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“Destra, sinistra e il welfare del Ministro Sacconi”, di Elena Granaglia

In molti altri paesi, la crisi attuale è utilizzata come occasione per ripensare e contrastare un modello di crescita, centrato sugli incrementi a breve di reddito, nella sostanziale sottovalutazione della distribuzione di quel reddito nonché dei costi sociali della crescita. Nel nostro paese, il Libro Bianco sul Futuro del Modello Sociale appena presentato dal Ministro Sacconi sembra, invece, compiere il passo opposto. La crisi, con i connessi vincoli di bilancio, lungi dal mettere in discussione il recente modello di crescita, appare l’occasione per sostenere, in modo più esplicito di quanto facesse il Libro Verde, un’operazione largamente ideologica – il Libro Bianco non presenta alcuna evidenza empirica, rimuovendo anche i non numerosi dati presenti nel Libro Verde – di radicale ridimensionsamento di uno stato sociale ritenuto ormai insostenibile e comunque intrinsecamente carente, in quanto lesivo della responsabilizzazione personale e del ruolo dei corpi sociali intermedi. L’operazione appare pericolosa in quanto utilizza valori cari alla sinistra, in particolare alla sinistra moderata, sulla base, però, di una declinazione largamente alternativa rispetto alla declinazione che dovrebbero abbracciare qualsiasi sinistra dedita agli ideali di eguaglianza morale e sociale e di libertà.
Una prima fonte di preoccupazione concerne la declinazione dei valori stessi. Ad esempio, le opportunità rappresentano un valore centrale per il Libro Bianco. Come conciliare, però, la difesa delle opportunità, che implicano inevitabilmente una nozione di libertà, con l’idea della vita buona che il Libro bianco vorrebbe anche promuovere? Non tocca ai singoli definire la propria concezione di buona vita?
Certamente, la sinistra ha allargato, in questi ultimi anni, l’oggetto dell’uguaglianza distributiva ad alcune condizioni dello star bene. Come hanno argomentato Sen e Nussbaum, non basta assicurare reddito. Occorre assicurare anche l’opportunità di accedere ad una lista di condizioni importanti per lo star bene individuale, quali avere un lavoro, essere curati, vivere la socialità, fare famiglia, esercitare le proprie facoltà mentali. L’assunto, però, è che tali condizioni non solo vadano assicurate come opportunità (quanto meno per chi è maggiorenne abile ad intendere), dunque, possano essere liberamente scelte o no, ma rappresentino anche condizioni nel complesso utili a prescindere da qualsiasi piano di vita (così implicando una nozione molto debole/sottile di bene). Diverso è, invece, imporre un’ideale di buona vita, come fa il Libro Bianco, dove coloro che non ritengono il lavoro il valore centrale della vita o non si sposano rischiano di essere etichettati come “viziati da culture nichiliste”. L’ultima espressione, come tutte le espressioni successive tra virgolette, è contenuta nel Libro Bianco.
Ricordo come, su questo fronte, sia profondissima anche la distanza con la prospettiva socialista dell’alleanza fra meriti e bisogni delineata da Martelli alla Conferenza di Rimini cui il libro bianco si richiama. Centrali, in quella prospettiva, erano, infatti, gli individui e le loro libertà di scegliere ciò che reputano buona vita.
Altrettanto certamente la sinistra ha dimostrato una crescente sensibilità nei confronti della responsabilità. Si pensi al lavoro. Lavorare potrebbe essere ritenuto non solo un’opportunità, ma anche un dovere di reciprocità all’interno del patto societario, rappresentando la controprestazione per l’aiuto offerto dalla collettività in presenza di bisogno. Anche in questo caso, però, la giustificazione non avrebbe a che fare con la bontà del comportamento, bensì con doveri di giustizia. In ogni caso, non si dimentichi l’idea fondamentale alla base dei diritti di cittadinanza: tutti, quando veniamo al mondo, abbiamo diritto ad un nucleo di risorse, a prescindere da dove nasciamo e da cosa facciamo, pena la violazione dell’uguaglianza di opportunità e la richiesta di lavoro va regolata sulla base di principi equitativi.
Una seconda fonte di preoccupazione concerne i nessi statuiti fra fatti/valori, vale a dire le giustificazioni/implicazioni istituzionali associate ad affermazioni valoriali, invece, condivisibili. La preoccupazione, più nel dettaglio, nasce dal rischio che l’assetto istituzionale in cui si configurano i valori indebolisca i valori stessi. È su questo piano, ovviamente, che più si sente la mancanza sopra citata di evidenza empirica.
