attualità, politica italiana

«La pazienza di Napolitano sta finendo», di Federico Geremicca

Il Presidente: «Io inascoltato. Chiari i punti critici della legge»

Un presidente della Repubblica non può dire, a proposito dei suoi rapporti con l’esecutivo, che «adesso la misura è colma». Però può farlo intendere: lasciando anche capire che, per quanto lo riguarda, l’ora dei giochini – e perfino degli inganni – è vicina alla fine. Ed è precisamente questa la via imboccata ieri da Giorgio Napolitano. Il Presidente è stanco – a proposito della Grande Guerra sulle intercettazioni – di esser più o meno preso in giro (il presidente, naturalmente, non può dirlo così: e ricorre a un più diplomatico «non sono stato ascoltato…»). E così, l’estenuante braccio di ferro tra presidenza del Consiglio e Colle ha vissuto ieri un’altra giornata aspra: stavolta, come dicevamo, per iniziativa del Quirinale stufo di esser tirato per la giacca da Berlusconi che continua a reclamare un accordo preventivo con la presidenza della Repubblica sulla legge per le intercettazioni, pena l’”andare avanti comunque”.

Non è la prima volta che il premier fa sapere di essere in attesa dell’opinione del capo dello Stato sul testo ora in discussione alla Camera (tradotto: quali cambiamenti vanno apportati alla legge per esser certi che poi il presidente della Repubblica la firmi?). E non è la prima volta che gli viene ricordato che la richiesta è inusuale e, soprattutto, non ricevibile dal Colle. Comunque sia, ieri, ricorrendo alla pazienza residua, Giorgio Napolitano (in visita a Malta) ha ricapitolato quanto al premier è già noto da tempo. Con toni, però, di inusitata durezza. Stavolta vale la pena di riportare per intero il pensiero del presidente proprio per apprezzarne la perentorietà: «I punti critici della legge approvata dal Senato risultano chiaramente dal dibattito in corso, dal dibattito già svoltosi in Commissione giustizia alla Camera, nonché da molti commenti di studiosi, sia costituzionalisti sia esperti in materia. Ovviamente – ha chiarito Napolitano – quei punti critici sono gli stessi a cui si riferiscono le preoccupazioni della presidenza della Repubblica: e ciò non si è mancato di sottolinearlo anche nei rapporti con esponenti della maggioranza e del governo. Ma non spetta a noi indicare soluzioni da adottare o modifiche da approvare».

Ragionamento non nuovo – come detto – e, comunque, chiarissimo. E affinché non restassero incertezze (più o meno interessate…) ecco la conclusione, non certo rassicurante per l’esecutivo: «Valuteremo obiettivamente se verranno apportate modifiche adeguate alle problematicità e alle criticità di quei punti che sono stati già messi in così grande evidenza. E ci riserveremo una valutazione finale nell’ambito delle nostre prerogative». Il messaggio, dunque, è inequivoco. Primo: inutile insistere nel cercare accordi preventivi col Quirinale sul testo in discussione, perché non è quello del “coautore” di leggi il ruolo riservato dalla Costituzione al capo dello Stato. Secondo: quel che va cambiato nel testo, non solo è emerso dalla discussione in Commissione giustizia alla Camera e dal parere di esperti e costituzionalisti, ma è stato per tempo sottolineato dal Quirinale «nei rapporti con esponenti della maggioranza e del governo».

Terzo: la presidenza, per rispetto del Parlamento e della Costituzione, valuterà la legge alla sua approvazione, senza pregiudizi ma anche senza sconti. Poi ci sarebbe un quarto punto, che Giorgio Napolitano non può però esplicitare ma solo lasciar intendere. E il punto in sintesi è: basta con i giochetti e le prese in giro. Berlusconi, infatti, sa da tempo quel che va e quel che non va nella legge; cambi quel che c’è da cambiare, se vuole, oppure vada avanti: ma senza chiedere “coperture” al Colle. In più, sarebbe ora di interrompere il giochino secondo il quale il governo plaude alle prese di posizione del Quirinale per poi fare tutt’altro. Uno degli ultimi casi – che ha molto infastidito il Colle – è stata la calendarizzazione della legge sulle intercettazioni per fine luglio, dopo che Napolitano aveva suggerito di lasciar campo – prima di tutto – ad una approfondita discussione sulla manovra economica: «Anche senza essere monsignor de Lapalisse è evidente che quel consiglio non è stato ascoltato, nel momento in cui sono state prese determinate decisioni a maggioranza nella conferenza dei capigruppo…».

Questo è quanto ha riservato la giornata di ieri, almeno sul fronte rovente dei rapporti tra Quirinale e palazzo Chigi. In serata Napolitano è rientrato a Roma. E non è detto che oggi non se ne risentano delle belle…

da lastampa.it

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Federico Geremicca ha ben pronosticato: oggi ci è toccano sentire quanto segue:

«Intercettazioni, Ghedini attacca il Colle. L’opposizione: “Stanno passando il segno”»
Il legale del premier: “Spetta al Parlamento decidere”. L’Idv: “Completo delirio di onnipotenza”. Bersani: “Si mettano al fresco e riflettano”. Schifani prende le distanze: “Napolitano si ascolta e non si commenta”

ROMA -” I commenti del Quirinale sono assai pregevoli, ma c’è un parlamento: spetta a quest’ultimo decidere”, perché “la valutazione del capo dello Stato non è su problemi di natura tecnica. Altrimenti dovrebbe farsi eleggere. La valutazione è sulla costituzionalità. Le ‘criticità tecniche’ esulano dalla sua competenza”. Intervistato dal Corriere della Sera, Niccolò Ghedini, responsabile giustizia Pdl e legale del premier, replica così alle affermazioni del presidente della Repubblica sul ddl intercettazioni. 1

Le parole del legale scatenano la reazione dell’opposizione. “Ghedini è in completo delirio di onnipotenza. Oggi si e’ anche messo a fare il legale della maggioranza contro il Capo dello Stato. Con o senza incarico professionale, l’avvocato Ghedini straparla ignorando le norme della Costituzione, cosi come ha dimostrato con leggi aberranti da lui elaborate e dichiarate sistematicamente incostituzionali” commenta il portavoce dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando.

