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“La ricerca eccellenza dimenticata (solo da noi)”, di Luca De Biase

Cinquant’anni di ricerca sono sfociati in 3o minuti di festa al Cern di Ginevra per l’assegnazione del Nobel a Peter Higgs e Francois Englert. Una festa in larga parte italiana. Perché il premio ai teorici del bosone, la particella subatomica che spiega come la materia abbia una massa, è un premio anche alle migliaia di fisici che hanno realizzato il grande esperimento che ha provato la teoria. Dunque è, appunto, un premio anche ai ricercatori italiani che hanno contribuito in modo determinante al risultato, oltre che alle tecnologie italiane che sono servite a costruire il Large Hadron Collider, la macchina che ha rilevato il bosone. Negli ultimi anni abbiamo applaudito all’assegnazione di Nobel a scienziati italiani che avevano sviluppato le loro ricerche all’estero: ma questa volta si tratta di ricercatori stranieri che devono il successo anche alla ricerca svolta in Italia. Nel momento in cui l’esperimento ha raggiunto i suoi obiettivi, in effetti, i qúattro principali progetti di ricerca al Cern erano guidati da scienziati italiani. E lo erano in particolare i due esperimenti dedicati al bosone: Atlas e Cms. L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), le università di Pisa e diMilano, il centro di calcolo di Bologna e altri centri di eccellenza italiani lavoravano in rete nell’elaborazione delle conoscenze generate dagli esperimenti e nella costruzione degli apparati necessari a realizzarli. 1115% degli scienziati coinvolti, l’n% dei finanziamenti e il 20% delle tecnologie sviluppate per il progetto erano italiani, ricorda Fernando Ferroni, presidente dell’Infn. Italiani che hanno lavorato a questa impresa conquistandosi il posto per merito, sulla base di una cultura pragmatica e senza puntare alla notorietà ma alla verità. Sicché il loro contributo alla crescita del Paese è tecnologico, scientifico e profondamente culturale. Il loro apporto alla costruzione del futuro del Paese è potenzialmente immenso nel quadro dell’economia della conoscenza. E la conseguenza è semplice: investire nella ricerca è una strategia giusta, che genera ritorni visibili e modernizza il Paese. Che merita molta più attenzione. Da parte dello Stato. Da parte delle aziende. Da parte dei cittadini. Tanto per fare un esempio, nei superconduttori serviti a piegare la traiettoria delle particelle che corrono nell’anello del Ceni ci sono tecnologie sofisticatissime dell’Ansaldo. Del resto, molti apparati sono stati realizzati al Infn. E uno dei maggiori centri di calcolo connessi alla grid del Cern per géstire l’immensa mole di dati prodotti dal Lhc è a Bologna. Si tratta di fatti che si trasformano in opportunità per le imprese e i governi che li sappiano riconoscere. Le automobili più avanzate, i computer più performanti, le innovazioni dei materiali e l’ingegneria più audace sono prodotte da chi sa riconoscere queste opportunità. Il valore aggiunto, nell’economia della conoscenza, si concentra sull’immateriale che in parte essenziale è prodotto dalla ricerca di frontiera. E gli esploratori di questa frontiera non possono che offrire questo valore a chi lo sa cogliere. Italiani o no. L’orgoglio di squadra dei fisici li con duce a festeggiare insieme. Ma a valle della collaborazione scientifica ci sono varie forme di competizione. Tra le imprese che ne comprendono il valore, per l’innovazione tecnologica. Tra i territori che attirano i talenti e riescono a trasformarli in generatori di innovazione ulteriore. Da questo punto di vista occorre un cambio di passo. I fisici italiani stanno popolando i centri di ricerca stranieri. «I francesi del Cnrs scherzano dicendo che li stiamo “invadendo”» dice Ferroni. «I nostri giovani partecipano ai concorsi in giro per i mondo dove si è valutati per merito e vincono spesso. Da noi… Prendiamo un dato. Nel 2005 c’è stato un concorso per 5o posti di ricerca e l’età media di chi si è presentato era di 33 anni. Il concorso successivo, per 37 posti, si è tenuto nel 2010 e l’età media di chi si è presentato era di 38 anni. Cinque di più». La matematica fa venire in mente un’opinione: il dato fa pensare che chi non è andato all’estero, non ha trovato un lavoro in azienda e non ha vinto nel 2005 si è arrangiato, ha accettato posti di varia natura, ha aspettato pazientemente il nuovo concorso e si è ripresentato cinque anni dopo. Un aneddoto che non va sopravalutato ma che descrive una sorta di paralisi. Che l’Italia non merita. Perché l’eccellenza italiana nella fisica non è un episodio. La storia di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna Edoar- do Amaldi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Oscar D’Agostino, Ettore Majorana ha lasciato un’eredità straordinaria che ispira in modo inesauribile i fisici italiani. Quasi novant’anni di tradizione generativa è ‘un giacimento di futuro che è tempo di cominciare a valorizzare sul serio. Non è questione di fuga dei cervelli. È questione di attrazione. All’Iit di Genova e alla Fondazione Mach di San Michele all’Adige, per esempio, come in altri centri ci si riesce. E ora di riflettere anche sulle buone notizie. E di farne buon uso.

Il Sole 24 Ore 09.10.13