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“Il falso mito del senso comune”, di Ilvo Diamanti

E’ tornato a parlare agli italiani, Silvio Berlusconi, dopo l’aggressione avvenuta a Milano due settimane fa.

E la soddisfazione, nelle sue parole, ha largamente sopraffatto i segni della paura e del dolore. D’altronde, il moto di emozione e di solidarietà, seguito all’episodio, ha aiutato Berlusconi a risalire nei sondaggi, dopo mesi e mesi di declino. Il premier non ha mancato di rammentarlo in una telefonata al Tg1, due giorni fa, citando i suoi sondaggi personali. Secondo i quali due italiani su tre lo incoraggiano ad andare avanti (dati Euromedia). Oggi, d’altronde, anche altri istituti demoscopici confermano questa tendenza, seppure con stime diverse e più ridotte. La quota di elettori che esprime un indice di fiducia almeno “sufficiente” nei confronti del premier (con un voto da 6 a10) è intorno al 55-56%, secondo l’Ipsos diretta da Nando Pagnoncelli. Lo stesso dato è indicato dall’Ispo di Renato Mannheimer. In entrambi i casi: una crescita di 6-7 punti percentuali.

Da ciò la determinazione del premier ad andare avanti nell’azione di governo e con le riforme. Perché il suo volto, più degli altri, raffigura e rispecchia il “senso comune”. La volontà popolare degli italiani, che magari provano disagio verso i suoi comportamenti e il suo relativismo etico. Ma, in fondo, anche per questo, lo percepiscono come uno di loro. E gli vorrebbero assomigliare. Questi italiani: individualisti e familisti, spacconi e donnaioli, un po’ evasori, diffidenti verso i poteri pubblici, liberisti a parole, soprattutto quando si tratta degli altri. Innamorati dell’immagine, sperduti nel mondo dei media e della televisione, attratti dal gossip e dai salotti tivù. E, quindi, dal principale protagonista e autore della realtà mediale. Lui. Silvio Berlusconi. L’aggressione ai suoi danni e il suo volto insanguinato: uno degli eventi mediatici del decennio. Lo hanno beatificato. La vittima sacrificale dell’odio espresso dalla parte invidiosa del Paese oggi è stata risarcita moralmente.

E pochissimi si sono azzardati a eccepire. Criticare. Salvo i soliti noti – Di Pietro in testa. Condannati alla pubblica esecrazione. L’onda impetuosa della solidarietà personale verso il premier sembra aver trascinato con sé anche il consenso per le riforme. Che, come ha affermato Berlusconi nella telefonata al Tg1, verranno fatte senza esitazioni. A partire, immaginiamo, da quella sulla giustizia. E dai provvedimenti utili ad allontanare gli effetti dei processi che lo riguardano. In nome dello snellimento della macchina giudiziaria. A tutela delle alte cariche dello Stato ma anche di governo.

E’ il potere del “senso comune”. Che, oltre a Berlusconi, vede protagonista anche la Lega, che interpreta e respira le paure “della gente”. Invece l’opposizione – la sinistra, il centrosinistra e perfino il centro – è troppo aristocratica per immergersi nel “senso comune” che pervade la vita quotidiana, dove c’è bisogno di certezze. Un mondo di cose date per scontate che, tuttavia, si possono costruire e manipolare. Semplicemente isolando alcuni aspetti e rimuovendone altri. Ad esempio, se consideriamo i dati di Ipsos presentati da Pagnoncelli a Ballarò (martedì 22 dicembre), Berlusconi è “gratificato” dal 55% di italiani che nutrono fiducia (alta, ma anche appena discreta) nei suoi riguardi. Ma altri leader politici e istituzionali e altre figure pubbliche non sono da meno. Oppure lo superano largamente. Il Presidente della Repubblica Napolitano: 84%; il Presidente della Camera Fini: 68%; il Ministro dell’Economia Tremonti: 56%; il presidente della Fiat e della Ferrari, Cordero di Montezemolo: 55%. Perfino Bersani si attesta al 54%.

Insomma, la pietas suscitata dall’aggressione di Tartaglia ha permesso a Berlusconi di riprendere consensi. Senza tuttavia svettare sugli altri. Lo stesso vale per i giudizi politici e sulle politiche. La fiducia nel governo è anch’essa risalita. Tuttavia, il giudizio dei cittadini sulle “politiche” non è cambiato rispetto a prima. In particolare, in tema di giustizia (ancora Ipsos). Sulla “sospensione temporanea dei processi o su una legge ‘ad personam’ che permetta di sbloccare la situazione politica” e di riprendere il dialogo sulle riforme si dice d’accordo solo il 25% degli elettori. Un italiano su quattro. E il 48% degli elettori di Pdl e Lega. Cioè: meno della metà. La solidarietà verso il premier e la sua maggioranza non si traduce, quindi, in consenso verso le leggi “ad personam”. Né verso scorciatoie come il cosiddetto “processo breve”, percepito alla stregua di un indulto. Che fa rima con “insulto”. Tanto che nel luglio 2006, quando venne approvato dal governo Prodi, ne trascinò in basso il consenso. Immediatamente. Con il contributo della propaganda di alcune forze politiche oggi al governo e allora all’opposizione.

