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“Quali diritti di cittadinanza”, di Fiorella Farinelli

Davvero irriconoscibile il ruolo che viene attribuito all’istruzione dal testo “Norme sulla cittadinanza”, uscito il 22 dicembre dalla commissione Affari Costituzionali e di cui la Camera
dovrebbe cominciare a discutere dopo le elezioni regionali. Riconoscibilissima, invece, la mano
della Lega, anche se il provvedimento porta la firma di Isabella Bartolini, parlamentare PdL.
L’impressione è quella di ritrovarsi tra le mani una moneta falsa. Da diritto ( universale ) e da
libertà (fondamentale ), scuola e formazione si ribaltano in qualcosa d’altro. Costrizione, misura di controllo, impedimento, allungamento dei tempi, forse anche strumento di assimilazione. Come è noto il testo, finalizzato a evitare che una campagna elettorale troppo ammorbata da temi razzisti regali altri consensi alle truppe di Bossi, liquida ogni proposta di riconoscimento dello status di cittadini ai figli nati in Italia da genitori stranieri. Sono 460.000 , secondo l’istituto di ricerca delle ACLI ( 67.000 solo nel 2007 ), affiancati dai molti arrivati in Italia prima dell’età scolare. Chi incontra i più giovani nelle aule scolastiche si rende conto di quanto sia poco lungimirante questa scelta. Dei danni che, subito e in prospettiva, possono venire dal costringere a sentirsi ospiti sotto esame, postulanti in sala d’attesa, figli di un dio minore ragazzi che non conoscono altro paese che il nostro, parlano da sempre l’italiano, hanno comportamenti e desideri fin troppo simili nel bene e nel male a quelli dei compagni italiani, vogliono con lo studio e con il lavoro farsi una vita qui, e migliore di quella dei genitori. Tra gli studenti di provenienza straniera, sono ormai il 35% i nati nel nostro paese, e si vedono. Tra le cartine di tornasole, l’indice di iscrizione ai licei , un tipo di scuola per lo più disertato dai ragazzi stranieri che finora hanno scelto piuttosto i tecnici e i professionali. Ma tra chi è venuto al mondo in Italia , ben il 22,1% sceglie l’istruzione liceale, 12 punti in meno rispetto agli italiani, ma oltre 9 punti in più rispetto a chi è appena arrivato o è qui da qualche anno 1. Dunque una realtà adatta, visibile e già pronta, su cui far leva per “temperare”- dice così il cauto linguaggio della migliore politica – con un parziale ius soli il finora incontrastato dominio dello ius sanguinis. Il diritto di chi abita, vive, studia, cresce dal
primo giorno di vita con i nostri figli contro il diritto alla cittadinanza in forza della sola discendenza. Nel 1999 è stata questa la decisione della Germania. Da noi , dieci anni dopo, rifiuto totale. Seconde generazioni2, l’associazione di giovani stranieri che si batte da mesi per questo obiettivo ottenendo ascolto da più parti, presidente della repubblica compreso, non ha dubbi. Le nuove “Norme sulla cittadinanza” non solo negano il diritto ad essere riconosciuti cittadini a chi nasce in Italia, ma peggiorano la vecchia Martelli (legge 91/ 1992) perché ai già previsti requisiti per ottenere la cittadinanza ( residenza legale senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età ) aggiungono “che abbia frequentato con profitto scuole riconosciute dallo Stato italiao almeno sino all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione” . Un’aggiunta inutile se fosse solo una replica di quello che già dice sul diritto all’istruzione il Testo Unico sull’immigrazione , e invece introdotta in nome di una logica ostile e punitiva che di quel diritto pare intenzionata a cambiare il segno. Che cosa significa, infatti, quel “con profitto” ? Nel sempreverde gergo scolastico equivale a non inciampare in bocciature, ripetenze, ritardi, insufficienze, interruzioni e discontinuità varie, le stesse che interessano una buona parte degli studenti italiani , tant’è che quasi 1 su 5 – chissà se la commissione Affari Costituzionali si è presa la briga di informarsi – non arriva a conseguire quel diploma o qualifica previsti dal diritto-dovere in questione. Dunque alla domanda di cittadinanza bisognerà allegare la pagella ? Dunque sulla scuola e sugli insegnanti si rovesceranno responsabilità nuove ed improprie nella valutazione dei risultati degli studenti ? Potrebbero esserci insegnanti disposti a coprire deficit e lacune anche gravi per allontanare il rischio di guai ben peggiori di una bocciatura, ma anche insegnanti o scuole di tutt’altro e opposto avviso . Un disastro, in entrambi i casi. Lo sanno gli onorevoli del PdL che la valutazione scolastica è ancora largamente discrezionale ? Si rendono conto degli effetti negativi, sulla fiducia stessa degli studenti nei confronti dell’istituzione, che potrebbe derivare da una qualche connessione tra l’andamento scolastico e la cittadinanza ? Ma non è in questi cieli, evidentemente, che volano i loro pensieri. Sconcerta, fra l’altro, quell’”almeno”. O ignorano che il diritto/dovere si conclude nel ciclo secondario, o gli è scappato che, se fosse per loro, ci vorrebbe ben altro che un diploma o una qualifica professionale per poter aspirare a diventare cittadini italiani. L’istruzione come costrizione invece che come diritto compare anche nei “percorsi di cittadinanza” previsti per gli altri, quelli che non sono nati in Italia e che comunque non sono più in età scolare.
