attualità, politica italiana

"Dove osano i capitali", di Fedele De Novellis

Le economie avanzate stanno vivendo una fase di ripresa che, partita in alcune aree, si sta gradualmente diffondendo a tutti i Paesi, compresi quelli della periferia europea. In questo percorso, gli Stati Uniti sono in una fase più avanzata, anche perché le loro politiche economiche hanno sostenuto l’economia con maggior forza.

Man mano che la ripresa Usa con il passare dei mesi si è consolidata, iniziando a produrre effetti tangibili anche in termini di riduzione della disoccupazione, è apparso evidente che le politiche economiche avrebbero dovuto rientrare rispetto alle misure eccezionalmente espansive adottate negli anni precedenti. Per la politica monetaria è iniziato il cosiddetto tapering, ossia una riduzione dell’ammontare di acquisti mensili di titoli da parte della Fed, cui seguirà, se la ripresa si protrarrà nei prossimi mesi, l’avvio della fase di rialzi dei tassi d’interesse, nella seconda metà del 2015.

Come tutte le fasi di inversione della politica monetaria, anche questa volta le fibrillazioni sui mercati non hanno tardato a manifestarsi. In particolare diversi Paesi, che ne- gli anni scorsi avevano fortemente beneficiato dell’ondata di liquidità immessa dalla Fed sui mercati, hanno iniziato a sperimentare una rapida inversione di tendenza. La fuga di capitali ha colpito soprattutto diversi Paesi emergenti. Alcune economie di dimensioni rilevanti – come l’India, il Brasile o la Turchia – hanno quindi subito un rapido deprezzamento del cambio rispetto alle maggiori economie. La caduta delle valute emergenti, aggiungendosi all’ampia svalutazione dello yen giapponese, ha determinato un completo stravolgimento dello scenario valuta- rio internazionale.

Inoltre, alcuni di questi Paesi, al fine di limitare la violenza della fuga di capitali, hanno iniziato ad alzare i tassi d’interesse e a ridurre le riserve di dollari accumulate negli anni passati. Questo ha aumentato l’offerta relativa di dollari rispetto agli euro, e concorre a spiegare, insieme ai segnali di ripresa dell’eurozona, il rafforzamento del cambio dell’euro sul dollaro. I capitali in uscita dai Paesi emergenti si sono mossi alla ricerca di rendimenti interessanti, che hanno trovato soprattutto nelle economie della periferia europea dove i prezzi di molte attività – borse, obbligazioni, e anche immobili – si sono fortemente ridotti durante gli anni passati. Ecco quindi la spiegazione della contestuale forza dell’euro e degli afflussi di capi- tali internazionali, il cui riscontro più immediato è visibile nella riduzione degli spread dei Paesi della periferia, e nel recupero delle borse. Spread in discesa e cambio in rafforzamento sono dunque due facce della stessa medaglia, di cui ci compiacciamo o lamentiamo spesso contemporaneamente.

Resta da stabilire se l’effetto netto di questo cambiamento farà bene alla nostra economia. Il rischio è che la pressione competitiva proveniente dai Paesi emergenti si faccia sentire nei prossimi mesi, stroncando sul nascere i segnali di inversione del ciclo dell’industria. D’altra parte, un ritorno dei capitali nel nostro Paese potrebbe rappresentare un volano della ripresa, se il sistema bancario italiano riuscirà a finanziarsi a con- dizioni migliori, favorendo il superamento della fase di restrizione del credito in atto. L’effetto netto sarà positivo se nel medio termine saremo in grado di restare attraenti per il resto del mondo anche senza bisogno di vendere le nostre attività a prezzi in saldo. Ovvero se la chiusura dello spread si rivelerà permanente e, soprattutto, senza bisogno della garanzia implicita della Bce a sostegno della riduzione del nostro premio al rischio. Lo stesso vale per le tante aziende italiane, presenti sui mercati con produzioni di eccellenza, ma duramente colpite dalla crisi, e quindi acquisibili oggi a prezzi convenienti.

La vera sfida sta quindi nel creare un ambiente economico solido e dinamico di cui gli investitori internazionali trovino attraenti le prospettive di lungo periodo piuttosto che l’occasione offerta da un’economia in vendita al migliore offerente. In caso contra- rio, quando le condizioni finanziarie internazionali saranno meno favorevoli, e questo avverrà presto se la normalizzazione della politica monetaria Usa andrà avanti, potremmo ritrovarci esposti facilmente agli umori volubili dei mercati, con tutte le dolorose conseguenze che conosciamo, avendole già sperimentate negli anni scorsi.

L’Unità 04.04.14