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"Cresce la mobilitazione contro il femminicidio «Ora una nuova legge»", di Maria Zanchi

Continuano ad arrivare firme all’appello lanciato dal movimento “Se non ora quando”. L’ex ministro Pollastrini: «Subito un piano del governo». Di Pietro: «La politica fermi questa barbarie». Ieri l’ultimo caso a Roma

Per un puro caso, o forse per disperazione, ieri un’altra donna non ha allungato la lunga lista delle vittime per mano di un uomo, spesso quello che si sceglie come marito o compagno. Il caso è molto simile a tanti altri. Una lite familiare. La città è Roma ma potrebbe essere ovunque visto che il femminicidio è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni. Un marito, ubriaco, che si sfoga sulla propria moglie la colpisce ripetutamente fino a farla crollare a terra. Come aveva fatto altre volte, sostengono chi li conosceva. Solo che questa volta il finale è diverso. Per caso, ma più per disperazione, si diceva, il padre della ragazza, malato, ha cercato di intervenire per calmare gli animi e far terminare la violenta lite. Poi ha afferrato il coltello e ha colpito l’uomo, un 49enne peruviano, al petto provocandogli un’emorragia fatale.
L’epilogo diverso ma storia molto troppo simile a tante altre. E proprio contro questa mattanza che il movimento di «Se non ora quando» hanno lanciato un appello, che potete firmare anche sul nostro sito, unita.it. Hanno già aderito in migliaia e le firme aumentano di ora in ora. Dalla leader Cgil Susanna Camusso, a Roberto Saviano, al segretario Pd Pier Luigi Bersani che su Twitter ha scritto: «Si uccidono le donne. Le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene, di fare qualcosa per stroncare la barbarie».
«È giusto gridare insieme basta. È salutare che si uniscano gli uomini di buona volontà e dicano» ha detto ieri l’ex ministra per le Pari opportunità Barbara Pollastrini, che ha aderito all’appello di Snoq. «Ma poi? Sono anni che riempiamo strade, piazze e convegni contro la violenza», prosegue l’esponente del Pd. «Chiediamo quindi subito al governo e alle ministre di presentare il piano d’azione contro molestie e violenza. Alle donne, sulle pensioni, è stato chiesto molto: l’esecutivo restituisca qualcosa almeno in termini di sicurezza e diritti umani. Servono risorse da stanziare per la prevenzione, per centri e case di accoglienza, per la tutela delle vittime. È indispensabile la celerità dei processi e la certezza della pena. E, certo, cultura, civismo e educazione al rispetto sono antidoti fondamentali».
«Aderisco all’appello di Se non ora quando per una mobilitazione che metta sotto gli occhi anche di chi non vuol vedere, la silenziosa strage di donne uccise da quelli che consideravano i loro uomini» ha fatto sapere Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati Pd. « Credo che ognuna e ognuno per la nostra parte, oltre alla mobilitazione, possiamo fare qualcosa in più. Dal rendere noti i dati di femminicidi e violenze con rilevazioni oggettive, dal finanziare i centri che sostengono le donne, dal raccontare ogni giorno su tutti i media quel che succede tra le mura domestiche, dal legiferare perchè questi crimini siano puniti senza attenuanti di sorta».
«Dall’inizio dell’anno ha spiegato il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, in una nota 54 donne sono state uccise dai loro compagni, mariti o ex conviventi. Una vergogna nazionale, una mattanza inaccettabile. La violenza sulle donne è un atto criminale, indegno di qualsiasi Paese civile. Per questo, aderisco con convinzione all’appello Mai più complici: è tempo che la politica si impegni seriamente per fermare questa barbarie».
Serve una nuova legge e serve subito. Intanto le donne continuano a morire. Solo il 10% ha la forza di denunciare molestie e abusi.

da l’Unità 30.4.12

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Non chiamatelo più un «femminicidio» di Isabella Bossi Fedrigotti

