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“Università d’Italia. Del domani non c’è certezza”, di Pietro Greco

Le università riceveranno fondi in base ai loro meriti, l’ha detto il ministro Gelmini, ma non è chiaro chi e come ha stilato la classifica degli atenei. E i tagli favoriranno gli studenti più ricchi, specie al Sud.

Ha fatto molto rumore l’annuncio dato dal ministro dell’università Mariastella Gelmini che il merito sarebbe stato finalmente premiato e, a partire da quest’anno, il 7% del Fondo di funzionamento ordinario (Ffo) sarà assegnato sulla base di una classifica degli atenei che promuove i più bravi e boccia i meno bravi. Occorre riconoscere che il passo portato dal ministro muove nella giusta direzione. Ma, dato atto di ciò, è difficile non rilevare alcune carenze di fondo della politica per l’università del ministro e del governo intero. La prima riguarda il metodo. In attesa che venga creata l’Agenzia per la valutazione (Anvur), non si capisce bene da chi e in base a quali criteri la classifica è stata elaborata. Tant’è che a tutt’oggi e fino a settembre – in una maniera non pubblica e quindi ancora una volta non trasparente – i rettori saranno impegnati a verificare che i dati su cui si fonda la classifica siano corretti. Questa mancanza di trasparenza sta provocando almeno due effetti negativi. Da un lato nessuno sa bene quando davvero questo 7% meritocratico dell’Fondo ordinario verrà assegnato. C’è chi dice in autunno, chi in primavera. Ma con questa incertezza, come si possono compilare i bilanci? Dall’altro lato la mancata trasparenza sta generando una rissa ben poco edificante tra università e tra rettori. La seconda carenza riguarda l’azione di governo. Da un lato si ridistribuiscono pochi spiccioli su base meritocratica, dall’altra si operano grandi tagli in maniera indiscriminata. In autunno le università pubbliche – tutte, le sane e le zoppe – non avranno soldi sufficienti per pagare gli stipendi. Dovranno chiudere strutture, ridimensionare i corsi e, molto probabilmente, aumentare le tasse di iscrizione.

MERIDIONE PENALIZZATO
La terza carenza riguarda la «questione meridionale». Con pochissime eccezioni, la parte bassa della classifica del ministro Gelmini, è costituita da università del Sud. Le cui disfunzioni sono reali. E, almeno in parte, chiamano in causa i loro dirigenti: quasi tutti escono male da questa valutazione. E non hanno scusanti.
Tuttavia il ministro non può trascurare la recente denuncia del rapporto Svimez secondo cui oggi ben 140.000 laureati del Sud sono emigrati verso il Nord. Cui bisogna aggiungere una larga fetta di studenti meridionali iscritti alle università del Centro-Nord. Il Mezzogiorno è una delle regioni europee con il minor numero di laureati rispetto alla popolazione e con il minor numero di laureati in materie scientifiche.
Ed esporta cervelli. Se il l’opera di governo consisterà solo in un brusco taglio di fondi, è facile prevedere gli effetti: il numero di laureati meridionali diminuirà; aumenteranno i bravi che emigreranno; la buona formazione diventerà sempre più un privilegio per pochi ricchi che possono pagarsi gli studi a Trento o a Oxford e il Sud vedrà minata l’unica possibilità di sviluppo che ha: entrare nell’economia della conoscenza.

L’Unità, 3 agosto 2009