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"Manovratori di opinioni", di Mario Deaglio

A prima vista non si direbbe che il governo della Repubblica Popolare Cinese e la Corte Suprema degli Stati Uniti abbiano molto in comune. Eppure nelle ultime quarantott’ore hanno adottato decisioni o preso posizioni sostanzialmente simili che potrebbero incidere molto fortemente sulla vita dei normali cittadini. Al di là delle apparenze, in entrambi i casi rischia di essere limitato il diritto di esprimere, diffondere o ricevere opinioni su Internet.

Il governo cinese sostiene che Internet è libera se rispetta la legge e che le società che operano nello spazio cibernetico diffondendo informazioni devono cooperare con le autorità per stabilire un «clima di armonia e stabilità sociale» e per «orientare correttamente l’opinione pubblica». La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso qualcosa di solo apparentemente opposto: non sarà applicabile la legge che limita le risorse finanziarie che le imprese e i sindacati possono dedicare a campagne d’opinione tese, in periodo elettorale, a influire sulle decisioni degli elettori.

A New York e Los Angeles non ci sarà più alcun freno alle somme per acquistare spazi televisivi, radiofonici e telematici, nonché sulla carta stampata, per far eleggere i politici vicini ai propri interessi in quanto si potrà spendere quanto si vuole e il controllo sui mezzi di informazione potrà così aumentare fortemente. Le imprese che maggiormente inquinano potranno finanziare martellanti campagne fiancheggiatrici dei candidati contrari alle norme antinquinamento; le imprese bancarie e finanziarie potranno spendere miliardi (magari a suo tempo sborsati dallo Stato per evitarne il fallimento) per sostenere i parlamentari contrari alla proposta del presidente Obama di introdurre un’imposta speciale sulle banche; le case farmaceutiche e le compagnie di assicurazione potranno raddoppiare i loro sforzi a favore di politiche che vogliono convincere gli americani che la riforma sanitaria proposta dal Presidente è un disastro. Questi comportamenti si estenderanno anche a livello locale e la democrazia di base degli Stati Uniti, dove anche il capo dei pompieri o il procuratore distrettuale vengono scelti con un’elezione popolare, potrebbe uscirne fortemente distorta. «Con un tratto di penna», ha commentato il presidente di un’associazione statunitense per le libertà politiche, «cinque giudici (sui nove che compongono la Corte) hanno cancellato un secolo di norme per limitare l’influenza delle imprese sulla politica».

New York e Los Angeles rischiano così di avvicinarsi alla realtà di Pechino e Shanghai in cui gli spazi dell’informazione e, più in generale, quelli telematici sono da sempre accuratamente controllati. In Cina – Paese che negli ultimi tempi ha mostrato qualche grado di flessibilità – il controllo è effettuato dal governo e dal partito comunista cinese, negli Stati Uniti potrà toccare di fatto alle lobbies, ossia alle unioni di imprese che perseguono gli interessi comuni dei loro associati, finora sottoposte oltre che alla trasparenza anche a limiti di spesa piuttosto severi. Non a caso, Google – la società di servizi informatici che più viene associata alla libertà di informazione per il suo eccellente motore di ricerca che consente di consultare infinite fonti in un batter d’occhio – è sotto attacco sia a Pechino, perché non vuole più rispettare la censura, sia in vari paesi occidentali, dove si vuol limitare la sua capacità di mettere gratuitamente importanti fonti informative a disposizione del pubblico di Internet.

La «chiusura» di Internet come strumento di informazione e di espressione di opinioni potrebbe così procedere in maniera rapidissima, tanto da mettere in dubbio la sua possibilità di continuare a essere, come negli ultimi dieci anni, una colonna della libertà. Anche il funzionamento efficiente delle Borse potrebbe essere compromesso se, tanto per fare un esempio, un’impresa in difficoltà potesse svolgere sulla rete, senza limiti di costo, una campagna aggressiva in proprio favore che raggiunge gratuitamente il risparmiatore mentre il risparmiatore stesso potrebbe essere costretto a pagare per conoscere le opinioni contrarie. Nel momento in cui stanno sorgendo nuove, grandi concentrazioni mondiali di imprese, spesso grazie alla «campagna acquisti» condotta in tutto il mondo dalle società semi-pubbliche cinesi, potrebbe venire a mancare la loro controparte dialettica. I più ricchi acquisterebbero così nuova forza, e i governi sarebbero ancora più fortemente condizionati di oggi dai loro «grandi elettori».

Tutto ciò induce a considerare il caso italiano, in cui l’influenza dei vertici politici sulle reti televisive può diventare soverchiante, come l’anticipazione di un problema mondiale: fino a che punto e con quali mezzi deve essere lecito «orientare» l’opinione pubblica, come dicono i cinesi e come faranno sempre di più i grandi interessi economici americani? Quanto spazio resterà per chi vorrà essere diversamente orientato o diversamente orientare i suoi concittadini? In un mondo in cui la non trasparenza delle operazioni finanziarie ha indubbiamente favorito la crisi economica, quali garanzie potranno davvero restare al cittadino e al cittadino-risparmiatore?
La Repubblica 23.01.10