“Ho letto con imbarazzo le dichiarazioni di Ghedini – dice il segretario del Pd, Pierluigi Bersani – nessuno può rivolgersi in questo modo al presidente della Repubblica, tantomeno uno che è avvocato e che dice di capire qualcosa di politica.
“Stiamo superando il segno si mettano al fresco un attimo e riflettano, perchè così non può andare”.

E sulle parole di Napolitano interviene anche il presidente del Senato, Renato Schifani che sembra prendere le distanze da Ghedini: “Napolitano non si commenta, si ascolta. Mi auguro sempre che ogni tensione si allenti facendo in modo che ci siano tempi e spazi adeguati per il dibattito su ogni provvedimento”.

da www.repubblica.it

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«La solitudine del Cavaliere», di Aldo Schiavone

Le meditate dichiarazioni del Presidente Napolitano suonano come un ultimo, grave monito per quelle forze di governo, che guidate dallo stesso Berlusconi, sembrano aver scelto la strada di uno strappo politico e istituzionale dalla portata imprevedibile, pur di realizzare un proposito che pare non intendere ragioni.

Il Presidente, doverosamente, non anticipa la sua valutazione, ma mette in guardia contro una deriva che, se non tempestivamente corretta, può portare verso un catastrofico epilogo legislativo.

Napolitano prende atto – e sarebbe difficile fare altrimenti – dei molti, troppi “punti critici” del disegno di legge così come approvato dal Senato. Punti critici che fanno di quel testo un’autentica mina. Ed è molto significativo che per la loro individuazione egli faccia riferimento a un contesto composito, che integra insieme il dibattito parlamentare, il giudizio dei giuristi, l’orientamento di una vigile opinione pubblica. È una scelta formale e sostanziale, di grande valore.

Perseguendola, il Presidente dimostra di eleggere a guida dei suoi comportamenti non la propria astratta capacità di giudizio, ma una opinione che emerge dall’intelligenza stessa del Paese, per come si manifesta nelle sedi della rappresentanza politica, della cultura del diritto, della formazione delle coscienze individuali, e di cui egli si fa interprete e portavoce. È una lezione di buona pratica costituzionale, di misura e di compostezza che dovrebbe far riflettere tutti, di questi tempi. Merita in pieno il rispetto che le dobbiamo.

Ed è importante la sintonia che ancora una volta si sta realizzando con il Presidente della Camera, che l’altro ieri aveva definito non altrimenti che un “un puntiglio” la decisione di accelerare i tempi, e di portare a tutti i costi il progetto di legge sulle intercettazioni al dibattito in aula prima dell’estate, e che ha appena ribadito la necessità, da lui fortemente avvertita, che la maggioranza si fermi a riflettere. In un periodo che si annuncia ogni giorno più carico di rischi e di pericoli, la saldatura di un asse che definirei di “lealismo costituzionale” ai vertici dello Stato è uno dei pochi elementi – ma decisivi, per fortuna – che inducono a non disperare.

C’è da chiedersi cosa stia spingendo Berlusconi verso questa inaudita forzatura. Temo che la risposta si trovi nella sua solitudine, che non può non avvertire, con sempre maggiore evidenza. Intorno a lui, tutti, anche quelli da sempre più vicini, parlano ormai altre lingue, che non capisce. Vedono cose che lui non vede. Questo non fa che aumentare la sua diffidenza, la sua impazienza, la sua voglia di rovesciare un tavolo che sente sfuggirgli sotto le mani.

E’ da tempo ormai che egli non ha più nulla da proporre al Paese, se non l’icona di un successo ormai invecchiato, che appartiene a un’altra epoca, imbalsamato nell’ossessiva ripetizione della sua messa in scena. Ma proprio l’inarrestabile declino della sua capacità di governo, spinge Berlusconi verso l’azzardo continuo dell’avventura, del sovversivismo istituzionale. Nulla gli resta più della pazienza dei forti. Ha ormai solo l’ansia febbrile di chi ogni giorno deve lottare in un mondo in cui non si riconosce. È possibile che a questo punto dei contenuti effettivi della legge gli interessi ben poco. Quello che cerca è la prova di forza, lo scatto che metta alleati e avversari in riga, che imponga l’alternativa fra se stesso e il diluvio, magari per preparare nuove elezioni.

E tanto più c’è bisogno – per fronteggiare tutto questo – di razionalità e di pacatezza. Di continuare a spiegare con calma che la legge in questione sarebbe una cattiva legge, che non risolverebbe alcun problema, ma ne creerebbe moltissimi, anche molto gravi e che – per come è formulata – comprometterebbe il diritto dei cittadini a un’informazione senza censure. Le buone leggi non nascono mai dall’arroganza di una parte sola. In esse il potere deve sciogliersi nel consenso e nell’emancipazione; la forza dei numeri nella ragione delle cose. Al di fuori c’è solo l’ombra del tiranno e della sua demagogia.

da www.repubblica.it