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"Che fine ha fatto il merito?", di Gianni Gandola

l’art.64 del decreto legge 112/2008 (poi convertito in legge 133/2008), prevedeva che il 30% delle risorse risparmiate dovesse essere riutilizzato nella scuola, per riconoscere la professionalità dei docenti, premiare il merito, promuovere la carriera.Che fine ha fatto tutto questo? Oggi è in primo piano l’emergenza. Non solo quella per il terremoto in Abruzzo o l’inquinamento del Po, ma anche quella connessa allo stato di sofferenza e di crisi finanziaria in cui versano gli istituti scolastici. Per non parlare delle condizioni strutturali di molti edifici scolastici. O della riduzione consistente di risorse professionali nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.E così molte altre questioni rilevanti che riguardano la scuola italiana sono finite inevitabilmente in secondo piano. Ad esempio quella della valorizzazione della professionalità docente e del merito. Ce lo ricorda Giancarlo Cerini che, in un recente articolo, “Merito, professionalità, carriera: le proposte in campo” (1) , riapre questa questione spinosa quanto delicata e di fondamentale importanza per il nostro sistema di istruzione.

I tagli degli organici, le scuole senza soldi per i supplenti, deprivate delle risorse economiche e professionali hanno finito per offuscare o comunque mettere all’angolo questo aspetto.Ma proprio l’art.64 del decreto legge 112/2008 (poi convertito in legge 133/2008), quello che prospettava una consistente riduzione del personale in organico nelle scuole,prevedeva anche che il 30% delle risorse risparmiate dovesse essere riutilizzato nella scuola, per riconoscere la professionalità dei docenti, premiare il merito, promuovere la carriera.Che fine ha fatto tutto questo? Ogni tanto se ne sente parlare, il ministro Gelmini fa qualche spot propagandistico o dichiarazione in tal senso, ma di fatto non sono ancora stati fatti passi sostanziali in quella direzione.

Cerini ricorda che l’ultimo “stato giuridico” degli insegnanti risale al lontano 1974.Tempo ne è passato e, come abbiamo sottolineato altre volte, anche alcuni timidi tentativi di introdurre differenziazioni retributive all’interno della categoria (riconoscimenti economici addirittura su base volontaria, a richiesta degli interessati, com’era nella vicenda del famoso “concorsone” delministro Berlinguer)non hanno avuto alcun esito. E’ storia nota.

Come si sa negli ultimi anni il discorso è stato ripreso dal progetto di legge Aprea, sul quale Scuolaoggi ha già espresso alcuni commenti (2) e che ha incontrato non poche resistenze in ambito politico-sindacale e nello stesso mondo della scuola.Fa bene Cerini a rammentare due cose.La prima è che in linea teorica tutti sono e si dicono d’accordo sull’esigenza di valorizzare gli impegni ed i meriti dei docenti (a parte alcune posizioni pseudo-egualitarie di chi è contrario per principio). Il disaccordo sorge sulle modalità. La seconda è che, comunque, una simile operazione, per sortire utili risultati, ha bisogno di una forte condivisione delle procedure, un po’ come avvenne, appunto,quando furono elaborati i decreti delegati da commissioni miste formate da politici, tecnici e rappresentanze sociali.Due punti, questi, tutt’altro che irrilevanti e di non semplice soluzione.

Del progetto di legge Aprea tutto è noto e non stiamo a riprenderlo se non per ricordare che l’idea di fondo è quella di una carriera a gradoni,stratificata in tre livelli (docente ordinario, docente esperto, docente senior) ai quali corrisponderebbe un diverso riconoscimento retributivo. L’idea quindi di una carriera individuale.Questa è una modalità, sostiene Cerini, chiedendosi al tempo stesso se ce ne sono altre, alternative.E ne richiama almeno due.

La prima è riconducibile ad alcune proposte delle associazioni professionali o ad alcuni primi approcci sindacali. Qui l’elemento di qualità (quello che fa la “differenza”) verrebbe individuato e legato alla capacità di fare squadra ed alla condivisione delle scelte.Posto che il criterio per valutare la qualità dell’insegnamento sia l’esito degli apprendimenti degli allievi, si deve osservare – sottolinea Cerini – che questo dipende da molti fattori (caratteristiche degli allievi, ambiente socio-culturale e contesto, condizioni strutturali della scuola, qualità della proposta didattica, ecc.).In prima approssimazione allora, secondo questa linea di sviluppo, si potrebbe collegare l’andamento retributivo ad alcune variabili oggettive che possono influire positivamente sulla qualità del lavoro docente, come ad esempioil tempo dedicato all’insegnamento.Dunque la variabile “tempo di lavoro” in primo luogo.E qui Cerini distingue diverse proposte e diverse scelte di orario (tempo parziale, tempo normale, tempo potenziato con presenza a scuola full time, anche per compiti di supporto organizzativo e progettuale).