Sono sempre più frequenti gli assassini dentro la famiglia le cui vittime sono mogli, fidanzate, compagne, uccise dai partner. Delitti che si sentono definire, per una certa ansia di precisione, «femminicidi»: parola che rischia di ottenere un effetto opposto a quello che si propone, che finisce per farli intendere come chiusi in una categoria, meno gravi dei normali omicidi.
Ci piace essere chiamate femmine? Non tanto. Probabilmente, perché, magari erroneamente, abbiamo l’impressione di sentire in quel termine una vaga intenzione di svilimento, se non di disprezzo. Del resto — sebbene la parola alle nostre orecchie italiane suoni inevitabilmente un po’ più nobile — è facile pensare che neppure gli uomini siano molto contenti di sentirsi definire maschi, sorta di timbro per distinguere un capo di bestiame.
Di conseguenza piace poco il termine «femminicidio» che si sta diffondendo, impiegato sempre più di frequente perché sempre più frequenti sono gli atti che vuole definire: gli assassini nella famiglia, cioè, le cui vittime sono mogli, fidanzate, compagne, sia ex che ancora in essere, ammazzate dai partner per gelosia, per vendetta o anche per quello che qualcuno immancabilmente si affretta a definire «troppo amore». Delitti in preoccupante crescita, un anno dopo l’altro. Difficoltà economiche, disoccupazione o dequalificazione professionale non possono che essere benzina sul fuoco di un carattere tendenzialmente aggressivo o, anche, soltanto difficile, diffidente, insicuro. Affamato di possesso.
Delitti che da qualche tempo si sentono definire, per una certa ansia di precisione, femminicidi. Questo rischia di farli subito intendere come minori, meno gravi dei normali omicidi. Uxoricidi si chiamano nel codice, ma uxor è la moglie, non la fidanzata, l’ex fidanzata, la convivente o la ex convivente, categorie che, quanto a rischi mortali, non hanno nulla da invidiare a quelli delle legittime consorti: per loro, dunque, è stato inventato il nuovo termine. Ma le parole contano, ed è pericoloso usarle con leggerezza perché possono modificare la percezione.
Felice la lingua tedesca, si vorrebbe dire, che per uomini, donne e anche bambini possiede il termine Mensch che, pur contenendo il resto di una radice maschile, indica la profondissima essenza umana.

da il Corriere della sera 30.4.12

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“Quelle donne bruciate per emulazione in Argentina”, di Concita De Gregorio

Wanda e le altre, arse vive dai mariti così l´uxoricidio scatena l´emulazione. La follia di una rockstar e i delitti che sconvolgono l´Argentina. Due anni fa il batterista della band maledetta Callejeros dà fuoco alla moglie. Da allora a Buenos Aires si contano almeno quindici casi simili. Il gruppo di Vazquez era stato già protagonista di una tragedia: un incendio prima di un concerto aveva provocato la morte di 194 persone

