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“Decreto anticrisi è più di una frode alla Costituzione”, di Tania Groppi

Con la vicenda del decreto anticrisi si aggiunge un ulteriore tassello allo smantellamento dello Stato di diritto. L’obiettivo sono, ancora una volta, i poteri del parlamento.
«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere», stabilisce l’art.70 della nostra Costituzione; «ogni disegno di legge, presentato ad una camera è… esaminato da una commissione e poi dalla camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale», dispone l’art.72.
Si tratta di articoli ormai svuotati da una prassi che vede il governo agire utilizzando strumenti del tutto impropri, quali decreti-legge omnibus, maxiemendamenti, questione di fiducia.
Il decreto-legge anticrisi è soltanto l’ennesimo provvedimento che, in nome di una supposta necessità ed urgenza assembla misure disparate, spesso del tutto avulse dal titolo dell’atto. E che il governo, in sede di conversione in legge, modifica attraverso un «maxiemendamento», sul quale pone la questione di fiducia, impedendo l’esame articolo per articolo e la votazione sugli emendamenti.
Una prassi che i costituzionalisti hanno più volte definito una vera «frode alla Costituzione», in quanto vanifica sia il principio costituzionale che prescrive l’approvazione delle leggi articolo per articolo, sia la potestà emendativa del parlamento.
Stavolta c’è di più. Il giorno stesso dell’approvazione al Senato della legge di conversione (con l’apposizione dell’ennesima questione di fiducia), il governo ha adottato un decreto legge che modifica quello precedente, «nel testo modificato dalla legge di conversione»: ovvero modifica un testo che non è ancora vigente!
E non importa se questa tempistica sia stata dettata dalla «moral suasion”»del Presidente della Repubblica, come parrebbe dalle indiscrezioni della stampa, il quale avrebbe subordinato l’assenso alla promulgazione della legge di conversione alla contestuale correzione delle misure più abnormi (come le norme che riducono i poteri della Corte dei conti).
Vedere un governo che alle 13 e 20 del primo sabato d’agosto adotta un decreto-legge per modificare un atto approvato poco prima, per esattezza alle 10 e 58, dalla sua (debordante) maggioranza parlamentare è il sintomo eclatante di una anomalia che rischia di trasformarsi in normalità.
La rottura delle norme sul procedimento legislativo e sul rapporto tra governo e Parlamento nell’adozione degli atti normativi è ormai avviata verso una spirale della quale si stenta a vedere la fine. Soltanto un intervento netto dei poteri di garanzia (a partire dai Presidenti delle Assemblee parlamentari) può evitare che si consolidi l’ennesimo strappo alla legalità costituzionale.
L’Unità 02.08.09