attualità, politica italiana

"Il rebus di Tremonti dopo Pontida", di Eugenio Scalfari

Il rebus Tremonti. Qualcuno pensa che sia decifrabile? E lui, Giulio Tremonti, ministro dell´Economia, ne possiede la chiave oppure nemmeno lui è in grado di rivelarne la soluzione? Personalmente opto per questa seconda ipotesi; si sono create condizioni tali che neppure il protagonista del rebus riesce a districarsi dalla rete che lui stesso ha contribuito a costruire. A volte capita in natura che il ragno resti intrappolato dalla rete tessuta dalla sua saliva e questo è il caso. Con ciò non voglio affatto dire che Tremonti non abbia le idee chiare su quello che deve fare come ministro dell´Economia, le ha chiarissime; ma non sa quale sarà il suo avvenire di uomo politico, che pure gli sta sommamente a cuore.
Questo è il rebus sul quale si appuntano gli sguardi in questa vigilia di Pontida, dove Tremonti ha il ruolo del convitato di pietra. Che ci sia o non ci sia non ha importanza: il convitato è lui, è con lui che la Lega dovrà fare i conti, Berlusconi dovrà misurarsi, Gianni Letta dovrà incrociare la spada, Bersani dovrà decidere se appoggiarlo o stopparlo e così Casini, così Vendola, Di Pietro, Fini. Gli atteggiamenti di questi interlocutori e le scelte che faranno configurano nel loro insieme la rete di cui Tremonti è il centro. Il rebus è se sarà lui a governarla o se ne sarà governato.
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Intanto i mercati finanziari sono sempre più agitati, lo “spread” dei Buoni del Tesoro italiani con scadenza decennale oscillano tra i 180 e i 200 punti rispetto al “Bund” tedesco.

