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"Tagliare è un obbligo, sulla scuola un delitto", di Maurizio Ferrera

La crisi greca sta mettendo a dura prova la tenuta dell’Unione Europea. Il pericolo immediato è il default del debito sovrano di Atene. Ma la vera sfida è più generale e riguarda tutti: come conciliare stabilità delle finanze pubbliche, crescita economica e coesione sociale dopo la grande crisi? La nuova architettura di governance messa a punto negli ultimi mesi affida la gestione della stabilità alle autorità sovranazionali, in base a regole molto stringenti. Crescita e coesione restano invece di competenza dei governi, sostenuti in modo soft dalla cosiddetta strategia Ue-2020. Sulla carta, nulla da eccepire. Nei fatti però questa architettura sta producendo tensioni sempre più forti. La conciliazione fra i tre obiettivi può funzionare bene solo in Germania e nei Paesi nordici. Qui la crisi sembra ormai acqua passata, il suo impatto sociale è stato assorbito dal welfare e l’economia ha ricominciato a tirare. Portogallo, Irlanda, Grecia, e (in parte) la Spagna si trovano all’estremo opposto: per i quattro «pigs» (l’acronimo spregiativo che in inglese significa maiali) il recupero della stabilità è un insidioso percorso a ostacoli, richiede enormi sacrifici sociali e sta già provocando marcate turbolenze politiche. La crisi non ha peraltro allentato la morsa, il Pil è fermo o ancora in diminuzione. Fra questi due estremi stanno gli altri Paesi dell’eurozona. Alcuni (come l’Olanda) sono più vicini al gruppo dei virtuosi, altri (come il Belgio e soprattutto l’Italia) sono più vicini ai viziosi. Tutti si trovano però a fronteggiare lo stesso «trilemma» : il pareggio di bilancio entro il 2014 e la successiva riduzione del debito richiedono imponenti tagli di spesa; ma se si taglia il welfare, saltano coesione e consenso politico; se invece si tagliano gli investimenti (infrastrutture e capitale umano), l’economia arranca. Di fronte al dramma greco, le difficoltà dei Paesi «in mezzo al guado» possono sembrare superabili. Eppure è proprio qui, nella pancia continentale dell’Unione (Germania esclusa), che si gioca la vera scommessa. Se il circolo virtuoso della crescita inclusiva non decolla, l’Unione economica e monetaria potrebbe disgregarsi ed il consenso popolare nei confronti dell’integrazione potrebbe erodersi in misura irreversibile. L’attenzione delle istituzioni e dei leader europei è in questi giorni comprensibilmente concentrata sulla crisi greca. Nei circoli di Bruxelles e nei principali think tanks europei è però già emersa la consapevolezza che gli attuali assetti di governance debbano essere ricalibrati. Sul piano delle proposte, gli orientamenti sono essenzialmente due, peraltro complementari fra loro. Il primo riguarda il bilancio Ue, che dovrebbe essere interamente mobilitato verso il raggiungimento degli obiettivi di crescita e inclusione, senza sprechi e dispersioni. L’Unione dovrebbe poi varare al più presto i cosiddetti Euro project bonds per finanziare grandi progetti d’investimento. In questo modo la strategia Ue-2020 si trasformerebbe da una semplice cornice programmatica e di coordinamento ad un vero e proprio piano di azione corredato da adeguate risorse finanziarie. Il secondo orientamento riguarda i bilanci nazionali. Qui occorrono incentivi per assicurare la qualità delle manovre di consolidamento. È preoccupante constatare che in una buona metà dei Paesi membri vi è stata una significativa riduzione della spesa per istruzione a fronte di una stabilità (o aumento) di quella pensionistica. Ben sappiamo che senza potenziamento del capitale umano non vi può essere crescita «buona» ed equa. Quali incentivi? Si potrebbe ad esempio stabilire che, a certe condizioni (poniamo: innalzamento dell’età pensionabile, come vorrebbe la Merkel), alcuni consumi nel settore dell’istruzione possano essere trattati come investimenti, beneficiando di un trattamento di favore nel computo dei saldi di bilancio. Qualcuno propone la stipula di un vero e proprio «Patto per gli investimenti sociali» che si affianchi al patto «Euro-plus» : sostegni finanziari dall’Europa e permessi condizionati di spesa, ma solo per giustificati motivi di investimento sociale, soprattutto a favore dei giovani. Nell’appello pubblicato ieri dal Corriere, gli Amici dell’Europa esortano i leader Ue a rilanciare il progetto d’integrazione con iniziative capaci di rassicurare l’opinione pubblica. L’obiettivo della crescita inclusiva ha un forte potenziale di richiamo. Ma servono risultati concreti, in tempi rapidi. E dunque una leadership politica finalmente all’altezza della situazione.

Il Corriere della Sera 23.06.11