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"La scienza delle donne. In Italia subiamo il ritardo culturale", di Maria Novella De Luca

Non è soltanto una questione di genere. Femminile nello specifico. È, piuttosto, in Italia, «un ritardo culturale e globale» nei confronti della scienza, e soprattutto dell’insegnamento delle materie scientifiche. Ragazze o ragazzi, non importa. Lucia Votano, 63 anni, fisica nucleare, è dal 2009 il primo direttore donna dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. E con la stessa chiarezza con cui spiega perché i neutrini ci aiutano a capire l’universo, dimostra che la diffidenza nei confronti delle lauree scientifiche nasce ben prima dell’università, ma già sui banchi di scuola, fin da bambini.
Votano, lei parla di ritardo culturale…
«Provo a fare un esempio. Una persona ben istruita si vergognerebbe molto a dover ammettere di non conoscere, mettiamo, Petrarca. Mentre la stessa persona potrebbe con un sorriso affermare di non capire nulla di matematica e fisica, senza sentirsi per questo meno colta. Perché ancora oggi in Italia la Scienza è relegata in un ambito laterale sia dell’insegnamento che della cultura in generale».
Ragazze, ragazzi: i dati segnalano però che il numero delle scienziate è assai inferiore a quello degli scienziati.
«Nel mio settore, quello della fisica nucleare, oggi mi sembra che i numeri si equivalgano, anche qui, nei laboratori del Gran Sasso. E all’università le studentesse di Fisica sono spesso più preparate e brillanti dei maschi. Quindi non è un problema di lauree, semmai di carriere».
Le donne cioè non riescono ad accedere a posizioni di prestigio?
“«Sì, questo però non accade soltanto in ambito scientifico, ma generalmente in tutto il mercato del lavoro. La maggioranza delle donne si ferma in posizioni intermedie, pochissime quelle ai vertici».
Perché?
«La mancanza di aiuti, di servizi, di conciliazione, mette le donne di fronte al bivio, drammatico, di dover scegliere tra il lavoro e la famiglia. E molte abbandonano. In un laboratorio di Fisica Nucleare come in un’azienda o in un ospedale».
Lei come ha fatto?
«Oggi ho un figlio grande ed è tutto più facile. Mio marito però, che purtroppo non c’è più, mi ha sempre sostenuto, ha condiviso le mie scelte. Non è stato facile, è stata dura, e a volte mi chiedo se ho sacrificato troppo un aspetto della vita a favore di un altro. Però si può fare. Ma è fondamentale l’appoggio del partner».
La Commissione Europea ha ritenuto di dover lanciare una campagna per spingere le ragazze più giovani a scegliere materie scientifiche. C’è bisogno di questa alfabetizzazione?
«Ben vengano le campagne che parlano di Scienza. Ma francamente oggi in una facoltà come Fisica le ragazze hanno raggiunto i ragazzi come numero, superandoli spesso come rendimento. Il problema è il dopo».
Arrivare alla laurea?
«Sì. Molti abbandonano già al secondo anno. In egual misura tra i due sessi. E per chi arriva, maschio o femmina il problema sono le prospettive».
Il lavoro, il futuro…
«La situazione è drammatica. È un vero esodo. Ormai i giovani non emigrano più dopo il Phd, ma addirittura appena laureati. Francia, Germania: i nostri migliori cervelli oggi arricchiscono altre università. E nessuno torna indietro. Questa è una sconfitta».

La Repubblica 22.06.12

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“La scienza delle ragazze il progresso è femmina”, di RICCARDO LUNA

OGNI volta riscopriamo che ci mancano le donne. In politica. Alla guida delle aziende. Ora nella scienza. «Ci sono poche scienziate e poche ricercatrici», ha annunciato ieri la commissaria europea all’innovazione Marie Gheoghegan Quinn, irlandese, di professione insegnante, 62 anni da compiere.
«Se ne avessi qualcuno di meno adesso farei la scienziata », ha poi scherzato lanciando la campagna “La scienza è un gioco da ragazze” mentre davanti al Parlamento europeo la deejay Sandrine Droubaix, nota come SubTanz, mandava musica house a palla e qualche centinaia di ragazzine si preparava a ballare per registrare il videoclip “Reazione a catena”. Ebbene sì, il bersaglio dell’Unione Europea per ora sono le adolescenti, come dimostra il video ufficiale, subito stroncato in Rete, dove si vedono tre giovani che ancheggiano come le poliziotte della serie tv “Charlie’s Angels”, ed entrano in un laboratorio armate di rossetto sconvolgendo la vita (e gli stereotipi) dei maschi. «Vorremmo che la scienza diventasse sexy», ha cercato di spiegare la Gheoghegan-Quinn, ma in questo caso “sexy” non ha un significato sessuale: vuol dire non noiosa, non polverosa, “qualcosa di figo da fare” anche per chi non è un uomo in camice bianco.

