economia

Chiude Davos senza risultati

Da domani, tutti a casa: anche per quest’anno il Word economic forum di Davos viene archiviato senza risultati concreti. Come lo scorso anno, quando i potenti del mondo si trovarono a fronteggiare una crisi tremenda senza un straccio di azione coordinata. Ora il peggio sembra alle spalle, ma non c’è ottimismo: «crescita modesta» sostiene Trichet. E, ancora una volta, tutti in ordine sparso.
L’unica novità è la «provocazione» lanciata da Obama sulle banche, accusate di essere troppo grandi per lasciarle fallire senza disastrose conseguenze sul sistema sociale. Di qui una proposta netta: occorre tornare a una separazione tra banche commerciali e banche d’affari, Insomma, bisogna evitare commistioni, relazioni incestuose. Ma come è stata accolta la proposta di Obama? E come si concilia con la posizione alternativa dell’Europa che insiste, invece, per un rafforzamento patrimoniale delle banche?
Diciamo che un po’ si concilia, ma i governi prendono tempo e, come ha suggerito Sarkozy «rinviamo ogni decisione al G20». Il presidente francese non ha tutti i torti: i parametri patrimoniali delle banche europee sono molto più alti di quelli degli istituti statunitensi o asiatici. E questo, indubbiamente pone problemi di concorrenza. In altre parole, per frenare le dimensioni eccessive delle banche, sarebbe necessario una immediato aumento del patrimonio, una forte iniezione di capitale di rischio.
Banche a parte, si è discusso anche di crisi e di «exit strategy». Tutti d’accordo che in alcuni paesi (Cina, in testa) la ripresa sembra decollata, ma – in particolare nei vecchi paesi industrializzati – non si avvertono segnali forti di avvio della ripresa. Il problema centrale rimane il lavoro: i piccoli sussulti fatti registrare dai Pil di tutto il mondo non sono sufficienti a riassorbire la disoccupazione. E i minori salari si riflettono in bassi consumi e, di conseguenza, bassa crescita. Senza la possibilità per quasi tutti i paesi di alleggerire la pressione fiscale, visto lo stato pietoso di quasi tutti i conti pubblici.
Un segnale preoccupante, ieri, è arrivato dagli Usa: in dicembre gli ordinativi di beni durevoli sono cresciuti di appena lo 0,3%. Al tempo stesso è stato rivisto al ribasso il dato già brutto di novembre, mentre su base annuale gli ordinativi sono precipitati del 20,2%, la più forte caduta di sempre. Risultato: le borse europee, che in mattinata guadagnavano oltre un punto percentuale, hanno ripiegato e sono andate in rosso con perdite superiori all’1,5%. Così come le borse statunitensi, a un paio di ore dalla chiusura. Un intervento importante, ieri, a Davos è stato quello del presidente della Banca centrale europea, che nel corso di una tavola rotonda ha esordito affermando: siamo ancora tutti sotto stress. Sia l’Europa che gli Stati uniti. Poi ha continuato ricordando che per l’Fmi, il deficit della zona euro nel 2009 sarà del 6% e negli Usa del 10%. Quindi abbiamo tutti grossi problemi. Ma il Patto di stabilità e crescita ha funzionato, anche se facciamo sempre richiami al suo rispetto. Abbiamo avuto la capacità di resistere alla destabilizzazione delle finanze pubbliche».
Per il presidente della Bce, «ogni paese ha avuto i suoi problemi che deve risolvere individualmente». E comunque i problemi accusati dalla Grecia «non sono diversi da quelli affrontati da altri Paesi industrializzati». Trichet ha anche insistito sul fatto che all’interno della zona euro c’è una varietà di specificità economiche, come avviene anche negli Usa. «Dobbiamo tutti ricordare che la Grecia non è la Finlandia, che la Spagna non è la Germania. C’è diversità in questa vasta zona economica che è grande come gli Usa e dove del resto il Missouri non è come la California».
Parlando del ruolo delle banche, Trichet ha affermato che «devono essere più trasparenti. Il loro maggiore problema è ristrutturare i bilanci ed essere nella posizione di fare il loro lavoro che è finanziare l’economia reale. Devono farlo con tutti i mezzi possibili». Per rafforzarsi patrimonialmente, le banche «devono mettere da parte i loro utili e non distribuire larghi dividendi o bonus». Il primo ministro greco George Papandreou ha invece lamentato che c’è un attacco speculativo contro il suo paese e contro l’euro. Invece Zapatero (che per 10 minuti non è riuscito a parlare per la mancanza di un interprete) ha garantito che la Spagna non lascerà la zona euro. La Cina è pronta ad adattare la sua politica monetaria «più flessibile in funzione delle circostanze», ha promesso il vicepremier cinese Li Keqiang per rispondere alle accuse di chi sostiene che lo yuan è sottovalutato. Insomma, tutti in ordine sparso.
Il Manifesto 29.01.10

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