cultura

«Quel disprezzo antico per la cultura», di Sandro Veronesi

Ci sono due cose da dire dopo la piazzata di Renato Brunetta contro il “culturame parassita”. La prima è di carattere generale, la seconda è peculiare del personaggio. In termini generali si deve osservare che, di pari passo con il disfacimento dell´immagine tranquillizzante che Berlusconi aveva costruito di sé, molti dei suoi feldmarescialli stanno gettando la maschera per rivelare la propria mentalità fascista. Può risultare sorprendente solo per coloro che hanno sottovalutato la resistibile ascesa al potere dell´attuale nomenklatura, ma il retaggio fascista continua ad alimentare buona parte della politica di governo, incardinato su due perni storici della demagogia populista: l´anticomunismo e lo sprezzo per la cultura. Come testimoniato dalla composizione dell´attuale governo, chiunque può far strada nella politica berlusconiana se si arrocca su uno di questi due baluardi – meglio ancora se su entrambi coniugati insieme. Non importa quanto deserto di titoli sia un curriculum, né conta la nullità del pensiero che si è in grado di ricamarci attorno: la professione di odio contro la cultura continua a pagare. Il ricorso al linguaggio sprezzante, dunque, quelle parole come “culturame”, appunto, “parassiti”, “disfattismo” eccetera, non è casuale: così come il capo sta apertamente rivelando (o non sta più riuscendo a celare) la propria vocazione alla tirannia, i suoi fedelissimi stanno abbandonando qualunque sforzo anche linguistico di mostrarsi democratici e moderati. Così, insieme alla caccia all´omosessuale (o dobbiamo chiamarlo pederasta?), alla “faccetta nera”, al rom e al sindacalista, fatalmente si è aperta anche quella all´intellettuale. Quanto poco, in realtà, possano esser pericolosi gli intellettuali con un popolo che è riuscito a ignorare Pasolini e Don Milani, costoro non lo sanno; vivendo nel perenne complesso d´inferiorità tipico per l´appunto dei fascisti, essi si danno pena di attaccarli, e la cosa pericolosa ovviamente non è l´attacco personale (anzi, quello potrebbe essere perfino un bene, perché parecchi di loro continuavano a dormire), bensì il ripugnante assunto sulla groppa del quale l´attacco viene fatto galoppare verso l´opinione pubblica, per il quale la cultura è di per sé parassitaria, nociva e sovversiva.
La seconda cosa da dire, quella peculiare al personaggio, è che, per parlar semplice come piace a lui, e usare un´espressione cara alla mia povera mamma, ancora una volta Brunetta “ha dato la piega al kipfel”: cioè, ancora una volta ha dato un contributo nullo alla sua armata, caricando a testa bassa dove già erano passati i carri armati. La sua esortazione a Bondi a tagliare i finanziamenti ai parassiti dello spettacolo, infatti, arriva quando questi finanziamenti, in un solo anno, sono già stati tagliati del 30% – ad opera non certo di Bondi, ovviamente, ma dell´unico ministro attivo di questo governo, cioè Tremonti. Ancora una volta, dunque, il ringhio di Brunetta va considerato come uno spruzzo di veleno ornamentale – una piantina carnivora sul davanzale –, a retroguardia di un´azione politica sempre più pericolosa, schizofrenica e liberticida che i grandi hanno avviato da un pezzo, mentre i piccini giocavano coi tornelli.
da La Repubblica

Repubblica: “Registi e scrittori, rivolta contro Brunetta”, di Carlo Moretti
ROMA – Il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta alza il tiro nel suo attacco al mondo della cultura e del cinema in particolare. «Accostare lo spettacolo alla cultura è un grande imbroglio» ha detto ieri Brunetta. «Lo Stato ha il dovere di finanziare la cultura, dalle biblioteche ai restauri, ma lo spettacolo è un´altra cosa. Ma perché finanziamo il cinema? Forse che finanziamo il piano bar o la discoteca? E anche i giornali devono andare sulle loro gambe». Non ha risparmiato i maestri di ieri: «Molti di quelli che alzavano il braccetto – ha continuato – poi hanno chiuso il pugno. Per esempio Rossellini, prima si faceva dare i sogni dal regime e poi ha cambiato idea». La nuova uscita arriva a poche ore dall´intervento al seminario del Pdl a Gubbio, in cui il responsabile della Funzione pubblica ha parlato di «cineasti parassiti, gente che ha preso tanti soldi e ha incassato poco al botteghino. Gente che non ha mai lavorato per il bene del Paese, anzi non ha mai lavorato», ed ha quindi invitato il ministro della Cultura Bondi a chiudere «al più presto» i rubinetti del Fus.
La reazione del mondo della cultura non si fa attendere. Il regista Michele Placido, che ha annunciato querela per il riferimento al suo nome nel discorso di Brunetta a Gubbio, ritiene che quello contro il cinema sia «un attacco contro uno degli ultimi spazi di libera espressione, considerando come sono ridotte la tv pubblica e quella privata. Un film, uno spettacolo teatrale» continua Placido, «sono sempre opere di denuncia, di critica nei confronti del potere, e che il potere sia di destra o di sinistra conta poco. Non ricordo film a favore dei governi di Prodi o di De Gasperi. “Il grande sogno”, che ha ricevuto finanziamenti di un´azienda privata che si chiama Medusa e che Brunetta non ha visto, non è neanche un film di sinistra, riporta le mie emozioni su un periodo in cui ancora non si era prodotta la frattura tra destra e sinistra».
La pensa allo stesso modo lo scrittore Giancarlo De Cataldo: «Come si può considerarlo un film di sinistra? Forse dà fastidio perché rappresenta un periodo in cui i giovani volevano cambiare il mondo, meglio che stiano al loro posto, giovani bamboccioni. Era dal neorealismo, dai tempi di Andreotti, che non si metteva in discussione il cinema come forma d´arte. Brunetta si fa però portatore di un´idea di cultura molto diffusa a destra: è buona, cioè, quando ti diverte, cattiva invece quando è problematica. C´è poi un astio nei confronti di chi non produce beni materiali: professori, magistrati, artisti, ignorando che anche l´industria culturale produce reddito».
Gigi Proietti ironizza: «Io che sono il meno finanziato di tutti dico che chiudere il rubinetto del Fus non è giusto. Al contrario, ne andrebbero aperti altri di rubinetti, attraverso una legge che razionalizzi la spesa. Il ministro dovrebbe evitare il rischio di dirigismo e comprendere che fare spettacolo oggi ha costi che difficilmente vengono coperti dai risultati di botteghino».
La regista Francesca Comencini vede nelle parole di Brunetta «un calcolo politico, per alzare il livello dello scontro. A Venezia abbiamo presentato un documento per una legge di sistema sul modello francese, che sganci il cinema dalla politica, perché i soldi che il cinema genera tornino al cinema. Ma se anche Bondi si appiattisce sulle posizioni di Brunetta, con chi ne dovremmo parlare?».