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"Gli uomini e il mare", di Piero Ottone

Il porto della città di Genova esiste almeno da due millenni. Si tratta di un porto naturale. E ha da sempre una buona reputazione. Perchè ha funzionato, attraverso i secoli, secondo le regole. Però nella notte fra martedì e mercoledì, una notte tranquilla, una nave in manovra finisce su una banchina, distrugge la torre dei piloti, fa morti e feriti. Una tragedia. Come è stata possibile?
Si cercano precedenti. Ci sono state altre sciagure? Certo: la London Valour, anno 1970. Una nave da carico ancorata fuori del porto, investita da una libecciata improvvisa che la fa derivare, metro dopo metro, fino a sfasciarsi sulla diga foranea. Marinai che si tuffano nel mare agitato dal libeccio, in un pomeriggio primaverile, per mettersi in salvo: chi si salva e chi annega. Un elicottero lotta contro il libeccio, per salvare il salvabile. Ma quella è una tragedia fuori del porto, il porto non è chiamato in causa: la responsabilità è tutta del povero capitano, che è stato sorpreso dalla burrasca, e perde la vita, con molti marinai, in una giornata radiosa (la ricordo, io c’ero: splendeva il sole), ma tragica per il vento.
Tragedie del mare? Si pensa inevitabilmente alla Concordia, la gigantesca nave da crociera naufragata davanti all’isola del Giglio, gennaio 2013. Ma in quel caso c’era un uomo al comando, un singolo uomo, il capitano, e l’errore fu suo: la rotta, di cento metri troppo a ridosso dell’isola, era stata decisa da lui. L’episodio dell’altra notte, nel porto di Genova, è un’altra cosa. C’era il capitano sul ponte di comando; c’era il pilota per assisterlo nella manovra in porto, come sempre. Cielo sereno, calma di vento, una bella notte di primavera. La manovra era tranquilla, di routine, non dava adito a esibizionismi. E allora?
La dinamica dell’evento è semplice. La nave avanza di poppa, in retromarcia, verso l’uscita del porto, per prendere il largo. È assistita dai rimorchiatori. È previsto che a un certo momento cambierà marcia, passerà dalla marcia indietro alla marcia avanti, per girare su se stessa e uscire dal porto di prua, come sempre si fa. Una manovra semplice, eseguita mille volte, centomila volte, un milione. Il cambio di marcia non ha funzionato? Invece di perdere velocità, invece di rallentare gradatamente, poi fermarsi, infine avanzare di prua, la nave ha continuato a indietreggiare. Fino allo sfracello. Perché?
Lo spiegheranno gli esperti. Sorprese della meccanica, che funziona sempre, ma una volta su un milione, chi sa, può anche fallire: la marcia indietro può non rispondere ai comandi, rimanere innestata.
Non succede mai: ma una volta può succedere. Oppure, un momento di ritardo nel cambio di marcia: un errore umano di per sé incredibile, tanto più che gli uomini in plancia sono più di uno. E allora?
Qualcuno può dire: navi troppo grosse, quelle di adesso, per i porti costruiti in altri tempi. Ma allora il processo si estende ai tempi moderni, non al porto di Genova, non all’armatore, né al comandante o al pilota che erano, in quella tristissima notte, sul ponte di comando. Che possiamo solo compiangere, con le
famiglie delle vittime innocenti.

La Repubblica 09.05.13