SI IMITANO. Si esaltano, si sentono dannati e onnipotenti. Dispongono della vita e della morte, accendono il fuoco e appiccano il rogo: bruciano le donne. Ragazzine, adolescenti incinte, giovani madri. Fanno come ha fatto il loro eroe, il cantante maledetto del gruppo rock di successo. Anche loro, come lui. Ti do fuoco, ti guardo bruciare. Succede a Buenos Aires, e nessuno ne parla perché non fanno notizia storie così. Delitti domestici, roba ordinaria. Questa è una storia lontana, una storia argentina. Ma è una storia esemplare. Perché mentre di nuovo, in Italia, come un fiume carsico riemerge l´allarme per quello che si chiama femminicidio ed è il frutto del malamore, la trappola assurda e mortale a cui le donne si sottomettono scambiando la violenza e il senso del possesso per amore, laggiù lontano oltre l´oceano una sequenza di roghi ci dice qualcos´altro. Che si può uccidere per somigliare a un eroe della musica dannata, che se nessuno ferma la spirale e la chiama per nome, la nomina per quello che è, diventa quasi un gioco. Un videogame, una sfida. Sono almeno quindici, forse di più, le donne bruciate a Buenos Aires. «Sì è vero. Da noi le donne le bruciano», conferma Fernando Iglesias, deputato e scrittore. «È diventata una moda. Da quando il batterista dei Callejeros, quel gruppo rock famosissimo anche per la tragedia dell´incendio in discoteca, insomma da quando Eduardo Vazquez ha bruciato la sua donna, un paio d´anni fa, è scattata l´emulazione».
Hanno cominciato subito dopo di lui, i ragazzini, a dar fuoco alle fidanzate. Non hanno più smesso. Le bruciano in cucina, di solito». Come in cucina, ma che dici? «In cucina, sì. E di mattina. È appena uscita una statistica: più spesso di mercoledì, più spesso di mattina dopo le 11. In casa, in città, qui a Buenos Aires. In prevalenza ragazze fra i 15 e i 25 anni. Però non ne parla nessuno, lì da voi nel Primo Mondo: seguo le rassegne ma non ho visto niente. Eppure è un contagio spaventoso. Il fuoco, poi: primordiale. Troppi casi analoghi, stesse modalità, torce umane, l´ultimo delitto un paio di mesi fa. Il processo è in corso adesso. Danno la colpa a lei, alla morta». La colpa di cosa? «Di essersi bruciata da sola. Ci puoi credere?».
No, non ci posso credere. Non ci posso credere e le voglio ascoltare con le mie orecchie, vedere coi miei occhi le testimonianze di chi, al processo, dice che Maria Aldana Torchielli, 17 anni – diciassette, un´adolescente pallida – il 15 febbraio di quest´anno, durante una lite, si è cosparsa da sola di alcol. Quello per disinfettare le ferite e per pulire i pavimenti, l´alcol rosa nei bottiglioni di plastica. Che se lo è rovesciato sui genitali, in testa, sui piedi e sul seno e che – da sola, da sola – ha annunciato al suo irascibile ragazzo, Juan Gabriel Franco, 23 anni: mi do fuoco. Che lo ha fatto perché era «instabile e gelosa», testimoniano in aula i conoscenti per la soddisfazione della famiglia di lui. Troppo gelosa. Lui ha cercato di salvarla, aggiungono, infatti ha le mani e le braccia ustionate. Ma lei voleva morire: è stata lei ad uccidersi. Anche i due poliziotti che sono intervenuti per primi nell´appartamento, due misere stanze, hanno detto sotto giuramento che prima di perdere conoscenza Aldana ha sussurrato loro: sono stata io. Sono gli unici due testimoni, i poliziotti. A parte Juan Gabriel, naturalmente, che però è anche accusato dell´omicidio per cui diciamo che è di parte. Aldana è arrivata in ospedale in coma, non ha mai ripreso conoscenza. Aveva ferite gravissime al volto, al collo, al torace, all´addome, i genitali erano carbonizzati, le mani e i piedi disciolti. La famiglia del ragazzo è presente in aula. Lei lo provocava, dicono, era gelosissima. Lo minacciava. Però lui è qui, lei è morta, risponde Myriam la madre di Aldana: era mia figlia, ripete come un´ossessione. Era mia figlia. Lui è qui e lei è morta. «La famiglia di quell´uomo mi ride in faccia, mi guarda negli occhi e ride. Ma io non mi arrendo, non mi lascio intimidire. Io so che l´ha ammazzata, lei aveva paura. Devo essere forte perché Aldana ha molte sorelle. Wanda Taddei è con me».
