a
posizioni di scontro con la Germania. La posizione su cui si attesta l’esecutivo di Roma è articolata. «Abbiamo posto il problema di mettere in campo tutti gli strumenti di cui l’Europa già dispone – spiega Padoan – per l’accelerazione della crescita e la creazione di posti di lavoro. L’Europa si è occupata per molti anni di cose altrettanto importanti come il consolidamento dei bilanci e l’unione bancaria, sono stati fatti progressi su quel terreno, mancano progressi sul terreno della crescita e dell’occupazione».
Per quanto riguarda il nostro Paese, al primo punto dell’agenda c’è la revisione del patto di stabilità interno. «È un meccanismo che va rivisto per rendere più efficiente l’interazione tra governo, enti locali e Regioni». La questione è collegata all’ultimo «caso» che ha coinvolto il nostro paese: quello dei pagamenti dei debiti della Pa. Proprio per rispettare il patto interno, molte amministrazioni locali hanno sospeso il pagamento, creando un «rosso» di decine di miliardi, che ha fatto scattare il «cartellino rosso» dell’Europa. Il titolare dell’economia non ha nascosto la sua irritazione per l’iniziativa, presa sul filo di lana dal commissario uscente Antonio Tajani. «Soltanto con il precedente governo e molto di più con questo si è cominciato ad aggredire un problema che c’era da molto tempo», ha ricordato con malizia Padoan, facendo riferimento alle responsabilità dei governi Berlusconi, essendo Tajani un parlamentare di FI. l’Italia risponderà con i fatti, ha detto il ministro. Con «il nuovo ammontare di risorse per i meccanismi
di garanzia, l’introduzione della fatturazione elettronica e il fatto che le informazioni saranno ancora più dettagliate», si otterranno risultati immediati.
«C’è una notevole dispersione se si va a livello di governi locali nel pagamento dei debiti – ha aggiunto Padoan – ci sono alcuni Comuni che pagano in 15 giorni e altri che pagano in più di tre mesi».

da l’Unità