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"Mafia e pizzo ecco le prime conversioni", di Francesco La Licata

Quindici palermitani taglieggiati che mandano in galera una banda di mafiosi agguerriti – addirittura i resti della «famiglia» Lo Piccolo – è senz’altro una buona notizia. Specialmente in pieno periodo natalizio, quando Cosa nostra scatena i suoi esattori.
Li manda a «mungere» commercianti e imprenditori, spacciando le estorsioni per «donazioni volontarie» da destinare ad «auguri per i picciotti in galera». Una farsa che si ripete a Pasqua, con le stesse caratteristiche.

Ma questa volta niente auguri ai «picciotti», semmai una retata natalizia. Ed è un risultato importante – come fanno notare i magistrati della Procura di Palermo – soprattutto perché, per la prima volta, i riscontri alle risultanze investigative vengono proprio dalle vittime. Non capita tutti i giorni, nella latitudine siciliana, di poter fornire ai giudici elementi di prova prodotte dal racconto delle parti lese. Senza queste collaborazioni clamorose, le indagini avrebbero sofferto della solita preponderanza di indizi, rispetto alle prove certe: la malattia cronica di cui soffrono i processi di mafia. Ma non è soltanto l’aspetto giudiziario – che pure ha la sua importanza – a dover rallegrare chi tiene a cuore la lotta alla mafia. Denunciare il proprio taglieggiatore, in certe condizioni ambientali, equivale ad una vera e propria rivoluzione culturale. Non a caso polizia e magistratura fanno riferimento ad una «rivolta degli imprenditori palermitani». Quante volte gli sforzi compiuti per alzare la testa (tornano alla mente le passate, negative esperienze di lotta al pizzo) si erano infranti contro il muro della paura. Sì, paura delle conseguenze, paura di dover sostenere lo sguardo del mafioso ed indicarlo in un’aula di giustizia come il proprio carnefice.

Certo, siamo pur sempre all’inizio e tanto merito deve andare ai ragazzi di «Addio pizzo», il gruppo di giovani che da alcuni anni si è letteralmente «inventato» la rinascita della dignità dei commercianti palermitani. E’ vero che i quindici «rivoltosi» non avevano fatto denuncia autonoma, ma è pur vero che assistiti da «Addio pizzo» si sono convinti della bontà della scelta di collaborare. Ora non bisogna mollare: il coraggio dei quattordici va alimentato perché possa aprire la strada ad altre collaborazioni. E questo è compito delle istituzioni che possono fare molto, come dimostra l’altra bella notizia che giunge da Torre del Greco, dove la sinergia fra Stato e organizzazioni antiracket ha consentito di far riaprire a tempo di record la «Nautica Bottino» distrutta da un incendio camorristico. Questa è la strada.

La Stampa 14.12.10