economia, lavoro, partito democratico

«Disoccupati, quello che il governo non fa», di Tiziano Treu

Non è vero come sostiene il governo, che stiamo meglio.
I dati forniti dall’Istat sull’occupazione confermano purtroppo la gravità della crisi. E forse il ministro Sacconi invece di sminuire i dati, farebbe molto meglio ad affrontare il problema. Come sempre nei cicli economici negativi gli effetti sull’occupazione seguono con qualche ritardo la caduta della produzione.
I dati dell’Istat mostrano una situazione fra le peggiori d’Europa. La disoccupazione ufficiale è cresciuta all’8.1 per cento (4° trimestre del 2009); è meno grave che in altri paesi perché è contenuta dall’uso della cassa integrazione.
Ma per valutare l’effettivo peso della crisi occupazionale occorre aggiungere alla disoccupazione ufficiale almeno altri due dati: i cassa integrati da lungo tempo, di fatto disoccupati (oltre 500.00), i lavoratori inattivi, che sono così scoraggiati da non cercare neppure più il lavoro.
Questi stanno aumentando in modo preoccupante. Infatti il tasso di inattività è cresciuto di oltre il 3 per cento arrivando al 37.9 per cento; siamo al 25° posto in Europa dove il tasso è al 28.7 per cento. A partire dal 1995 fino a ieri la nostra occupazione è lentamente aumentata; ora stiamo tornando indietro. Vuol dire che il nostro paese utilizza poco più della metà del suo capitale umano (il 57.5 per cento). Se non si rimedia a questo sottoutilizzo non ci può essere ripresa.
Un altro dato preoccupante è la disoccupazione giovanile: è a livello triplo che fra gli adulti, al 23.5 per cento (siamo al 18° posto in Europa). Anche gli adulti anziani hanno poche opportunità di lavorare nonostante siano in buona salute e con esperienze utili al paese. Sono occupati solo il 24.8 per cento degli uomini e il 17 per cento delle donne (siamo al 26° posto in Europa). Altra nota dolente è il lavoro femminile. Negli anni passati era molto cresciuto, la maggior parte dei nuovi posti di lavoro era al femminile. Ora l’occupazione delle donne è ferma al 46.1 per cento (siamo al 26° posto in Europa). Per non parlare del Sud dove tutti gli indicatori sono da sempre negativi; ma ora stanno perdendo terreno anche rispetto alle medie italiane. Mentre al Nord si è perso l’1.3 per cento di occupazione, al Sud la perdita, in un anno, è triplicata. La cassa integrazione aiuta a contenere i danni, ma occorre reagire, se non vogliamo che il 2010 e il 2011 siano anni di ulteriori perdite di occupazione e di drammi umani.
Adesso la priorità è evitare altre perdite. Le casse in deroga previste per le crisi aziendali hanno un termine di un anno e stanno terminando, perché la congiuntura negativa dura più del previsto. Parlo di aziende sane nelle aree forti del paese. Queste vanno sostenute subito se non vogliamo trovarci davanti ad un deserto industriale.
È urgente che il ministro del lavoro dia assicurazioni precise su questo punto; non limitarsi a dire che esistono le casse in deroga. Il sostegno è urgente soprattutto per le piccole e piccolissime imprese. Molte di queste non riescono di fatto a utilizzare le casse in deroga per tutelare i propri dipendenti perché le procedure sono complesse, poco note e richiedono un accordo con il sindacato. Eppure sono queste imprese che hanno creato la gran parte dell’occupazione negli ultimi anni. Per questo è urgente la riforma degli ammortizzatori sociali in modo da renderli effettivamente disponibili a tutti: sia la cassa integrazione per le crisi temporanee, sia assegni di disoccupazione accompagnati da formazione e politiche attive per reinpiegare al più presto possibile chi perde il lavoro.
Il governo ha promesso di occuparsi della riforma dopo le elezioni. Il Pd è pronto a discuterne senza pregiudizi e cosi anche le forze sociali.
Per sostenere l’occupazione occorrono però altri interventi urgenti. La prima urgenza è di rimettere in moto la macchina economica. Dato che le risorse sono poche, bisogna concentrarle sui settori chiave della nostra economia dove l’Italia ha ancora buone possibilità. Questa era l’idea alla base del progetto Industria 2015 varato nel 2008 da Bersani col governo Prodi, seguendo le indicazioni delle categorie economiche. Il governo farebbe bene a riprendere questo progetto invece di disperdersi in mille rivoli e in troppi annunci. La scelta dei settori da rilanciare è decisiva anche per sostenere l’occupazione, per evitare una ripresa “jobless”, cioè senza occupazione.
Settori tradizionali come l’edilizia sono ad alta intensità di lavoro: la manutenzione e la riqualificazione degli edifici anche a fini ecologici sono bacini di grande potenzialità.
Per questo va allentato il patto di stabilità per i comuni virtuosi, come il Pd e l’opposizione chiedono da tempo. Le risorse disponibili in questa direzione possono tradursi subito in centinaia di migliaia di posti di lavoro di qualità. Lo stesso vale per la green economy: basti vedere i risultati di crescita e di occupazione oggi ottenuti da paesi come Germania, Danimarca e Corea del Sud.
I servizi alle persone sono un altro settore ricco di potenzialità occupazionali, che si possono attivare in modo diffuso sui territori per fronteggiare le situazioni di disagio sociale sempre più gravi. Alcune regioni e autonomie locali stanno già attivandosi in queste direzioni e indicano la strada da seguire in futuro a livello nazionale.
Infine gli stimoli alla ripresa economica vanno accompagnati con politiche attive del lavoro. È grave che oggi il governo non se ne occupi per nulla. Si tratta di decidere interventi specifici che rispondono ai bisogni dei gruppi sociali, specie quelli più in difficoltà. Ai giovani vanno garantiti livelli di istruzione di base e professionale più elevati e meglio raccordati con le esigenze dell’economia moderna. Le famiglie vanno aiutate a farli studiare bene e a renderli autonomi, abbiamo proposto sussidi di “learnfare” per sostenere l’istruzione dei figli. L’occupazione femminile può essere sostenuta con politiche di conciliazione e condivisione e con sostegni al lavoro di cura ora a carico delle famiglie. Su questi settori ci sono diverse proposte di legge, alcune del Pd, alcune bipartisan, che giacciono in parlamento. Un governo responsabile dovrebbe prenderle in seria considerazione invece di occuparsi d’altro.
da www.europaquotidiano.it