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"Così possiamo fermare il femminicidio", di Roberta Agostini

La strage silenziosa delle donne nel nostro paese continua, raccontata con il clamore dei casi di cronaca. Ilaria Leone, Alessandra Iacullo, Chiara di Vita, Michela Fioretti sono state le ultime, in ordine di tempo a perdere la vita uccise da mani maschili.
Nonostante le apparenze, il primo punto da tenere bene a mente è questo: non si tratta di un’emergenza ma di un fenomeno radicato, pervasivo e strutturale, che ha bisogno di essere letto e considerato come tale.
Ci si interroga di fronte all’ennesimo caso e ci si chiede il motivo dell’esplosione di tanti delitti. Massimo Recalcati qualche tempo fa ha scritto che la violenza non è una regressione dall’uomo all’animale, ma accompagna da sempre, come un ombra, la storia dell’uomo. Nasce dall’incapacità (maschile) di accettare il proprio limite, il proprio fallimento, «la ferita narcisistica subita dalla propria immagine» in una miscela esplosiva di narcisismo, appunto, e depressione. Totalmente immersi in una cultura che insegue il «nuovo» ed il «successo» il ricorso alla violenza esorcizza vulnerabilità ed insufficienza.Qui, credo, dobbiamo registrare l’andamento di un dibattito pubblico che è, anche se solo in parte, cambiato. Fino a qualche anno fa non era un dato acquisito ricercare la causa della violenza nelle relazioni sbagliate tra uomini e donne, in una concezione maschile di dominio, in un’incapacità di accettare libertà ed autonomia femminile. Forse non lo è neppure ora, ma il piano dell’ordine pubblico e della sicurezza (che pure è importante per la vivibilità delle città) è stato dominante in molti passaggi cruciali. Ricordo gli argomenti branditi come una clava durante la campagna elettorale di cinque anni fa di fronte alla terribile morte della signora Reggiani a Roma. La sicurezza urbana va garantita, ma questa garanzia non è condizione sufficiente per battere la violenza.
Abbiamo nominato quello che, sotto gli occhi di tutti, senza un nome non veniva visto e riconosciuto, il femminicidio. Queste morti non le possiamo più catalogare in modo indistinto nella cronaca nera: le donne sono uccise in quanto e perché donne, in quanto appartenenti ad un genere, fatte oggetto di discriminazioni, ingiurie, offese e lesioni fisiche, economiche, psicologiche.
Non è una parola solo italiana. Viene dal Messico e arriva fino in India dove grandi manifestazioni contro le barbare uccisioni attraversano il Paese. È il risultato di un movimento mondiale che lavora in molti modi diversi per affermare il ruolo e difendere la dignità delle donne: nelle forze sociali e politiche, nelle associazioni, nelle università, nelle case e nei centri antiviolenza. Molte delle uccise avevano precedentemente denunciato il loro aguzzino. Cosa è successo, perché non sono state ascoltate e protette da chi aveva il compito di farlo? Cominciamo a ricercare le responsabilità. E poi rilanciamo politiche concrete, sappiamo cosa fare ce lo dicono documenti ed esperienze, nazionali ed internazionali.
È indispensabile in primo luogo conoscere il fenomeno attraverso un Osservatorio e poi rafforzare la presenza dei centri antiviolenza e dei servizi, pubblici e convenzionati, luoghi dove si può chiedere aiuto e dove le donne possono essere ascoltate e prese in carico da altre donne. Ed è indispensabile che i centri siano nodi di una rete territoriale che connetta servizi sociali, ospedali, forze di polizia.
È necessario formare tutti gli operatori ed i soggetti che accolgono, sostengono e soccorrono le donne vittime di abusi; attivare campagne di prevenzione e sensibilizzazione a partire dalle scuole, educando i bambini al rispetto tra i sessi; introdurre norme per la tutela della vittima nella fase più delicata del procedimento penale ovvero quella delle indagini; assegnare carattere prioritario per i procedimenti penali per i reati sessuali o contro la personalità individuale per consentire alle vittime di vedere nel più breve tempo possibile soddisfatti i loro diritti.
Servono risorse ed un fondo stabile appositamente dedicato. E quale migliore occasione di un Parlamento fortemente rinnovato e con il 30% di presenza femminile? Chiediamo da tempo che il Parlamento ratifichi la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa per la prevenzione ed il contrasto della violenza domestica e sulle donne. Ora è possibile farlo. Sosterremo senza esitazioni la proposta della ministra Idem di una task force contro il femminicidio. Altrettanto importante sarebbe se tutte le elette si facessero portatrici di un percorso di condivisione con le associazioni e con i centri anti violenza per formulare una proposta di legge sul femminicidio che segua e dia attuazione alla Convenzione, da approvare il prima possibile. C’è uno strumento ancora che abbiamo per sconfiggere la violenza, che è politico e simbolico. Riguarda la forza e l’autorevolezza delle donne che ricoprono ruoli decisionali, che siedono ai vertici delle istituzioni, che guidano l’economia. Le offese e le minacce alla presidente Boldrini ci parlano anche di questo, ancora una volta della difficoltà di accettare il fatto che una donna ricopra un ruolo tanto importante. Le donne devono tornare a fidarsi dello Stato e delle istituzioni e lo Stato deve affidarsi di più alle donne . Il nostro impegno di elette sarà essenziale affinché le cittadine italiane possano sentirsi rappresentate e sentano la nostra presenza utile per la loro quotidianità.

L’Unità 14.05.13