Ecco, Wanda Taddei. La giovane donna uccisa dal batterista dei Callejeros, Eduardo Vazquez. Un idolo, lui: amato dai giovani e circondato da un´aura di dannazione. Adorato perché dannato. Una storia che ricorda da vicino quella di Bertrand Cantat, il leader dei Noir Desir assassino di Marie Trintignant, figlia del grande attore. Questa però, la storia di Eduardo Vazquez, non è solo una storia di violenza: è una storia nera di fuoco. Il fuoco omicida e purificatore, dicono i siti deliranti a cui gli adolescenti si ispirano per bruciare le loro ragazzine. Conviene riassumerla nella sua tragica insensatezza.
I Callejeros sono il gruppo rock sulla cresta dell´onda che deve esibirsi il 30 dicembre 2004 nella grande discoteca Cromagnon, in calle Bartolomeo Mitre, Buenos Aires. Arrivano a migliaia. Poco prima del concerto qualcuno lancia un petardo. Prende fuoco un telone, poi un altro, poi tutto. Le porte sono chiuse dall´esterno. Nel rogo, in pieno centro città, muoiono 194 persone. Sono quasi tutti ragazzi fra 17 e 23 anni. 1432 sono i feriti gravi e gravissimi. Alla vigilia di Capodanno sparisce una generazione. La tragedia di Cromagnon dà via a un processo infinito, nessuno sembra responsabile. La strada, calle Mitre, viene chiusa e diventa un mausoleo a cielo aperto. I Callejeros – alcuni di loro hanno perso nell´incendio i genitori e gli amici – sono considerati i responsabili per così dire morali. Diventano il simbolo della distruzione e della morte nel fuoco. Ci sarà un referendum popolare, anni dopo, per decidere se possano tornare ad esibirsi. Non accadrà. Non suoneranno, da quel giorno, mai più. Nessuno li vuole. I componenti della band si disperdono, si perdono. Nascono siti e gruppi che ne adorano l´assenza e la maledizione. Sei anni dopo il batterista ritrova la sua fiamma di gioventù, Wanda Taddei, e la porta a vivere con sé. La ragazza aveva 15 anni quando si erano incontrati la prima volta, ma la famiglia di lei li aveva divisi: lui è un violento, ubriaco, drogato. Non fa per te, te lo vieto: le disse allora il padre. Questa volta però lei è una donna. Ha un matrimonio alle spalle e due figli maschi. Vuole Eduardo, il suo amato aguzzino: va a vivere con lui. Il 10 febbraio 2010 lui la brucia, durante una lite: la cosparge di alcol e le dà fuoco. I bambini, Juan Manuel e Facundo, sono rintanati in uno sgabuzzino. «Ci sentivamo sempre più sicuri nello sgabuzzino», dirà Facundo al processo. «Eduardo picchiava sempre la mamma». Siamo a febbraio, da allora è un rosario di delitti.
Il primo – identico – sei mesi dopo. Fatima Guadalupe Catan, 24 anni, incinta, bruciata viva in casa dal fidanzato. Poi Dora Coronel, 26 anni. A dicembre Alejandra Rodriguez. Madre di una bimba di 4 anni, bruciata in cucina con l´alcol. Subito dopo Norma Rivas, 22 anni, tre figli: con la nafta, questa volta. A gennaio del 2011 Ivana Correa, 23 anni. A marzo muore Mayra Ascona, 30, incinta. Bruciata in casa dal marito. Tutti casi isolati, nessun allarme, nessuno che metta in fila la sequenza. Fino a febbraio di quest´anno, quando la madre di Aldana, la diciassettenne morta dopo dieci giorni di coma, va in tv e dice nello strazio: sarò forte per le sue sorelle, le sorelle di Aldana mia figlia e di Wanda Taddei.
C´è una superstite, si chiama Corina Fernandez. Dice: «Cadi in una rete di paura e non ce la fai ad andartene. Quando dici me ne vado è allora che ti ammazzano». Il femminicidio col fuoco è oggi in Argentina al quarto posto nelle classifiche di morte, che dicono così: 1) proiettili. 2) pugnale e coltello. 3) botte. 4) fuoco. Una ragazza su dieci muore bruciata. Seguono: strangolata, sgozzata, asfissiata, uccisa col martello, bastonata, affogata. Di solito per mano del convivente o dell´ex. Di solito in casa. Elena Highton de Nolasco, giudice della Corte Suprema, afferma avvilita che «non possiamo mettere un poliziotto accanto ad ogni donna che denuncia». Corina, che si è salvata per caso, aveva denunciato il compagno 80 volte. Ottanta. «Ora lo hanno condannato a sei anni, e io ho i giorni contati. Quando esce di sicuro mi ammazza». Mi brucia, dicono ormai le donne argentine. È diventato sinonimo. Quando esce mi brucia.

da La Repubblica 30.4.12