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"Pensioni, la metà non arriva a mille euro", di Giuseppe Vespo

«Generazione mille euro» i nipoti, generazioni sotto i mille euro i nonni. Quello che da tempo ripetono i sindacati e gli osservatori più attenti ieri ha trovato la certificazione dei dati Istat: per 7,7 milioni di italiani la pensione non supera i tre zeri dei mille euro. Parliamo di quasi la metà dei titolari di trattamenti pensionistici, che complessivamente sono 16,2 milioni di persone. Nello specifico, secondo l’Istituto di statistica che prende in esame valori del 2009, il 39,1 per cento degli assegni, destinati a 2,5 milioni di persone, è inferiore a 500 euro; il 31,4 è compreso tra 500 e mille euro mentre il 13,4 per centoha importi tra mille e 1.500 euro mensili; il restante 16,1 per cento del totale ha importi mensili superiori a 1.500 euro. Unafotografia impietosa, che restituisce pensioni misere ma allo stesso tempo sempre più costose. Nel 2009 l’assegno complessivo è stato il più alto mai staccato: 254,4 miliardi di euro, in crescita del cinque per cento sul 2008. Per avere un’idea, parliamo del 16,68 per cento del prodotto interno lordo italiano. E il trend è in costante crescita dal 2006. LA METÀ AL NORD Oltre la metà della spesa pensionistica complessiva si concentra al Nord, dove viene erogato oltre il 47 per cento delle pensioni (11.159.600 trattamenti) per più di 127 miliardi di euro. Al Nord i pensionati sono quasi otto milioni, con un reddito mediodi 16.242 euro l’anno. Al Centro sono state riscosse nel 2009 quasi cinque milioni di pensioni da oltre tre milioni di persone, con una spesa complessiva di 54 miliardi di euro (il 21,5% del totale). Il reddito medio nel centro Italia è il più alto, 16.568 euro. Mentre nel Mezzogiorno sono state erogate 7.359.155 pensioni a oltre cinque milioni di aventi diritto. La spesa complessiva è stata di poco sotto i 70 miliardi di euro (il 27,8% del totale) e il reddito pensionistico pro capite è di 13.708 euro, inferiore a quello medio del Paese (15.511 euro). Sui costi complessivi incide ovviamente la crisi economica maanche il numero di persone che usufruiscono del trattamento. Troppe in rapporto a chi è ancora al lavoro. L’Istat rileva che ci sono 71 titolari di pensione ogni cento lavoratori. Dei beneficiari, il trenta per cento ha meno di 64 anni e c’è un 3,6 per cento super baby pensionati con meno di 40 anni. Dati che si spiegano con la presenza di norme diverse a seconda del tipo di prestazione. Per la vecchiaia, al momento, l’uscita dal lavoro è prevista a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini, ma ci sono poi prestazioni legate all’anzianità contributiva, all’invalidità sul lavoro e a quella civile, e molte altre ancora. I dati diffusi dall’Istat dimostrano che per gli anziani c’è «un rischio povertà soprattutto in alcune regioni d’Italia – commenta Enrico Giovannini, presidente dell’Istituto di statistica – Non solo povertà economica, ma anche di esclusione sociale perché molti anziani vivono da soli». Più preoccupato dei costi che delle persone è Giuliano Cazzola, pidiellino presidente della commissione Lavoro della Camera, che domanda: «Con questi chiari di luna potrà la previdenza non dare il suo contributo alla importante manovra di finanza pubblica che si annuncia nei prossimi mesi?». Per la Cgil risponde la segretaria confederale Vera Lamonica, secondo cui il problema non è l’equilibrio del sistema, che tiene,mal’alto numero di pensioni povere: «Abbiamo un grande problema sociale da risolvere: l’inadeguatezza delle pensioni per tutti quei lavoratori e lavoratrici che hanno carriere fragili». Inoltre, «il tema del rapporto tra occupati e pensionati, non possiamo separarlo dagli effetti pesantissimi di una crisi non ancora superata». Cisl e Uil pressano invece sulla riforma fiscale, per la quale hanno manifestato sabato, convinti che sia l’unica via per garantire l’adeguatezza dei trattamenti. Mentre per l’Ugl i dati confermano un sostanziale equilibrio del sistema.

L’Unità 22.06.11