Cadute di stile a parte, la campagna punta a risolvere un problema serio che sta pregiudicando il nostro futuro: per crescere e restare competitiva, per esempio rispetto alla Cina, all’Europa servono un milione di ricercatori in più entro il 2020 e se le donne non decideranno di darsi finalmente alla scienza quell’obiettivo è impossibile da
raggiungere. I numeri sono chiari. I tempi in cui all’irlandese Annie Maunder venne rifiutata la laurea in matematica a Cambridge perché due secoli fa quei i diplomi potevano prenderli solo gli uomini, sono finiti. Da vent’anni ormai in Europa la maggioranza dei laureati sono donne. Quel numero però cala progressivamente quando si passa ai master e ai dottorati di ricerca. Ma soprattutto le donne sono in netta minoranza quando si parla di lauree in scienze, matematica e informatica (40%) e diventano appena una su quattro in ingegneria e architettura. Non sorprende quindi che tra i ricercatori europei solo una su tre sia donna e questo, secondo tutti, è uno spreco di talento che non possiamo più permetterci.
La cause sono diverse, alcune anche molto semplici: Margherita Hack, che alcuni anni fa è stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico, ricorda sempre che uno dei fattori che le ha reso possibile la carriera scientifica è stato il fatto di essere cresciuta in una famiglia «in cui babbo e mamma erano perfettamente eguali, e si dividevano i compiti domestici in piena parità». C’è quindi una questione di stato sociale e magari anche di asili nido che ostacola la carriera scientifica delle donne. Ma la commissaria europea punta piuttosto a scardinare gli stereotipi per cui certi percorsi professionali sarebbero adatti ai maschi ed altri alle femmine: «Quando pensate a un ingegnere meccanico pensate a un uomo o a una donna? E un meteorologo o un geologo in camice bianco lo immaginate uomo o donna? E un infermiere o un insegnante delle elementari? Se avete risposto “uomo” alle prime due domande e “donna” alla terza, abbiamo un problema da risolvere subito».
La soluzione, secondo la campagna appena lanciata, sono le storie delle donne che fanno scienza oggi: ne sono state scelte cinque, cinque “
role models” da raccontare ai ragazzi fra i 13 e i 17 anni, in quell’età in cui femmine e maschi manifestano la stessa predisposizione e la stessa bravura verso la scienza e la matematica (lo dicono i test di PISA).
Una delle cinque ambasciatrici europee è l’italiana Ilaria Capua, 46 anni, veterinaria e virologa dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie di Padova, diventata una star nel 2007 perché decise di mettere in una banca dati pubblica e aperta il virus dell’aviaria che il suo laboratorio aveva isolato per primo. Innescò una rivoluzione culminata in una risoluzione dell’Organizzazione mondiale della sanità a favore delle trasparenza e della condivisione dei dati delle ricerche. È una che ce l’ha fatta, quindi. Eppure anche secondo la Capua «nella scienza c’è un soffitto di cristallo che impedisce alle donne di emergere. Ma non basta cambiare il sistema, devono cambiare anche le donne. Devono cominciare a credere di potercela fare. Serve una voglia matta per superare salite durissime e le sberle tremende che prenderanno. Ma vale la pena. È un lavoro entusiasmante. Fare scienza oggi vuol dire essere i motori del cambiamento del mondo».
La campagna farà il giro di sei stati europei entro la fine dell’anno: un camion attrezzato con un laboratorio farà tappa in Austria, Belgio, Germania, Polonia, Olanda e Italia (Roma e Milano). Nel 2013 toccherà agli altri stati membri in modo da giustificare un forte aumento di investimenti in innovazione e ricerca nel settennato 2014-2020
(da 55 ad 80 miliardi di euro, il programma si chiama Orizzonte 2020). Peccato per quel video di lancio così sbagliato. Su Facebook ieri è stato demolito. Eppure la pagina social della campagna “Science: it’s a girl thing” è fatta bene: c’è una timeline, una storia del fenomeno, che parte da Ipazia, la filosofa, astronoma e matematica ellenica che venne uccisa diventando martire della scienza nel 415 dopo Cristo, e prosegue passando per il Nobel Rita Levi Montalcini del 1986 fino alla belga Ingrid Daubechies, prima donna ad essere eletta alla guida dell’Unione Internazionale dei Matematici nel 2010.
«Rossetto e tacchi a spillo? Non è per questo che ho studiato scienza», ha aperto il fuoco di fila una certa Wiebke Herding proprio mentre la commissaria lo presentava alla stampa con queste parole: «Ho iniziato la mia carriera come insegnante di scuola, e so quanto sia importante comunicare con i giovani, catturare il loro interesse, aiutarli a sviluppare una passione per la scienza. Questo video fa sembrare la scienza così attraente che se potessi tornare indietro farei la scienziata per ripercorrere le orme di due scienziate che poi si sono date alla politica, come l’astronauta francese Claudie Haigneré e la chimica Angela
Merkel».
In realtà se potesse tornare indietro, forse la commissaria adesso dovrebbe fare in fretta un altro video.

La Repubblica 22.06.12