Non è di senso comune, però, neppure l’appoggio alle politiche del governo su “lavoro e occupazione”, valutate negativamente dal 60% degli elettori, mentre i provvedimenti in materia di tasse e fisco sono avversate dal 56% della popolazione. Inoltre (Demos-Coop, dicembre 2009), il 70% degli italiani si dice favorevole alle manifestazioni a sostegno della libertà di stampa e addirittura l’86%, cioè la quasi totalità, approva le proteste contro i tagli e le carenze di risorse relativi alla ricerca. D’altronde, nella gerarchia dei problemi da affrontare, per gli italiani, i temi dell’occupazione e dello sviluppo sono di gran lunga prioritari. Le riforme istituzionali e sulla giustizia, invece, in fondo alla lista. Senza eccessive differenze fra destra e sinistra.

Noi, per istinto e formazione, diffidiamo del “senso comune”. Parola magica, sospesa tra mito e ideologia. Tuttavia, proprio per questo, conviene evitare di dare per scontato che gli argomenti sostenuti da Berlusconi e la Lega siano – naturaliter – di “senso comune”. Popolari. E quelli dell’opposizione – di sinistra e centrosinistra e anche di centro – impopolari. Prima di convincersi che perfino fare opposizione sia impopolare. E anti-italiano. L’opposizione: almeno si informi.
La Repubblica 27.12.09

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“Il partito dell’amore”, di Vittorio Emiliani

Assimilare atti differenti compiuti da due differenti persone in cura da anni per disturbi mentali col fine di costruirci sopra un’unica “teoria della violenza” prodotta dal clima politico sembra davvero un’ardua e mistificante impresa. Vi accenna lo stesso presidente del Consiglio che compare “in voce”, ogni giorno ormai, dalla sua villa di Arcore, alla radio, alla tv, nei Tg quando al Tg1 dell’altra sera parla di «odio che rende violente contro l’avversario politico le menti più fragili». Stringe subito l’acrobatica connessione il tg della Rai mettendo sullo stesso piano di «prodotti dell’odio politico» il lancio folle di Massimo Tartaglia contro Berlusconi e il tentativo della svizzera Susanna Maiolo di toccare Benedetto XVI. Due episodi che, semmai, dovrebbero far riflettere sulla inadeguata professionalità della sicurezza, italiana e vaticana, utilizzata in quei pericolosi bagni di folla.
È già inqualificabilmente grave l’hanno fatto Cicchitto ed altri dare nome e cognome ai “mandanti” di Tartaglia. Ma, andare oltre l’inqualificabile per impastare insieme i due gesti quali sintomi di uno stesso clima politico profondamente inquinato è davvero voler contribuire all’incendio permanente del confronto, dirigendo le fiamme contro i “mandanti” e dando la seguente impressione: c’è “un partito dell’amore” (senza allusioni al lettone dono di Putin) e c’è “un partito dell’odio”. Del primo fanno parte tutti coloro che amano il premier e ne condividono opinioni e progetti. Del secondo fanno parte non solo tutti coloro che detestano lui e le sue proposte politiche (comunque, chi gliel’ha messa in bocca a Di Pietro l’idiozia di Berlusconi=Diavolo?), ma anche tutti coloro che, più semplicemente, non le condividono. Dissenso, in democrazia, del tutto legittimo.
Quando Berlusconi significativamente dopo l’Epifania, dal greco epiphàino, appaio riapparirà, proporrà riforme vere oppure leggi su misura per lui? Nel primo caso sarebbe sbagliato non andare a vedere le carte e ragionare su di esse. Nel secondo, sarebbe sbagliato proseguire nel dialogo. Domanda: così facendo, si entrerebbe a far parte, automaticamente, delle «fabbriche di menzogne, estremismo e anche di odio» (Berlusconi al Tg1)? Non è proprio il massimo che l’altro ieri il presidente abbia dialogato “in voce” con don Pierino Gelmini della Comunità “Incontro”, rinviato a giudizio per abusi su minori. Ancor più sorprendente che abbia rivendicato il motto «noi rispettiamo l’avversario politico». Non ricorda di aver parlato delle “stronzate di Prodi”, di aver mimato la sinistra che va al governo e subito straccia il suo programma, di aver sostenuto «certo, non credevo fossero così tanti i coglioni» che votano per la sinistra, di aver proposto l’on. Schulz (Spd) «per il ruolo di un kapò», di aver definito Rosy Bindi «più bella che intelligente», ecc.? Tuttavia se il Berlusconi dell’Epifanìa, cioè della nuova “apparizione”, sarà diverso da quello e proporrà leggi condivisibili, spiazzerà per primi i suoi sostenitori, come Minzolini, i quali fanno un solo fascio di Massimo Tartaglia e di Susanna Maiolo per rappresentare il clima di odio contro il governo e il suo leader alimentato dal centrosinistra, anzi dalla sinistra. Ora e sempre “comunista”, ovviamente.
L’Unità 27.12.09