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“La Toscana, i migranti e il primato della persona”, di Adriano Sofri

Il governo pensa che l’immigrazione sia il Problema – e gli immigrati siano solo un trucco per eluderlo. Gli immigrati hanno occhi, bambini, salutano, implorano, annegano.

Il governo vigila: la compassione rende deboli. Dice una maestra di Prato: «Quasi tutti i piccoli cinesi lavorano nei laboratori fino a sera e la mattina si addormentano con la testa appoggiata sul banco». Ma è il libro Cuore: «Coretti che si leva alle cinque per aiutare suo padre a portar legna!» – e poi a scuola si addormenta di un sonno di piombo. Ieri Coretti, oggi i piccoli cinesi, domani chissà chi altri: il governo chiude il libro Cuore e richiama al Problema. In quella Prato, per dire, più di un’impresa su quattro (il 27,4%) ha un titolare immigrato! E se gli italiani hanno il cuore debole, non parliamo dei toscani. «Con la più grande soddisfazione del nostro paterno cuore abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene… invece di accrescere il numero dei delitti ha considerabilmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi siamo venuti nella determinazione di non più differire la riforma della Legislazione Criminale, con la quale /viene/ abolita la pena di morte… ed eliminato affatto l’uso della tortura… Una ben diversa Legislazione può più convenire alla maggior dolcezza e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo Toscano…». Così il granduca Pietro Leopoldo, in Pisa, il 30 novembre 1786, prima abolizione della pena di morte in uno Stato. La Regione Toscana festeggia quella data lì. Ed era uscita a Livorno, 1764, la prima edizione di Dei delitti e delle pene. «In Toscana non faremo morire nessuno di fame, né per mancanza di cure o di un tetto sotto cui dormire d’inverno». Questo non è Beccaria, né Pietro Leopoldo: è il governo della Toscana d’oggi, che ha raccolto leggi e proposte regionali sugli immigrati in un testo unico, sollevando le furie del centrodestra. «La Toscana diventerà l’Eldorado dei criminali, il Bengodi dei clandestini». Non so se gli oppositori del codice leopoldino profetizzassero una Toscana fatta rifugio dei peggiori tagliagole: e lì non si prometteva solo un pasto o un tetto di dormitorio allo straniero senza carte in una notte di gelo, ma l’inaudito divieto di torturare e di giustiziare.

La campagna d’allarme d’oggi spinge sui tasti più spregiudicati. La legge – dice – abolisce la differenza fra immigrati regolari e clandestini. Lascia intendere che i secondi avranno diritto alle graduatorie per le case popolari e gli asili alla stregua dei cittadini italiani. È falso. Ai “clandestini” la Regione non riserva se non i diritti elementari che la Carta dell’Onu e la nostra riconoscono a qualunque essere umano: l’accesso temporaneo a mense e dormitori in condizioni d’urgenza, l’assistenza sanitaria per vaccinazioni, o malattie gravi, che oltretutto (come per la tbc) non curate, esporrebbero a rischi il resto della cittadinanza. La Regione invita a chiamarli “stranieri temporaneamente presenti”, che può sembrare un eufemismo di maniera (del resto “clandestino”, prima di essere deformato fino a combaciare con “delinquente”, era un nome simpatico, da traversata navale) ma serve anche a ricordare le differenze. In Toscana nel 2007 le richieste di regolarizzazione furono 46.984 a fronte della quota di 13.030. Sicché 34.000 persone restarono escluse, dunque “irregolari”, benché siano certificate e anzi autodenunciate, e continuino a lavorare come badanti, edili, conciari ecc. Sono “clandestine”?