Una secondaproposta è quella che emergerebbe da una recente indagine della Fondazione Agnelli(Rapporto sulla scuola in Italia, 2009).La Fondazione Agnelli ipotizza che i riconoscimenti al merito siano dati ad impegni di squadra, al lavoro di team, ad azioni progettuali di carattere collegiale.Tutt’altra ipotesi, questa, rispetto alla prospettiva della carriera individuale.“Le ragioni per cui- si legge nel testo citato – secondo noi è preferibile una soluzione diversa (da quella della carriera individuale, della retribuzione in base al merito dei singoli insegnanti – Ndr) risiede nell’importanza dell’intero corpo docente e delle interazioni di classe(il cosiddetto peer effect) nel determinare i risultati scolastici, che trascende e in molti casi rende impossibile isolare il contributo del singolo insegnante”. Quindi, in un’ottica sperimentale forme progressive di valutazione dovrebbero riferirsi ad azioni di carattere collegiale, ad impegni e risultati raggiunti dai docenti in équipe, previa verifica ad opera anche di valutatori esterni. Spetterebbe poi al gruppo di progetto definire eventuali forme differenziate di riconoscimento economico per compensare effettivi impegni e responsabilità (per compiti di coordinamento, tutoraggio, documentazione, ecc.).Una soluzione questa di tipo collegiale, condivisa dal gruppo docente, per qualcuno forse troppo “collettivista” (sostenuta oltretutto proprio dalla Fondazione Agnelli!).Una soluzione in ogni caso che va in forte controtendenza – almeno se si pensa alla scuola primaria – con le scelte e gli orientamenti espressi dalministro Gelmini.Il ritorno del maestro unico, la sottovalutazione della programmazione collegiale, il taglio delle compresenze dei docenti non vanno certo in questa direzione, quella della valorizzazione innanzi tutto del gruppo docente e dell’articolazione del lavoro al suo interno.

Ma Cerini non esita a riconoscere, più avanti, che ci sono molte resistenze nei confronti della valutazione del docente (e quindi ipso facto del riconoscimento del merito, delle diverse professionalità).Valutare i docenti, insiste a ragione, non è un’azione né semplice né pacifica.E ribadisce – e non possiamo non condividere questo assunto di partenza – che “il sistema di valutazione dei docenti potrà essere realisticamente avviato solo a seguito di una sperimentazione diffusa nelle scuole e di una condivisione progressiva dei modelli valutativi. Il primo step dovrebbe essere di carattere auto valutativo. In tal senso si potrebbe incentivare l’adozione di un portfolio professionale per ogni docente, per documentare il curricolo via via sviluppato”.

Qui Cerini richiama esplicitamente il risultato di un lavoro prodotto dalle associazioni professionali (ADI, AIMC, APS, CIDI, DIESSE, FNISM, MCE, UCIIM)firmatarie di uno specifico protocollo di intesa con l’Ufficio scolastico regionale dell’Emilia-Romagna che prevede una ricerca azione su temi complessi quali appunto i caratteri dell’identità docente, gli standard professionali, la valutazione e valorizzazione dell’insegnamento. In questa ottica uno strumento comeil portfolio del docente può consentire di documentare e rendere espliciti gli eventi più significativi della biografia personale (preparazione culturale iniziale, attività di formazione in servizio, assunzione di incarichi di responsabilità nella scuola, ecc.), ma soprattutto ciò che avviene in classe, la qualità della didattica e dell’insegnamento, con una diretta incidenza sui processi e sugli esiti di apprendimento (Cfr: USR ER, Il portfolio degli insegnanti, Tecnodid, 2005).Un’ipotesi di lavoro indubbiamente interessante e concreta, per i sui legami con l’attività di classe, con la didattica.

Ma torniamo al punto di partenza. Alcune domande sono inevitabili. Che ne è dell’accantonamento del 30% delle risorse per il merito?Cosa intende fare e come intende muoversi, a questo proposito, il Ministro?E’ lecito aspettarsi che qualcosa succeda, in questa direzione, nei prossimi mesi, al di là dei proclami e delle suggestioni?

Nello stesso numero della Rivista dell’Istruzione, in una lunga intervista di Cerini – in veste di direttore – l’on. Valentina Aprea ribadisce che “sono maturi i tempi per la definizione di un nuovo stato giuridico dei docenti che crei le condizioni per restituire agli insegnanti la dignità di “professionista” e de-impiegatizzi la funzione dell’insegnante, esaltandone la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale”. E quindi ripropone l’idea della progressione di carriera con livelli differenti. “Sono certa – sostiene l’Aprea sul finire dell’intervista – che dopo l’approvazione della Riforma del secondo ciclo e della formazione iniziale dei docenti, proposta dal Governo, sarà possibile riaprire il dialogo fra le forze politiche, e tra queste e il Governo, per completare anche sul piano organizzativi e didattico il cambiamento tanto atteso e non più rinviabile della scuola italiana”.

Ce lo auguriamo.Per ora abbiamo visto soltanto una politica di tagli indiscriminati, di riduzione consistente delle risorse finanziarie e professionali. Sarebbe ora di parlare seriamente della valutazione dei docenti (quindi del merito) in una logica di confronto con il mondo della scuola, con le associazioni professionali, con le forze politiche e sociali, con gli stessi sindacati (dei quali non abbiamo nascosto talvolta le posizioni conservatrici, ma dai quali si devono attendere proposte concrete).Finora il ministro Gelmini, al di là delle dichiarazioni fatte al tempo del suo insediamento e che avevamo allora apprezzato, non ha affatto dato mostra di offrire una tale disponibilità.Se il Governo pensa di intraprendere e affrontare una partita così delicata – contrariamente a quanto affermaValentina Aprea – senza questa disponibilità all’ascolto ed al confronto, i risultati sono già compromessi in partenza. Proprio per le considerazioni che faceva Cerini.I grandi cambiamenti e le innovazioni nella scuola italiana necessitano di ampia condivisione e di partecipazione sociale.

NOTE

(1)Rivista dell’Istruzione, Scuola e autonomie locali (n.1, gennaio-febbraio 2010) Maggioli editore

(2) ad es. “La proposta di legge Aprea: I diversi “livelli” della professione docente – di G.Gandola e F.Niccoli
da Scuola Oggi 03.03.10