economia, lavoro

“Quelle azienda senza un soldo”, di Giuseppe Turani

Sia pure con qualche dubbio, tutti sono convinti che ormai ci sia la ripresa e che la stessa non possa che prendere sempre più forza mano a mano che passano le settimane. E si trascura così il problema della pipeline-disastro che corre lungo tutta l´Italia e che da qui a Natale potrebbe provocare seri danni.
La pipeline a cui mi riferisco è una specie di conduttura sotterranea che corre lungo tutta l´Italia (ma soprattutto nelle provincie industriali del Nord) e dentro c´è un po´ di tutto, ma in particolare detriti o cose che oggi hanno l´aria di detriti. Fuori di metafora, dentro questa pipeline ci sono 20-30-40 mila aziende (nessuno ne sa il numero esatto), che hanno finito i soldi (e, in qualche caso, anche gli ordini) e che stanno lottando, nel buio e sottoterra, nel tentativo di salvarsi. Poiché non si sa quante siano queste aziende (quasi più morte che vive), non si può nemmeno sapere quanta gente sta su quei libri paga e quindi in pericolo di disoccupazione. Forse 200 mila, forse 300 mila o più. Non lo sa nessuno.
Gli unici che hanno qualche segnalazione concreta sono i responsabili delle varie unioni industriali sparse per l´Italia, che ormai ricevono quasi quotidianamente telefonate dall´interno della pipeline. E si tratta quasi sempre di imprenditori che annunciano di essere alla canna del gas e che chiedono due cose (per ora). E cioè: se non si possono trovare un po´ di soldi in giro e se non si possono lasciare a casa un po´ di operai in modo discreto, senza fare troppo rumore. Le risposte che ricevono, ovviamente, sono sempre un po´ vaghe e un po´ interlocutorie.
Intanto, i detriti (imprese e persone) dentro la pipeline corrono e la paura che prima di Natale esploda tutto si fa concreta. Il pericolo, insomma, che a un certo punto dalla pipeline escano fuori 300-400 mila disoccupati c´è e è reale. In provincia dicono che lo si tocca con mano.
Ma si può fare qualcosa? Molto possono fare gli stessi imprenditori che sono dentro la pipeline. Intanto, potrebbero guardarsi in tasca e vedere se proprio non ci sono più soldi. La barca, forse, a questo punto se ne può andare. E anche la villetta a Santo Domingo appena comprata e che era così bella. E, già che ci siamo, anche la Mercedes station wagon della signora.
E´ probabile che tutto ciò non basti ancora. Allora si può mettere insieme un bel dossier sull´azienda e vedere se non ci sono in giro dei soci capaci di mettere denaro fresco nell´impresa. Questo vorrà dire più controlli, ma forse ormai è il caso di rassegnarsi. I tempi dell´azienda personale (“è la mia e faccio tutto quello che voglio”) forse stanno proprio finendo: da questa crisi esce in piedi solo chi ha le spalle molto larghe, gli altri si perderanno insieme ai detriti della pipeline.
Infine, c´è la scelta più coraggiosa di tutte. Ci si può guardare intorno e vedere se non esiste qualcuno che magari fa lo stesso mestiere e che magari ha lo stesso tipo di problemi. Non è raro che da due (o tre) aziende con problemi si riesca a tirare fuori un leader mondiale o almeno europeo, capace di giocare la sua partita ancora per anni e anni.
Insomma, dentro la pipeline che corre lungo le provincie industriali del Nord oggi ci sono soprattutto detriti, e tutto sembra l´anticamera di un disastro colossale, ma non c´è solo questo. In mezzo ai detriti, probabilmente, ci sono anche delle occasioni, delle buone occasioni. Si tratta solo di superare la prima fase di abbattimento e di vedere che cosa si può fare, Mi rendo conto che è impossibile immaginare la salvezza per tutti quelli finiti dentro la pipeline-disastro. Molti di quelli che oggi stanno lì dentro finiranno per essere scaricati nel delta del Po, insieme alle biciclette rotte, alle ciabatte spaiate e agli scaldabagni degli anni Cinquanta, ma per alcuni, forse, ci può essere ancora un destino diverso, migliore. Per pochi, certo.

La Repubblica 27.09.09