Si sottolineano, ad esempio, limiti condivisibili del modello risarcitorio, quali inefficienze e deresponsabilizzazione, ma si ignora che questo modello ha, da noi, buchi macroscopici, mancando un reddito minimo garantito e un sistema completo di ammortizzatori sociali. Abbiamo, certamente, i mali dell’eccesso di dipendenza da pensioni di invalidità (come, peraltro, avviene, in tutti i paesi europei) e da inutili LSU. Non vanno, però, dimenticati i mali del difetto di protezione per chi non è in grado di lavorare, perché la domanda di lavoro è insufficiente o si è disabili o si hanno responsabilità di cura insormontabili.
Si condannano, altresì, gli egoismi corporativi, ma non si finisce con il difendere un modello di welfare assai simile? Seppure non difenda gli interessi di corporazioni, il welfare occupazionale tanto auspicato dal Libro Bianco non permette ai lavoratori più forti di assicurarsi più tutele, ignorando le condizioni dei lavoratori più deboli? Non a caso, la storia del welfare europeo ha registrato il passaggio da schemi occupazionali a schemi universali, già in un periodo in cui il grosso dei lavoratori era occupato a vita nello stesso settore e protetto da organizzazioni sindacali forti, dunque, in un periodo in cui la copertura poteva essere ben più ampia di quanto possa essere nel mercato flessibile attuale (ed auspicato dal Libro Bianco), caratterizzato da continui passaggi da situazioni di occupazione a situazioni di disoccupazione e ri-occupazione in altri settori.
Si esaltano, poi, le doti del terzo settore, quale strumento di contrasto alla povertà, ma ci si dimentica che il vincolo crescente delle risorse degli enti locali e le difficoltà attuali delle fondazioni bancarie stanno contribuendo all’impoverimento stesso del terzo settore. E, comunque, in quale ruolo dovrebbe essere attivato? Il Libro Bianco si limita ad affermare che “è auspicabile che i diversi approcci culturali, da quello compassionevole a quello strutturale, convergano verso soluzioni pragmatiche – e reversibili ove inefficaci – con il solo scopo di raggiungere risultati tangibili”. Un po’ vaga come indicazione di politica sociale!
Ancora, si afferma di volere promuovere autonomia e responsabilizzazione, grazie al lavoro, all’apprendimento, alle scelte delle famiglie. Ma, come si può essere autonomi lasciando inalterate le crescenti disuguaglianze sociali e territoriali che il mercato produce? Non solo: anche avendo redditi decenti vi sono prestazioni che il mercato potrebbe non essere in grado di erogare in modo soddisfacente. Penso, ad esempio, ai fondi integrativi per la lungo-degenza. Anche ipotizzando di appartenere al segmento della forza lavoro in grado di accedere ai fondi o di avere risorse sufficienti ad acquistare da società di mutuo soccorso una polizza aperta, potremmo non essere in grado di trovare, nei fondi disponibili, una protezione adeguata (per ragioni essenzialmente di selezione avversa e di azzardo morale). Quanto meno, questa è la realtà attuale, nonostante l’incentivazione fiscale. Il Libro Bianco, in un punto, sembra riconoscere il problema, quando afferma che “un apposito strumento finanziario” … “va costruito mediante il combinarsi di risorse pubbliche e risorse private, la previsione di forme specifiche di assicurazioni private, nonché, ove possibile, la valorizzazione dei patrimoni immobiliari pubblici e privati”. Nel frattempo, però, difende le badanti, nella sottovalutazione di vincoli centrali per il rispetto delle badanti, quali l’inserimento negli assegni di cura di divieti del sommerso e di fissazione di salari minimi decenti.

Infine, sempre a scopo esemplificativo, si sottolinea giustamente l’esigenza di approcci integrati, della “presa in carico”. Il timore, però, è che in assenza di apposite clausole, la carta elettronica in cui dovrebbero essere inseriti tutti i dati del cittadini rischi di trasformarsi in un potente strumento per l’esercizio della discrezionalità degli amministratori pubblici nonché dei datori di lavoro.

Certamente, il carattere cogente del vincolo di bilancio dovrebbe impedire di stilare mere liste di desideri, come i programmi della sinistra hanno, quanto meno in parte, fatto in passato. Il punto è che i valori contano nel plasmare la realtà, anche quando gli interventi non possono che consistere in razionalizzazioni e limitate estensioni delle tutele. Come ben ricordava Krugman, in un pezzo famoso, l’indebolimento dell’ideale egualitario ha contribuito esso stesso all’accentuarsi delle disuguaglianze. È importante che il vincolo delle risorse non annacqui l’ideale egualitario, sottovalutando le profonde differenze sussistenti nelle idee di opportunità, responsabilità, libertà. Peraltro, la parola eguaglianza di opportunità è mai citata nel Libro Bianco!

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