Oltre ai soliti dieci anni di residenza legale e ininterrotta, al possesso della carta di soggiorno CE ( a sua volta condizionata dal possesso del permesso di soggiorno da almeno cinque anni e da un reddito minimo non inferiore all’assegno sociale ), al rispetto degli obblighi fiscali, all’assenza di carichi penali pendenti, a “un effettivo grado di integrazione sociale e al rispetto, anche in ambito familiare, delle leggi dello Stato e dei principi fondamentali della Costituzione “ ( come e da chi accertato non si dice, saranno forse le Questure ? ), si prevede l’obbligo di frequentare “un corso, della durata di un anno, finalizzato all’approfondimento della conoscenza della storia e della cultura italiana e europea dell’educazione civica e dei principi della Costituzione italiana “. Non si parla, si badi bene, dell’apprendimento della lingua italiana, rinviato a non meglio precisate “attività di integrazione linguistica, culturale e sociale dello straniero e a cui lo straniero stesso è tenuto a partecipare” che dovranno organizzare Governo e Regioni ( la Danimarca è lontana, coi suoi tre anni di corsi gratuiti di lingua per i neo-arrivati ). Il corso è un’altra cosa, ha un altro
significato, ed è delineato in modo tale da prefigurarsi più come un ostacolo al conseguimento della cittadinanza che come un sostegno all’integrazione. Un anno di attività formative continuative, intanto, è un onere evidentemente insostenibile per adulti che lavorano, spesso in condizioni e con orari tutt’altro che agevoli , e d’altra parte non è previsto che possa sgranarsi in tempi più diluiti perché non si può fare domanda di partecipazione prima che sia scoccato l’ottavo anno di residenza legale e continuativa (mentre l’Amministrazione si prende comunque 120 giorni, pari a 4 mesi, per verificare i requisiti di accesso). Inoltre, non si tratta di familiarizzazione culturale, ma di “approfondimento”, e con tali e tante materie, da presentarsi come un vero percorso di guerra. Non solo per le “nonne cinesi”, delle cui prevedibili difficoltà scriveva qualche giorno fa in un suo articolo Chiara Saraceno, ma anche di molti altri, stranieri e non solo. Si ribalta il tavolo, dunque: l’istruzione non è un diritto, non è un’opportunità di crescita e di interazione con la società in cui si è scelto di vivere, è impedimento, dilazione, costrizione e, probabilmente, altre complicazioni burocratiche. E si imbrogliano le carte, inventando qualcosa di poco fattibile per la stessa Amministrazione ( chi dovrebbe tenere questi corsi ? per quante persone l’anno ? con quali costi ? ), tanto per dare soddisfazione a una Lega che, se proprio deve accedere all’idea che gli stranieri possano diventare cittadini, li vuole sottomessi e ben ripuliti dalle culture di origine. Se ne discuterà più avanti, forse. E’ ampio oggi, anche indipendentemente da un’opposizione politica sempre timorosa e discontinua su questi temi , lo schieramento di chi non condivide, non ha paura di dirlo, fa di quest argomenti un discrimine politico e, prima ancora, di etica civile. In prima fila gran parte dell’associazionismo cattolico, scuole, università popolari, i tanti centri, biblioteche, circoli, mense in cui si insegna italiano per stranieri. Ma intanto lo schiaffo è arrivato a chi, anche all’interno della maggioranza, ha avanzato proposte di tutt’altro tenore. E ai tanti, ragazzi e adulti, che studiano , lavorano, vivono con noi. Non esistono neri italiani, si urla in tutti gli stadi del belpaese. La vergogna , e la cultura per reagire , dovrebbe essere più forte quando a dirlo è il parlamento.
www.scuolaoggi.org

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