Il “default” greco incombe, la Banca centrale europea richiama l´Italia a fissare subito i tempi della manovra da 40 miliardi necessaria per azzerare il deficit e pareggiare il bilancio, mentre l´Italia dei referendari, del precariato, delle famiglie, reclama provvedimenti che rilancino la crescita e una più equanime distribuzione del reddito sociale.
Infine le agenzie internazionali di “rating”, con la Moody´s in testa, preannunciano un giudizio negativo sul debito sovrano italiano. È la prima volta che accade e le Borse lo stanno già registrando. Lunedì probabilmente la reazione dei mercati sarà anche peggiore.
Questa è dunque la rete in tutte le sue componenti. Dicevamo che essa è stata costruita anche con la saliva del ragno che ne sta al centro ed è esattamente così. Fu infatti Tremonti, ministro del Tesoro nel 2001, a inaugurare la finanza creativa in obbedienza al volere del suo leader che gli aveva imposto di non mettere le mani del fisco nelle tasche degli italiani.
La finanza creativa, fatta di condoni, di “swap”, di cartolarizzazioni, fu la trovata tremontiana per obbedire al suo leader e galleggiare sul mare agitato della finanza internazionale. Il risultato fu l´accresciuta propensione dei contribuenti ad evadere, l´azzeramento dell´avanzo delle partite correnti, l´aumento del rapporto tra il Pil e il debito pubblico, l´invarianza della pressione fiscale, l´aumento delle diseguaglianze, l´encefalogramma piatto della crescita reale dell´economia.
Non è propriamente un bel consuntivo quello che il Tremonti del 2001 lasciò ai suoi successori, i quali lo lasciarono al Prodi del 2006, il quale a sua volta con qualche miglioramento lo lasciò al Tremonti del 2008. Nel frattempo il Nostro aveva scritto alcuni libri di notevole interesse tracciando una sorta di filosofia della storia economica non particolarmente nuova ma nuovissima per chi aveva esordito con un programma liberale del “meno Stato, più mercato”.
La filosofia del Tremonti 2008 capovolgeva nettamente quel programma, proiettava lo Stato nazionale verso l´auspicata e auspicabile Federazione europea, evocava un´attiva presenza pubblica soprattutto nel mercato del credito, tanto più quando le acque agitate della finanza internazionale divennero tremenda tempesta a causa della bolla immobiliare americana, della crisi dei titoli derivati, del fallimento di alcune tra le più importanti banche d´affari in Usa, in Gran Bretagna, in Germania.
Infine della recessione che si diffuse in tutto il pianeta e dalla quale non siamo ancora completamente usciti. Il nuovo Tremonti rigorista era dunque in linea con le circostanze malgrado che il suo Capo strepitasse sempre di più. Ed ora che cosa farà? In queste condizioni, con questi interlocutori, con questa Europa, con questi mercati?
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Una prima constatazione: Tremonti è solo. Il suo Capo ormai lo detesta anche se non potrà fare a meno di lui. La Lega, della quale sembrava essere il garante, lo ha preso in uggia. Nel Pdl ha tutti contro. Il presidente della Repubblica lo stima ma non è e non vuole essere un soggetto politico. Mario Draghi è sempre stato critico della sua politica; il fatto che abbia lasciato la Banca d´Italia per ascendere alla presidenza della Bce non migliora la condizione del nostro ministro dell´Economia, anzi potrebbe perfino peggiorarla. Dunque Tremonti è solo, salvo l´appoggio della Commissione di Bruxelles e lo spauracchio della speculazione che, paradossalmente, gioca in suo favore perché lo rende indispensabile e inamovibile.
Seconda constatazione: Tremonti vuole passare alla storia della finanza italiana come colui che ha fatto la riforma del fisco, dopo quelle di Quintino Sella, di Giovanni Giolitti, di Alberto De Stefani, di Ezio Vanoni e di Bruno Visentini. Dovrei aggiungere anche i nomi di Vincenzo Visco e Tommaso Padoa-Schioppa, ma potrebbe sembrare provocatorio e quindi me ne astengo.
Il complesso della riforma tremontiana ancora non è noto ma le sue linee maestre sono ormai emerse. Vuole semplificare un´architettura ormai ingestibile lasciando in piedi soltanto cinque grandi imposte: sul reddito personale, sul reddito delle imprese, sull´Iva, sui consumi, sui beni reali mobiliari e immobiliari. Dalle persone alle cose. Dal reddito ai consumi e al patrimonio, sfoltendo e se possibile azzerando la selva dei contributi, degli sgravi, delle deduzioni, degli assegni familiari, dei bonus di vario tipo e specie. Il tutto con gradualità e nel quadro del federalismo.
In teoria una riforma del genere, con diminuzioni di aliquote in alcuni casi e aumento di aliquote in altri, dovrebbe dare un risultato netto di minore evasione, maggior gettito per l´erario, minore pressione fiscale per la platea dei contribuenti. Quest´imponente costruzione dovrebbe esser varata nell´anno prossimo e funzionare a regime entro il 2014. Il calendario sembra alquanto ottimistico. Con i tempi che corrono sarà un miracolo se l´intero edificio – federalismo compreso – sarà pienamente funzionante entro il 2020.
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Di questi traguardi troppo lontani e delle ambizioni di Tremonti di entrar nella storia, a Berlusconi e a Bossi, per dirla crudamente, non gliene frega assolutamente niente. Loro hanno bisogno di soldi, molti maledetti e subito. Invece ne avranno poco e non subito: bene che vada potranno contare su uno spicciolame di dieci miliardi nel 2012 e per di più a costo zero, ribassi di aliquote Irpef e Irap contro aumenti dell´Iva per pari importo, con il rischio che tali aumenti si scarichino sul tasso di inflazione e quindi sul costo della vita. Forse alcuni Comuni che dispongono di importi liquidi non spesi potranno essere autorizzati ad investirli in opere pubbliche di competenza locale: una goccia nel mare e per di più a rilascio non immediato.
Basterà? Lo vedremo oggi sul pratone di Pontida. Le ipotesi sono due: Berlusconi e Bossi faranno finta che basti e troveranno la quadra tra loro per galleggiare. Poi, in contemporanea con la finanziaria per il 2012 che conterrà il primo scaglione della manovra da quaranta miliardi concordata con l´Europa, Berlusconi e Bossi apriranno la crisi e la partita passerà nelle mani del Quirinale.
Oppure: Berlusconi e Bossi cercheranno di imporre a Tremonti il famoso coraggio reclamato da Maroni e Tremonti deciderà di ritirarsi, con grande gioia dei mercati. Questa seconda ipotesi mi sembra altamente improbabile, ma non si può del tutto escludere, come non si può escludere che, prima che tutto precipiti, la Lega punti su una riforma della legge elettorale concordandola con l´opposizione.
Quest´ultima dal canto suo dovrà tirar fuori i progetti concreti che da tempo sono pronti e gettarli nello scontro parlamentare martellando e stimolando l´avversario. Non è ancora arrivato il tempo di mattare il toro. Bisognerà sfinirlo con agguerrite pattuglie di “picadores” e di “banderilleros”. Durerà pochi mesi se non saranno commessi errori.

La Repubblica 19.06.11