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“Precari, basta promesse”, di Flavia Amabile

Una lettera di chi lavora nelle università italiane senza un contratto a tempo indeterminato: la pazienza è finita.

Il ministro Mariastella Gelmini ha annunciato che probabilmente tra pochi giorni sarà approvato il decreto legge di riforma dell’università. Lo si attende da mesi, i precari sanno già che non porterà nulla di buono per loro e l’Aprit, l’Associazione precari italiani, lo hanno scritto in questa lettera.

«Nella totale indifferenza del Paese una generazione di ricercatori sta per essere buttata al macero, abbandonata al suo destino senza nessuna possibilità oltre la fuga all’estero.
Il Ministro Gelmini annuncia infatti da ormai 6 mesi la mirabolante impresa di aver riformato i concorsi universitari e di aver “creato” 4000 nuovi posti per ricercatori, senza rendersi conto che nella realta’ i regolamenti NON sono stati modificati, e i 4000 posti annunciati non sono stati nemmeno messi a concorso.
Il Ministero dell’Università e dell’Istruzione, ritarda da mesi l’elezione per le commissioni dei concorsi gia’ banditi, e i suoi tecnici stanno impiegando 6 mesi per emanare un decreto ministeriale (inizialmente previsto entro il trentesimo giorno dall’emanazione della legge che dovrebbe rendere esecutiva, la 1/2009) che dovrebbe materialmente dettare le nuove regole per i concorsi. Quali misteriose ragioni tecniche (ammettendo che le ragioni siano esclusivamente tecniche) stanno ritardando in modo così straordinario la pubblicazione di questo provvedimento?
Le Universita’, intanto, potrebbero comunque cominciare a bandire i posti perche’ i soldi ci sono (li ha stanziati il defunto governo Prodi, addirittura). Ma se ne guardano bene: le lobbies universitarie non vogliono evidentemente correre il rischio di bandire “al buio”, ovvero senza conoscere quelle regole che si devono per forza taroccare, senno’ come si promuovono portaborse inetti, figli, nipoti e amanti che in questi ultimi anni – grazie ai meccanismi di reclutamento insensatamente perpetuati dopo il ministero Berlinguer – hanno affollato le cattedre universitarie? Tanto piu’ che, anche se i posti sono cofinanziati dal Ministero al 90%, son comunque spiccioli che e’ bene tenere in tasca, pena il rischio di sforare la famosa quota 90 (90% del budget che se ne va in soli stipendi) oltre la quale arrivano le sanzioni del Ministro Tremonti. Un rischio troppo grosso, specie poi se la perpetuazione della parentopoli non e’ sicura.
I Parlamentari della Maggioranza, in particolare quelli che di Universita’ se ne intendono, danno infine il loro piccolo contributo seminando bozze di un mitologico ddl di riforma dell’Universita’ dove prospettano soluzioni terroristiche alla crisi dell’Universita’ accanendosi ancora di piu’ sull’anello debole, i precari. Minacciano di introdurre un vincolo temporale per cui dopo 5 anni dal dottorato si viene automaticamente espulsi, senza possibilta’ di poter concorrere ai posti da ricercatore; sanciscono per legge l’anomalia tutta italiana dell'”aspirapolvere” (la sovrabbondanza di prof associati e ordinari per pagare i quali le risorse sono risucchiate ai ricercatori, postdoc e dottorandi e alla ricerca in genere) istituendo un rapporto ricercatori:associati:ordinari di 40:33:27 (nel resto del mondo si attesta su 60:30:10); giocano a spartirsi la torta della “governance” istituendo rettori sovrani assoluti e minimizzando il ruolo della rappresentanza universitaria nell’amministrazione dell’Universita’ stessa.
Dopo aver fatto svariate volte appello a tutte le forze in campo perche’ si evitasse di buttare a mare le competenze e, non da ultimo, la vita di migliaia di precari, ed aver ottenuto solo rinvii, tagli e blocchi, i precari della ricerca affilano quindi le armi. Da qui in avanti,senza nessun preavviso, aspettatevi blocchi della didattica, delle sessioni di laurea, dei congressi e convegni che spesso sono organizzati proprio grazie ai precari, blocco dei progetti di ricerca e dei monitoraggi, appelli alla comunita’ internazionale e alle istituzioni europee. L’Italia sembra non accorgersi che per vincere le sfide dell’immediato futuro non può permettersi di perdere un’integra generazione di ricercatori, su cui ha investito attraverso anni di studi, di formazione alla ricerca, di investimenti che andrebbero irreversibilmente buttati via. Forse è arrivata l’ora che qualcuno lo ricordi. La pazienza e’ finita.»

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