Sabato un articolo di Amato e D’Alema immaginava un’Italia improvvisamente svuotata dei suoi stranieri. Senza andare così lontano, basta immaginare – sognare, forse – un’Italia in cui si convochi un giorno di sciopero generale di tutti i lavoratori stranieri, nelle case, nelle campagne, nelle fabbriche, negli ospedali… Succederà: cresce già fra loro qualche piccolo Di Vittorio umiliato e offeso. Dice Claudio Martini, presidente della Toscana: «Se tutti insieme decidessero di fermarsi, questo paese si fermerebbe». Dal 2008 la Toscana ha inoltrato al Parlamento il suo progetto di legge per il voto amministrativo agli stranieri con permesso di soggiorno, residenti da almeno 5 anni. Principio basilare – no taxation without representation – di cui si ama disquisire piuttosto che passare al fatto. Il centrodestra che fa il viso – e le mani – dell’armi dovrebbe essere il primo a saperlo. Grida allo scandalo degli stranieri ammessi alla graduatoria per le case popolari, e non dice che la legge toscana coincide con quella nazionale, e vi ammette solo gli stranieri regolari residenti da almeno cinque anni. È la leva dell’odio fra poveri carezzato dai demagoghi. Famiglie italiane aspettano da troppo una casa popolare, o l’iscrizione al nido, e temono di essere scavalcate da nuovi arrivati (nuovi di almeno 5 anni) che hanno una famiglia più numerosa. Il mero criterio del carico famigliare (quello del reddito non è mai stato equo, nel Bengodi, questo sì, degli evasori fiscali) non basta alla nuova demografia. Qualcuno propone che le graduatorie assegnino ad autoctoni e stranieri una quota equivalente alla proporzione numerica: ma così si sancirebbe una discriminazione etnica, ignorando oltretutto che in Toscana per gli stranieri il rapporto fra partecipazione al Pil e uso dei servizi sociali è di 8 a 2. La legge potrà promuovere criteri limpidi e aggiornati. Nei tagli ai posti di lavoro, per esempio, si valutano assieme il carico di famiglia, la funzionalità professionale ma anche l’anzianità di servizio.

C’è un’altra faccia della medaglia. La crisi sta spingendo nel lavoro sommerso un gran numero di imprese e lavoratori. Le iscrizioni alla Cassa edile, il termometro più nitido, sono già cadute del 20 per cento. Questo significa una perdita secca delle risorse attraverso cui le amministrazioni provvedono ai servizi sociali, case popolari e asili compresi. Proteggere la regolarità è un interesse vitale dei cittadini italiani, e dei più poveri fra loro.

La legge, protestano i suoi nemici, è incostituzionale, e va contro l’opera del governo. La Corte ha sancito quello che è chiaro nella Carta, che l’immigrazione nel territorio compete al Parlamento e al governo nazionale, ma le politiche sociali spettano alle Regioni. Il federalismo passa in cavalleria, quando contraddica il cattivismo. Martini ha replicato che, discorsi cattivissimi a parte, le misure dei servizi sociali rinfacciate alla Toscana sono praticate efficacemente a Treviso e a Verona. Il centrodestra vede un’occasione per attizzare i fuochi della guerra dei penultimi contro gli ultimi: e non esita ad accantonare come impertinente la posizione di Chiesa e parrocchie. «Discorsi buoni da fare da un pulpito, non dalla politica». Questo centrodestra è molto zelante con la Chiesa sul concepimento, sulla morte, e pochissimo sul periodo che va dall’una all’altra. Le lascia la predica, si tiene la pratica. «Non nominare il nome di cristiano invano» ammonisce Tettamanzi. E già Matteo: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli». La differenza non passa fra chi vuole impedire (e come? con la messinscena brutale e irrilevante dei respingimenti?) l’”invasione” straniera, e una quinta colonna che la vuole favorire. La differenza concreta riguarda la decisione di impegnarsi con le persone che vengono a integrare e rinnovare la nostra convivenza. La legge toscana si ispira al “primato della persona” e all’uguaglianza. All’uguaglianza, non a un privilegio rovesciato. Si propone di tutelare l’intera cittadinanza facilitando la vita quotidiana e famigliare degli stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Toscana, che sono già 350 mila circa, e si avvicinano al 10 per cento della popolazione. Promuovere l’insegnamento della lingua e l’educazione civica. Tenere in conto i titoli professionali acquisiti nei paesi di provenienza. Riservare un’attenzione ai richiedenti asilo, ai minori e alle donne incinte, alle vittime di tratta e sfruttamento, ai detenuti. Prevenire le mutilazioni genitali femminili. Aiutare nelle pratiche per il soggiorno, la cittadinanza, i servizi sociali. La Toscana è accusata per simili spropositi di voler essere “la prima della classe”. Quando fosse, sarebbe un bel primato.

La Repubblica, 26 maggio 2009