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"Un cavallo di Troia per far saltare il sistema statale", di Vittorio Emiliani

Nasce di soppiatto, malgrado il nome ambizioso, la Fondazione di diritto privato Grande Brera, e nasce male, senza quel serio, informato dibattito preventivo che un’operazione di questa portata esige. Nasce con un articolo infilato, all’ultima ora, nella balena del decretone per lo sviluppo, lasciando fuori dal «concerto» interministeriale il ministro per i beni culturali. Roba da matti. Ma Ornaghi è felice, la sostiene e porta alcuni esempi. A partire dal Museo Egizio di Torino, che sin qui ha suscitato più polemiche che altro: non tutte le collezioni sono state devolute alla Fondazione con una perdita di valore fondamentale; il personale tecnico-scientifico ha preferito rimanere con lo Stato e quindi alla Fondazione è mancato un apporto unico, in compenso il CdA ha nominato direttrice (caso unico) una non egittologa… Questo il luminoso precedente? Ornaghi cita Venaria Reale che nulla ha che fare con la complessità della Pinacoteca di Brera nata nel primo ‘800 da una razzia «politica» di migliaia di opere soprattutto umbre, marchigiane, emiliano-romagnole ad opera del figliastro di Napoleone e dalla successiva stratificazione di donazioni. Pinacoteca, fra l’altro, venuta dopo l’Accademia di Belle Arti e altre istituzioni culturali importanti, espressione del miglior illuminismo lombardo. Con problemi, certo, che non risolverà la privatizzazione e quindi la sua scissione da quel contesto storico. Nella Fondazione entreranno il Comune (soldi pochi), la Regione (idem), la Camera di Commercio e i privati. Questi ultimi vorranno dei benefici, dei ritorni, magari dei profitti, specie con l’Expo 2015.
Ma nessun museo europeo o americano – non il Grand Louvre, non il Metropolitan Museum – è autosufficiente o «rende». Ha invece bisogno, di puntuali iniezioni di denaro pubblico, federale, locale, nazionale. Lo stesso ex soprintendente di Brera Carlo Bertelli è prudente, suggerisce una indagine ministeriale sul reale funzionamento delle Fondazioni italiane. Perplessa pure Patrizia Asproni (cultura di Confindustria), che pure ad un convegno romano sbottò: «Io il Ministero dei Beni culturali lo butterei e darei tutto all’Economia». Inaspettatamente negativo Mario Resca fresco ex commissario di Brera, che caldeggia, con buon senso, una seria politica di detassazioni per i privati. Questo ci si aspettava da un governo di tecnici per rilanciare cultura e ricerca, motori di una nuova economia, e invece…. C’è chi propone un Polo Museale Brera-Cenacolo autonomo per tenersi a Milano gli incassi. Attenti perché il Polo Museale romano ha speso 3,5 milioni (di cui 700.000 per l’allestimento) per la solita solfa caravaggesca, stroncata dai più, lasciando i propri musei al verde. Ci vuole una politica nazionale per i beni culturali. Ci vogliono progetti seri e fondati da proporre ai privati. Non un ambiguo e macchinoso cavallo di Troia destinato a far saltare il sistema museale statale.

l’Unità 25.08.12